In questa lettera - che è poi l’invio di un testo - a Jaime Semprun ("Abolition" che verrà pubblicato anonimo sull’Encyclopédie des Nuisances), Debord dimostra come lo Spettacolo abbia saputo eliminare i sette peccati capitali, come mai erano riuscite a fare le civiltà teologiche precedenti. O meglio, tutti i peccati tranne l’invidia, perché questa consente la libera circolazione dell’equivalenza di tutto e tutti in una fungibilità assoluta. Una vera superbia o lussuria già non sarebbero più possibili, sarebbero incompatibili, se vere, con il funzionamento complessivo dello Spettacolo, ecco il puritanesimo strutturale, il neoperbenismo dello Spettacolo. Invidia come assurdo perché - aggiunge - i dati fondamentali di un individuo vietano che egli possa mai essere qualcos’altro, Retz non invidiava Mazzarino, La Bruyère non poteva essere Pascal ma lo Spettacolo vuole far credere a questa equivalenza quantitativa che uccide il gusto.
Abolizione
"Abolire", che nella sua etimologia latina significa semplicemente distruggere, si è rapidamente specializzato nella dimensione giuridica e sociale. Antoine-Léandre Sardou, nel suo Nuovo Dizionario dei Sinonimi Francesi (1874) lo avvicina ad "Abrogare": "Abolire si dice di molte cose, dei costumi, delle usanze, delle leggi, ecc.: abrogare si dice solo per le leggi, per i decreti, per gli atti pubblici con forza di legge. Il mancato utilizzo è sufficiente per la abolizione , ma ci vuole un atto positivo per
l'abrogazione : una legge cade in disuso e viene abolita di fatto: ma può essere abrogata solo da un'altra legge o da una dichiarazione formale dell'autorità".
La Rivoluzione francese abolì i privilegi legali della nobiltà e del clero, per fondare l'uguaglianza civile borghese. L'Ottocento abolì la schiavitù nelle colonie che dipendevano dalle potenze europee e, in seguito, non senza resistenze, negli Stati Uniti. Il programma rivoluzionario che doveva incontrare ovviamente una resistenza più duratura, si propose da quel momento di abolire lo Stato, le classi, la merce, ecc. Alcuni punti di questo programma sono stati in qualche modo già realizzati, ma in senso inverso, dal progredire della contro-rivoluzione di questo secolo, abolendo effettivamente molto di ciò che esisteva, e sempre nell'unica prospettiva e nella sola pratica del controllo assoluto, poliziesco e psichiatrico, e per mezzo dell'eliminazione di tutte le libertà fuorché quella dei "decisori" dello stato. Così, la futile ideologia dei "diritti umani" non è altro che un epitaffio sulla tomba di tutto ciò che tutti gli Stati hanno seppellito. L'abolizione della separazione tra città e campagna è stata raggiunta dal crollo simultaneo dell'una e dell'altra. La separazione tra lavoro e tempo libero è cessata quando il lavoro è diventato così massicciamente inutile e improduttivo (nel ridicolo "settore terziario"), da una parte, e quando il tempo libero è diventato un'attività economica così noiosa e così faticosa, dall'altra. Le disuguaglianze davanti alla cultura sono state abolite presso tutti e quasi ovunque nel mondo, per mezzo del nuovo analfabetismo - il vecchio progetto della soppressione dell'ignoranza si è trasformato in soppressione dell'ignoranza priva di diploma - e questo sia nella sua versione più dura (la scuola primaria) che nella sua versione soft (la neo-università); così la formula di Sardou verifica dappertutto la sua esattezza: "Il mancato utilizzo è sufficiente per la abolizione." Il denaro sta per essere abolito dalla moneta elettronica, attraverso la quale, fiduciosi e ben educati, i cittadini-bambini lasceranno la gestione dei loro piccoli salvadanai a delle macchine più competenti di loro, e che sanno, senza dubbio, meglio di loro, ciò che loro conviene e ciò da cui devono astenersi.
Sappiamo che il pensiero cristiano, la cui vita tenace dura, purtroppo, da quasi duemila anni, si era impegnato a stabilire che il mondo non è che una "valle di lacrime". Così aveva biasimato, in nome dei "peccati capitali", le principali dell'uomo reale; senza illudersi, tuttavia, di arrivare mai a sopprimerli, in tutte le società che ha così a lungo controllato.
La lista di questi peccati capitali è ormai dimenticata, al giorno d'oggi, e solo la piccola minoranza dei nostri contemporanei, che ha mantenuto una certa familiarità con la lettura e il linguaggio, ricorda che sono stati convenzionalmente in numero di sette. Questi peccati capitali, radice di tutti gli altri, erano: superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira e accidia.
Nel frastuono di proclami ininterrotti che ci informano a proposito di tutti i trionfi della società dominante sul terreno della sua schiacciante potenza energetica, del suo prodotto nazionale lordo, della sua crisi moderna e del suo computer colto, e di molte altre amabili astrazioni, ci si dimenta troppo modestamente di un fenomeno concreto di immensa importanza: l'organizzazione mondiale della società che è stata istituita con una velocità sempre crescente, nella seconda metà del ventesimo secolo, è riuscita ad abolire sei su sette peccati capitali (vale a dire, per esprimerlo in termini oggi più trasmissibili, una percentuale all'incirca pari al 86%). Lo proveremo in poche parole.
L'orgoglio è evidentemente morto presso l'elettore-amministrato, presso l'automobilista-“sondaggiato”, presso il telespettatore inquinato, presso l'abitante della casa popolare e presso il vacanziero dell'autostrada. Nessuno, che abbia accettato di sopravvivere così, può mantenere anche solo la possibilità di un movimento fugace di orgoglio.
L'avarizia non ha più alcun fondamento, dal momento che la proprietà tende a concentrarsi nello stato, che la dilapida per principio. La proprietà privata reale, accessibile a così poche persone, viene fortemente erosa dal controllo pignolo e dal diritto di intervento delle mille autorità collettive o corporative. Il salariato non può più risparmiare alcunché della sua povera paga, dal valore sempre cangiante, fittizio, fluido come l'acqua. Questo denaro stesso si allontana in un'astrazione sempre più lontana, semplici pagamenti elettronici, giochi contabili che avvengono senza di lui. E se pensa di conservare qualcuno degli oggetti più preziosi che ogni giorno il mercato ci offre, il ladro glielo porta via.
La lussuria è scomparsa quasi ovunque, a causa del movimento di liquidazione dei personaggi reali e dei gusti veri. Si è ritratta davanti alla marea di ideologia troppo visibilmente insincera, davanti alla fredda simulazione, davanti alle comiche pretese di robot con la passione automatica. L'AIDS è venuto a completare la disfatta.
Davanti alle trovate dell'industria agro-alimentare, la golosità si è arresa. Lo spettatore, qui come a teatro, pensa di non essere in grado di giudicare il sapore di ciò che mangia. Si affida quindi agli stimoli che gli vengono dai titoli dei piatti alla moda, dalla pubblicità, e dal giudizio della critica gastronomica.
La rabbia aveva tanti motivi, e così poche manifestazioni, che si è dissolta nella codardia generale e nella generale rassegnazione. Può un elettore, in buona fede, arrabbiarsi per il risultato di una elezione, che è sempre lo stesso, perfettamente prevedibile e garantito? Non potendo certo invocare un'innocenza delusa e beffata, un elettore è in ogni caso un colpevole. Non può provare rabbia che contro sé stesso, ed è questa una posizione scomoda che si vuole di solito evitare.
La pigrizia non è più possibile: c'è troppo rumore in giro. Ed è ancora peggio per tutti quelli che non sono felici sul lavoro, o una vacanza. La pigrizia è un piacere per chi ama la sua casa e la sua propria compagnia. I paesi moderni possono avere un gran numero di persone disoccupate, e molti altri che fanno un lavoro del tutto inutile. Ma non possono mantenere le persone pigre; non sono abbastanza ricchi per questo.
Si potrebbe obiettare che questa esposizione, nonostante la sua profonda verità, è un po' troppo sistematica, perché la realtà della storia è sempre dialettica; e che è una schematizzazione che impoverisce, presentando tutti i peccati capitali come perduti. Questa obiezione è infondata: non abbiamo dimenticato l'invidia, che sopravvive in modo contraddittorio, ed è l'unica erede di tutte queste potenze annientate.
L'invidia è diventata un movente esclusivo ed universale. L'invidia ha sempre proceduto dal fatto che molti individui vengono misurati su un'unica scala. Questa scala è stata, nella maggior parte dei casi, il potere e il denaro. Al di fuori di questa misura comune della limitazione, le realtà rimangono diverse; e tutti quelli che non si curano troppo del potere e della ricchezza rimangono ovviamente liberi dall'invidia. D'altra parte, un carattere invidioso può sempre rivaleggiare con persone nella sua sfera di attività. Un poeta può invidiare un poeta. E questo si può manifestare anche in un generale, una puttana, un attore, il proprietario di un caffè. Ma la maggior parte delle persone non suscitano quasi l'invidia di altri. Oggi, che le persone non hanno quasi niente e non amano nulla, vorrebbero tutto, senza trascurare il contrario. Ogni spettatore invidia pressoché tutte le vedette. Ma si possono anche invidiare simultaneamente tutte le caratteristiche di tutte queste vedette. Colui che ha provato la bassezza di fare carriera, e quindi è poco soddisfatto della sua carriera (c'è sempre qualcuno più in alto), vorrebbe avere anche l'onore ed il piacere di essere considerato come un incompreso, un ribelle e un "maledetto". E questo inseguire il vento è assolutamente vano, tutti i cornuti sono oggi condannati a correre senza fine. Ignorando la vita reale, non sanno che quasi tutti i tratti umani veramente radicati ne escludono necessariamente molti altri.
L'antico detto, "Non è dato a tutti di andare a Corinto." si può adattare al presente dicendo che non si può vivere tutti a Tokio.
E' facile da capire questo trionfo dell'invidia, la fusione incontrollabile del suo cuore radioattivo, e il suo ricadere dappertutto. I peccati capitali sono scomparsi dalle caratteristiche personali dell'individuo che agisce per conto proprio (o, nel caso della pigrizia, preferendo non agire). Ma l'invidia è il solo tratto che riguarda solamente gli altri. E' normale che rimanga sola, per divertire e per stimolare coloro che sono stati espropriati di tutto.
In quale secolo viviamo, certo queste stupefacenti trovate faranno sì che non ne venga dimenticato un solo giorno. D'altronde, Cesare Borgia non invidiava Michelangelo, Federico II non invidiava Voltaire, e M. Thiers stesso non avrebbe certo pensato di poter invidiare Baudelaire. Più recentemente, il presidente Valery Giscard non ha disdegnato di darci la soddisfazione di sapere che ammirava Flaubert (lo stesso Giscard che riunisce Homais, Bouvard e Pécuchet in un solo uomo) e che avrebbe dato volentieri anche fino ad un anno di attività politica, se gli fosse stata data l'assicurazione di poter creare un'opera artistica di importanza pari a quella di Flaubert, cosa che per lui valeva la rinuncia a due semestri di altri regali più sicuri. E addirittura parecchi analfabeti contemporanei, seduti sulle loro sedie, invidiano la cultura dei redattori di questa enciclopedia, e la ricchezza delle loro informazioni!
Abbiamo detto che la regressione intensiva ed estensiva della personalità porta inevitabilmente alla scomparsa del gusto personale. Cos'è che può piacere, in effetti, a chi è nulla, non ha nulla e non sa nulla - se non per un sentito dire idiota e falso? E quasi niente di specifico può dispiacergli: è proprio questo l'obiettivo che si pongono i proprietari e i "decisori" della società, coloro che detengono gli strumenti della comunicazione sociale, grazie ai quali si trovano nella situazione di manipolare i simulacri dei gusti scomparsi.
Edgar Allan Poe, nel "Colloquio di Monos e Una", che sceglie per soggetto l'imminente distruzione del mondo, e che è senza dubbio quello dei suoi scritti che anticipa ciò che i nostri contemporanei hanno scoperto così di recente, per quanto riguarda l'accumulo di rotture irreversibili e cieche dell'equilibrio ecologico, scrisse nel 1845:
"Tuttavia, innumerevoli città si innalzavano, enormi e fumanti. Le foglie verdi si arricciolavano al soffio caldo delle fornaci. Il bel volto della natura era deformato come per le devastazioni di una malattia ripugnante. E mi sembra, mia dolce Una, che il sentimento, pur assopito, di forzare e di cercare troppo lontano, avrebbe dovuto fermarci a questo punto. Ma sembra che pervertendo il nostro gusto, o meglio, trascurando di coltivarlo nelle scuole, abbiamo follemente completato la nostra propria distruzione. Perché, in verità, è stato in questa crisi che il gusto - quella facoltà che, marcando il territorio che si stende fra la pura intelligenza ed il senso morale, non può mai essere disprezzata impunemente - è stato allora che il gusto da solo avrebbe potuto portarci dolcemente verso la Bellezza, la Natura e la vita."
A quel punto, il gusto e la conoscenza sono scomparsi insieme con il senso dell'inverosimile e del ridicolo, niente lo ha dimostrato meglio dell'impostura archeologico-culturale del secolo, della quale sembra che pochissime persone ancora ridano, ed i principali gonzi preferiscono crederla dimenticata senza spiegazioni di sorta.
Verso il 1980, ci si estasiò su un esercito di migliaia di statue di soldati e di cavalli, un po' più grandi di quanto siano in natura, che i cinesi pretendevano di avere scoperto nel 1974, e che avrebbero dovuto essere state sepolte 22 secoli prima insieme all'imperatore Tsin Che Hoang Ti. Centinaia di giornali e decine di redattori ingoiarono l'amo con tutta la lenza e, garantito dall'entusiasmo dello stesso Giscard, questo tesoro venne esposto nelle più grandi città d'Europa.
Infine sono emersi dei dubbi subordinati alla domanda se questi meraviglie viaggianti fossero degli originali, come aveva sostenuto il governo neo-maoista, oppure delle copie, come è stato costretto in seguito a correggere . Qui, la formula di Feuerbach, che già a quei tempi affermava di preferire la copia all'originale, era stata ampiamente superata dal progresso, in quanto si trattava di copie di originali che non erano mai esistiti. Fin da una prima occhiata alle foto degli "scavi", non si poteva che ridere dell'audacia dei burocrati cinesi, che prendevano, in modo così sfrontato, tutti gli stranieri per idioti. Cosa ancora più strampalata, in questa improbabilità assoluta, bastava vedere l'immagine di non importa quale testa di non importa quale statua (tutte molto simili) per sapere che in nessun luogo e in nessun momento della storia mondiale simili figure avrebbero potuto essere prodotte, nello stampo, prima del primo terzo di questo secolo (in realtà sono state fabbricate negli ultimi anni del regno di Mao, per compensare, attraverso una scoperta così abbondante e miracolosa, tutto ciò che era stato distrutto durante le follie della pseudo-"rivoluzione culturale"). Per comporre la povera forma di base di questi pupazzi giganti, bisognava che fossero già stati fabbricati i manichini esposti nelle vetrine all'inizio di questo secolo; bisognava che i dipinti di Gauguin, che hanno tracciato da poco tempo una nuova figura artistica dell'esotico nell'arte occidentale; e, soprattutto, bisognava che la statuaria stalinista e nazista - che poi è esattamente la stessa cosa - fosse già emersa negli anni '30.
Due secoli di approfondimento della storia della civiltà, della storia delle forme, e tutto ciò che è stato dimostrato da Winckelmann e da Schiller, da Burckhardt e da Elie Faure, e da cento altri, che vanno da Schlegel a Walter Benjamin, vengono dimenticati in un niente; poiché quelli che tengono la sputacchiera , come diceva il popolo di Parigi, quando ancora parlava, sono molto fiduciosi che non c'è, qui come altrove, una scienza che s'imponga; e che l'ignoranza può dire tutto, perché sa di non avere più da temere alcuna risposta.
E' perfettamente sicuro che migliaia di persone in tutto il mondo, e senza dover essere un archeologo o un sinologo, come noi, abbiano capito tutto fin dal primo istante. Ma che ne può sapere lo spettacolo, e ciò che esso informa? Sono dei puri ignoranti che spargono disinformazione tra le masse. E quanto a simili mediocri professionisti di tali questioni, quando naturalmente finiscono per apprendere dei loro errori, tramite qualche confidenza fatta in famiglia, allora essi pensano che sarà sicuramente più elegante, da parte loro, di non ricordarsi di niente.
Ed è per questo che in questa materia, il tiranno, come ha dimostrato La Boétie, ha tanti amici. Sono in tanti ad avere qualche piccolo interesse, insieme a quelli che ne hanno di grandi, che venga abolita la storia, che venga abolita la memoria.
- Guy Debord -
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