Il capitalismo è guerra
- di Alain Lecomte -
In un testo scritto nel 2006 [*1], Moishe Postone affrontava il problema dell'imperialismo europeo il quale, secondo lui, era buono quanto quello americano, o quello russo o quello cinese. Scrivendo dell'inizio del XX secolo: «Il ruolo egemonico della Gran Bretagna e l'ordine mondiale liberale sono stati messi in discussione dall'ascesa di un certo numero di Stati-nazione, in particolare la Germania. Queste rivalità, che culminarono in due guerre mondiali, vennero spiegate a partire dalle rivalità imperialiste. Forse oggi stiamo guardando l'inizio di un ritorno a un'era di rivalità imperialiste, a un livello senza precedenti e allargato. Uno dei punti di tensione che sta emergendo è quello che oppone le potenze atlantiche a un'Europa organizzata attorno a un condominio franco-tedesco». Dopo aver tracciato un'analogia tra la situazione esistente prima del 1914 e quella dei primi anni 2000 (non senza aver dichiarato ottimisticamente che eravamo lontani da una situazione di minaccia di guerra come nel 1914!), Postone avvertiva la sinistra di non lasciarsi trasportare, schierandosi dalla parte di un imperialismo piuttosto che di un altro. La cosa mi aveva un po' sconcertato quando l'avevo letta, poiché avevo ancora in mente il vecchio riflesso della lotta contro l'imperialismo americano. Ne "Il Ministero del Futuro", di Kim Stanley Robinson viene sostenuta una posizione assai simile. Come Postone, anche Kim Stanley Robinson attacca la Germania, la quale ha fatto bene dopo la Seconda Guerra Mondiale: aveva conquistato l'Europa con la finanza, se non con le armi: «Perché la Germania se l’era cavata egregiamente come Stato cliente dell’America durante la Guerra fredda. Ora che la Guerra fredda era finita e la Germania, dal punto di vista economico, era più potente della Russia, poteva staccarsi dagli Stati Uniti, fingendo con astuzia di essere un cliente quando conveniva, ma seguendo, in linea di massima, i propri interessi. La cosa era ovvia per chiunque in Europa, ma la miopia narcisistica dell’America nei confronti del resto del mondo non le permise di rendersene conto.» (p. 260). Di nuovo, questo mi ha sorpreso! A quanto pare, sembrava così che per certi intellettuali americani, classificati come di sinistra, l'America potrebbe apparire come se fosse una vittima, e per di più, una vittima... dell'Europa!
Robinson ha scritto il suo libro molto prima che Trump salisse al potere per il suo secondo mandato. Così, se confrontiamo questi passaggi con tutto ciò che è accaduto da allora in poi - in particolare gli attacchi particolarmente aggressivi del presidente americano contro l'Europa - mostriamo di essere sensibili a simili ricordi. Non vuol essere certo questo – tutt'altro – un modo per giustificare Trump, il quale si comporta a immagine dei tiranni totalitari del XX secolo, e anche a quelli prima, se dobbiamo credere ai suoi riferimenti ai presidenti dell'Ottocento (come McKinley), ed egli non cerca tanto di correggere quella che potrebbe apparire a posteriori come un'anomalia della storia, quanto piuttosto di riaffermare violentemente la forza e la potenza dell'unico imperialismo che vale ai suoi occhi: il proprio. Ciò vuole essere solo un promemoria di una realtà assai semplice, per cui nessuno è innocente, e si deve valutare la situazione di questo momento non solo dal punto di vista del proprio sentimento naturale e spontaneo, ma anche da quello di un contesto storico. E' nei momenti di crisi che vediamo meglio qual è il vero fondamento della storia, la sua sorgente spogliata di ogni sentimentalismo, di ogni anima culturale: la storia non è neanche - come diceva Marx - «la storia della lotta di classe», poiché la lotta di classe è un effetto, e non una causa [*2]; si tratta piuttosto della storia... delle distorsioni, degli urti e dei confronti tra le diverse tendenze del capitalismo.. In questo rassomiglia alla tettonica a placche, laddove qui e placche vengono sostituite dalle diverse "regioni" del Capitale, le quali, inevitabilmente, prima o poi, arrivano a collidere per scontrarsi o... per fondersi. Avremmo tutti preferito che questi inevitabili conflitti si risolvessero pacificamente, lo abbiamo sognato per questi ottant'anni e invece eccoci qui: la base del capitalismo è la guerra. E forse è anche alla base di tutti i diversi sistemi di capitalismo, forse persino anche di ogni sistema. Se così fosse, allora dovremmo forse scagionarlo, il capitalismo? No di certo, visto che in questo momento è il capitalismo quello che ci preoccupa. Oltretutto, non è possibile riuscire a ragionare a prescindere, dato che non abbiamo alcuna idea di quale sarebbe la forma-soggetto di un interlocutore al di fuori di esso. Per meglio chiarire, diciamo che quindi la base del capitalismo è la guerra capitalistica, poiché è questo ciò che ci preoccupa.
Allo stesso modo in cui la nozione di lavoro non è trans-storica, nemmeno quella di guerra può esserlo. La guerra capitalista inizia proprio a partire dagli sforzi mostruosi che sono stati da subito compiuti per perpetuare il meccanismo di (ri)produzione del valore. Dal momento che il Capitale non è capace di operare al di fuori delle contraddizioni e dei conflitti che lo generano, esso si presenta fenomenicamente sotto forma di zone di espansione, che il più delle volte coincidono con delle zone geografiche. Si tratta di un valore che è specifico di un sistema nazionale, o imperiale, che cerca di accrescersi e di espandersi, ovviamente a scapito degli altri. È questo il motivo per cui la pace universale non esiste, e non esisterà mai, quanto meno fino a quando esisterà il capitalismo (per quel che riguarda la guerra capitalista, ovviamente, perché dopo...). Il conflitto avviene in modo più o meno violento, ma può aver luogo anche in periodi apparentemente non violenti, in cui tuttavia esiste ancora, e la sua violenza è latente. La violenza aperta compare quando i conflitti si inaspriscono, e i conflitti si acuiscono quando si intensifica la crisi della valorizzazione. Oggi, il capitale, messo all'angolo, trova modo di creare il valore solo per mezzo di quella che viene chiamata "innovazione tecnologica" e che, in realtà, include quelli che sono gli ultimi tentativi di aumentare la produttività del lavoro [*3]; cosa che, di certo, porterà in futuro solo alla perdita di ancora più valore (poiché qualsiasi aumento della produttività porta a una svalorizzazione delle merci emesse sul mercato), ma la cosa non finisce qui, dal momento che continuano a esserci ancora profitti da realizzare, c'è da fare soldi grazie a queste nuove merci. Ma il problema è che esse richiedono risorse minerarie che non tutti posseggono. Per questo motivo la parte più progredita del capitalismo è disposta a fare di tutto pur di acquisirli. [*4].
La Russia aveva già l'obiettivo di invadere il Donbass, per monopolizzarne le sue risorse; e ora, qualche anno dopo, Trump è pronto a mettersi d'accordo con Putin - come fratelli nemici - per spartirsi le risorse dell'Ucraina a spese del bestiame, cioè del suo popolo. Assomiglia parecchio al patto tra Hitler e Stalin, quando provarono a espandere i rispettivi imperi, accaparrandosi la maggior quantità possibile di terreni coltivati a grano (allora non c'erano le terre rare...). Dall'altra parte del pianeta, il gigante cinese brontola, non vuole che gli Stati Uniti abbiano accesso alle terre rare, al litio, al coltan, al titanio (e cos'altro?), pertanto tiene per il pizzetto il pseudo-alleato russo, non me lo farai, vero? Un tango terribile che si balla intorno a qualche migliaio di tonnellate di minerale (di cui a volte si dubita persino dell'esistenza) che, in ogni caso, si esaurirà nel giro di pochi anni. Il mostro americano è arrivato persino al punto di distruggere quella base transnazionale sulla quale era rimasto seduto fino ad ora (dal momento che, per quanto, durante la Guerra Fredda “l'impero europeo” possa anche essere partito bene, rimane il fatto che anche gli Stati Uniti hanno beneficiato di un enorme mercato in grado di assorbire la loro produzione in ogni settore.), tradendo i partner europei che ora lo ostacolano nel loro accordo con la Russia, e minacciando così di attaccare... la piccola Danimarca e stabilirsi in Groenlandia. Sempre per raccogliere qualche tonnellata di minerale. L'altra fonte di valore sono i media e le reti sociali, attraverso i quali i poteri imperiali possono esercitare il loro potere su popolazioni alienate al fine di sfruttare l'opportunità di commerciare in soggettività, sfruttate alla stregua delle miniere di metalli rari, dal momento che sono loro stessi che consumano e si trovano, in un certo senso, all'altro estremo della filiera. Il valore si ottiene sia attraverso la produzione che mediante il consumo, e le due cose cooperano tra loro. Pertanto, l'impero cercherà di plasmare - senza che ci sia alcuna resistenza - il soggetto-forma che esso impone, in modo che si accontenti solo del consumo di quei prodotti che gli offre. Per fare questo, sarà necessario abolire gli ostacoli che la scienza e la ragione gli oppongono. Per cui, niente più scienza o ragione, perché contrastano con gli interessi del Capitale, i quali si basano sull'emotività, sulla transitorietà e sulla credenza nella magia.
Contrariamente - e questo detto per inciso - alla teoria di coloro che ancora incolpano la ragione e la scienza per l'espansione del capitalismo. Sì certo, i loro interessi hanno coinciso in certi momenti, ma ormai è passato molto tempo. Ciò che resta della coincidenza tra gli obiettivi della scienza e quelli del capitalismo rimane confinato a una frangia tecnofila che non ha più nulla a che fare con la scienza in senso stretto e che è ben contenta di assecondare la convinzione che la terra sia piatta. Nel complesso, la scienza rimane relativamente autonoma dal Capitale, e oggi il suo sviluppo è addirittura in contrapposizione a esso: le azioni anti-scienza di Trump sono sufficientemente eloquenti a tal riguardo (nomina di un agente anti-vax al Dipartimento della Salute, controllo delle agenzie scientifiche vietando loro di pubblicare risultati non conformi ai suoi piani, licenziamento di ricercatori, asservimento dei servizi meteorologici, ecc. È vero, ma è anche la prova che persino l'imbecillità dimostra qualcosa riguardo al capitalismo, o almeno alla forma di imbecillità che è specifica di questo sistema.
Certo, il capitalismo è un caos frammentato di continenti che si scontrano, ma non dobbiamo dedurne che in un dato momento storico tutti gli imperi si equivalgano, né dobbiamo permetterci di “cercare delle scusanti” per questa o per quella azione contro l'Europa pensando che anche l'Europa è, in fondo, imperialista. Non ha senso schierarsi - come tende a fare una certa “estrema sinistra campista” - con un altro impero, pensando che forse ce ne sarà grato e ci risparmierà, giacché la loro logica è impermeabile a questo tipo di soggettivismo: nella migliore delle ipotesi, l'impero rivale se ne servirà solo per aumentare la propria efficacia e la propria violenza. Quando un soggetto che vive all'interno di un impero si schiera con un altro impero con cui il proprio impero è in conflitto, spesso questo maschera delle manovre per mettere a segno alcuni colpi nel gioco globale del terrore. Queste mosse sono finalizzate a ottenere delle conquiste locali di potere che, in ultima analisi, sono sempre a vantaggio degli invasori reali o potenziali (il petainismo, il “populismo” del "Rassemblement National" francese, o quello dei leader dell'Ungheria, della Slovacchia, persino dell'Italia). Anche se mi sento profondamente europeo, non farò un appello per l'Europa. Dopotutto, come detto sopra, ha prodotto anche quella che è stata la sua peggiore epoca imperiale, il colonialismo: un crimine spaventoso commesso contro l'umanità. Ma è anche il luogo in cui viviamo, e dove le persone hanno lottato per garantire la prevalenza di molti diritti e per cacciare, un tempo, gli occupanti indesiderati. Proprio come tributo alle loro azioni, merita di essere difesa contro potenziali nuovi invasori che sono altrettanto indesiderabili. Ho amici che non la pensano così, e che vorrebbero addirittura che si ponesse fine alla "ideologia dell'Illuminismo", in quanto terreno fertile su cui la forma-soggetto del capitalismo ha potuto svilupparsi. Ma non si torna indietro, nella storia, non si cancella nulla, e al limite si va oltre le situazioni, ma non si fa mai tabula rasa. Al di sotto o al di là - o forse sia al di sotto che al di là della logica del capitalismo e dei suoi imperi - si impone al cuore degli esseri umani un desiderio di emancipazione che rifiuta l'asservimento agli imperi esterni. Un desiderio di praticarne il suo linguaggio e di declinarne le sue bellezze, uno slancio verso l'esaltazione della sua cultura e delle sue creazioni, che legittimano lo sforzo di resistenza nel momento in cui un impero (o anche due) cerca di controllarne un altro. Questo è quello che sentivano i poeti della Resistenza, scienziati e filosofi che non hanno esitato a fare il grande passo, non dimentichiamoli. E per tornare a Postone, il filosofo americano scomparso nel 2018, il testo succitato concludeva con le seguenti parole: «per quanto difficile possa essere il compito di comprendere e di confrontarsi con il capitale globale, il recupero e la riformulazione di un internazionalismo globale sono di vitale importanza.» Ci piacerebbe che fosse così, ma ahimè all'orizzonte non vediamo quasi nessun movimento in questa direzione...
L'altra fonte di valore (sempre in senso capitalista) è semplicemente... la Vita. Marx ci ha mostrato come la forza lavoro sotto il capitalismo sia una merce, e che in un certo senso il sistema stesso si basa su questa capacità di trasformare la forza lavoro in una merce. Con la Russia di Putin si va ancora oltre, non è la forza lavoro, ma è la vita stessa che diventa una merce, allorché la popolazione russa - la quale non ha più nulla da dare, e vive nella miseria più spaventosa - mette in vendita i propri figli e mariti per ricevere, in cambio della loro morte ( qualora avvenga), un “salario” che eccede tutto ciò che si può guadagnare in diversi anni di lavoro. In tempi ordinari, la forza lavoro alimenta la macchina del capitale, la vita, mentre io direi, nonostante quello che pensano alcuni “materialisti” un po' troppo dogmatici per i miei gusti, che in tempi di guerra ad alimentarla sono le anime delle persone, per essere trasformate in salario . In altre parole, in un prodotto di valore che verrà poi utilizzato per acquistare altri valori, altri beni, mantenendo in tal modo, artificialmente, la macchina in funzione, solo per far sì che il rublo regga e che la Russia eviti, almeno per un po', il fallimento. Come avvenne con l'Unione Sovietica. Della quale, ci sono alcune persone, anche in Europa, che continuano a perpetuarne il ricordo, in particolare attraverso una serie di partiti comunisti piuttosto grotteschi. Mentre viviamo in attesa del Gogol', o del Dostoevskij del futuro, i quali, in un romanzo, dipingeranno il volto rozzo di una società ridotta a vendere sul mercato di guerra le anime dei propri membri .
- Alain Lecomte - Pubblicato il 18/3/2025 su Rumeur d'espace -
NOTE:
1 - "Histoire et impuissance. Mobilisations de masse et formes contemporaines d’anticapitalisme", saggio pubblicato in Public Culture, vol. 18, n°1, ristampato in "Critique du fétiche capital, Le capitalisme, l’antisémitisme et la gauche", tradotto da Olivier Galtier e Luc Mercier, PUF, 2013.
2 - A questo proposito, si veda il libro di Robert Kurz e Ernst Lohoff: "Le fétiche de la lutte des classes – thèses pour une démythologisation du marxisme", pubblicato da Crise et Critique nel 2021
3 - E sfruttare le risorse minerarie dell'Universo: l'ambizione di Musk è quella di estrarre minerali dagli asteroidi.
4 - Compreso, come detto nella nota precedente, pronto ad intensificare la conquista dello spazio in questa direzione.
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