sabato 5 aprile 2025

La Natura esiste !!

«Se la natura non esiste, tutto (o quasi) è permesso»
- Un commento critico a "La nature existe. Par-delà règne machinal et penseurs du vivant", de Michel Blay e Renaud Garcia -
- di José Ardillo -

"La nature existe" (L'échappée, 2025), di Michel Blay e Renaud Garcia, è un libro da combattimento, quasi un manifesto che di fronte alla controversa nozione di "natura", malgrado le sue modeste dimensioni, adotta una posizione ben chiara. Da qualche anno, infatti, è in corso un dibattito, in parte terminologico, in parte filosofico, che ha portato a una divisione tra i diversi partigiani di una critica della civiltà capitalistica industriale. Michel Blay e Renaud Garcia difendono qui una posizione che in passato ha già fatto parte di una corrente che univa gli anarchici naturisti dell'inizio del XX secolo ai primi movimenti ecologisti e antinucleari degli anni '70.

   Nella loro introduzione, gli autori stabiliscono alcuni elementi fondamentali, e lo fanno rifiutando la banale associazione del termine "natura" a qualsiasi principio gerarchico e autoritario, sostenendo assai giustamente che l'esistenza della natura, o di una natura, è condizione necessaria della nostra libertà: «La natura, è senza un perché, come lo siamo noi. È questa la nostra libertà essenziale. Quella dei naturisti che si accontentano di affermare che il loro onore consiste nell'essere nati dalla natura; e pertanto dediti a usare le loro capacità e abilità riflessive per abbellire la vita, dentro e fuori di loro. Ora, se c'è la nascita, c'è anche, ripetiamo, un enigma. In breve, esiste l'incontrollabile» (p. 25).

  «Da incontrollabili... Teniamo presente questa nozione, che è al centro della discussione che questo libro propone. Nel secondo capitolo entriamo nel vivo del dibattito, quando le teorie di Latour e Descola vengono sottoposte ad analisi critica. Questi autori, con il pretesto di inaugurare una nuova antropologia, che si suppone ostile a qualsiasi dualismo riduttivo, sono arrivati a cancellare la distinzione tra natura e cultura, o meglio, tra ciò che è naturale e ciò che è artificiale, delineando così un'ecologia che può essere obbedientemente adattata alle esigenze della nuova società tecnologica. In altre parole, questa tragica tensione tra tecnologia e cultura umana - evidenziata dall'ecologia critica del XX secolo, cede il passo a una felice conciliazione, a un'ibridazione tra umanità e artificio, in cui, per evitare eccessi e deplorevoli sprechi materiali, rimangono da fare solo alcuni piccoli accorgimenti. Era pertanto necessario porre fine alla "natura", in modo da rendere così possibile un'ecologia che fosse adatta a un'artificializzazione sempre più presente. Gli autori ci dicono: "[...] dopo la morte di "Dio" (Nietzsche) e, poi, la scomparsa dell'"uomo" - come un volto di sabbia cancellato dalla risacca (Foucault) - diventa ora necessario emanciparci da un altro valore superiore, da un altro "mondo posteriore", che grava con tutto il suo peso sulla vita individuale e collettiva. […] Se abbiamo capito bene, l'unica ecologia oggi accettabile, sarebbe quella che farebbe a meno della natura» (*1) (p. 30).

   Da qui in poi, Garcia e Blay smascherano l'animismo confusionista di Descola, presumibilmente anticapitalista, secondo il cui punto di vista si tratterebbe di opporre il "vivente", anziché la natura, ai sistemi di dominio in atto, denunciandone la sua ambizione di monopolio e di accaparramento. Per Descola, l'animismo di alcuni popoli indigeni, privi di qualsiasi nozione di natura, va oltre il binario tipico della civiltà occidentale, integrandosi in una visione molteplice e inclusiva. La nozione di "vivente" - che sostituisce quella di "natura" - sosterrebbe perciò un'opposizione più efficace al capitalismo. Ma, per gli autori, questa estrapolazione ci impedisce di comprendere, sia le grandi sfide della società tecnologica sia i suoi pericoli: senza una nozione di natura, non possiamo comprendere quale sia la portata storica del dominio industriale. «Infatti, al di là dell'appropriazione capitalistica, esiste il mondo industriale, ovvero l'ordine del Tecnico, vale a dire, un'articolazione precisa, e storicamente datata, tra scienza, sistema tecnico e natura» (p. 35). L'animismo spazzatura di Descola, ci porta alle contraddizioni, come sottolineano ironicamente gli autori:  « Si abbandona ciò che oppone una "fisicità oggettivata" - una macchina - a una fisicità soggettivizzata - un corpo. [...] Capiamo che rimanendo attaccato a queste vestigia, il pensiero contemporaneo impedisce a sé stesso di vedere che un computer, o un sistema automatizzato, ci invitano a riconoscerli come partner nelle relazioni sociali.» (p. 37). L'ibridazione tra l'umanità e il sistema tecnologico sarebbe pertanto, secondo Latour e Descola, la soluzione all'impasse, creata dall'estrema polarizzazione tra industrialismo e naturalismo, due tendenze radicali condannate, malgrado tutto, a mettersi d'accordo, in una fiducia illuminata da un monismo inclusivo e redentore. Blay e Garcia analizzano anche il modo in cui, originariamente, le teorie di Latour e Descola fossero basate sul lavoro di Simondon; un precursore della comprensione monistica della tecnologia, il quale fornisce le basi per l'accettazione degli oggetti tecnici, in quanto parte del futuro dell'essere umano. Di fronte all'alienazione tecnologica (la famosa "vergogna prometeica" di Günther Anders), Simondon fornisce una visione inclusiva: un divenire-umano della tecnologianell'opera di Simondon, l'oggetto tecnico diventa un quasi-vivente» p. 39). Naturalmente, alla fine di questo capitolo, gli autori ci ricordano opportunamente la confusione egoistica tra tecnica e tecnologia.

   Questo capitolo, si conclude con la denuncia dello status di una tale nuova classe intellettuale "ecolo-cratica", cui Descola appartiene, pretendendo di essere un ecologista anticapitalista, nello stesso momento in cui crea le condizioni ideologiche per poter bloccare una vera critica del sistema industriale. («Riassumendo: sotto le spoglie di queste cosmologie prospettiche, che combinano credibilità decoloniale e attenzione al vivente, i "nuovi pensatori" dell'ecologia politica, rinnovano l'accettazione della società tecnologica così com'è»p. 54). I capitoli 2 e 3, sono strutturati intorno a due assi principali, l'artificializzazione della riproduzione umana e lo sviluppo storico delle nozioni di tempo e lavoro. Esse ci permettono di approfondire gli aspetti fondamentali della questione: se, da un lato, nell'ambiente radicale, la crescente artificializzazione della nascita - seguita poi dal suo susseguirsi di dibattiti appassionati - è la massima espressione dei disaccordi riguardo la nozione di "natura"; ecco che invece, agli albori della società industriale, l'analisi storica di concetti come "tempo" o "lavoro" rivela la progressiva astrazione di questi concetti. Fin dall'inizio, favorisce una facile visione artificialista della natura, concepita come natura-macchina o come puro stock di risorse e materie prime. («La natura, a causa della nuova idea che ora ne abbiamo, soggetta all'ordine del Tecnico, viene assimilata a un'immensa riserva di lavoro (in termini moderni, di forza o di energia), rispetto alla quale rimane, con l'aiuto di poche macchine, solo da estrarre o estirpare, in modo da creare valore» p. 101). In ogni caso, e sulla base della discussione sul concetto di "natura", sarebbe stato utile gettare luce storica sulla volontà di sottrarre tale concetto al campo del pensiero e dell'esperienza nell'epoca contemporanea. Questa potrebbe essere una delle tante possibili letture di Nietzsche, nello specifico quella fatta da autori come Foucault, Derrida o Rosset nei primi anni '70. In particolare, "L'antinature" (1972) di Clément Rosset costituisce un eccellente esempio di tale tendenza. Ho letto "L'Antinatura" molto tempo fa, ma ciò che ne rimane è che questo libro ha posto le basi di un "monismo felice" che legittima la distruzione delle barriere tra natura e artificio. Sebbene la physis del pensiero greco antico venga evocata dagli autori, il riferimento a quel concetto è troppo frettoloso. Sarebbe stato il caso di sottolineare, anche se in modo succinto, come l'abbandono delle physis a favore di leggi (nomos), il cui referente privilegiato è la città (polis), rifletta proprio il deterioramento dell'esperienza sensibile della natura nel mondo occidentale; un deterioramento che il Romanticismo denunciava con chiarezza. La critica sprezzante di Rosset agli autori della Scuola di Francoforte, o a Wilhelm Reich - rimasti i difensori di una "natura umana", in contrapposizione a una società tecnica e alienante - oggi si conclude con l'affascinante catalogo di quei gioiosi cyborg liberati che la postmodernità ci offre (*2). Inoltre, Blay e Garcia cercano di fare dell'artificializzazione della riproduzione umana una questione chiave, fino a proporla come una demarcazione tra un'ecologia veramente radicale, da una parte, e una puramente "ecolo-cratica", dall'altra: «Oggi, l'etichetta "tecnocritica" è molto utile per poter presentare garanzie di correttezza ideologica: il lavoro (necessario) relativo al flagello dell'estrattivismo, alle automobili senza conducente, all'abbandono della trazione animale, o ai miraggi della "transizione" ecologica, è effettivamente "tecnocritica". Inoltre, non appena si arriva a criticare la macchinizzazione della riproduzione, prevale il silenzio, o le caute giustificazioni espresse in pubblico, alle quali corrisponde una critica risoluta in privato».(p. 67).

  Senza volerne sminuire l'importanza, mi sembra che l'argomento possa essere ribaltato. Per noi oggi, il problema è quello per cui molti autori, sociologhi, giornalisti e attivisti che si dichiarano sensibili alle tematiche ecologiche, e che trattano questo argomento perché ha un sapore polemico, spesso si allontanano da temi quali la trazione animale, i quali vanno a toccare i fondamenti stessi della riflessione sull'autonomia, ma che sono molto meno "glamour" per i media. La riproduzione artificiale è senza dubbio importante perché costituisce l'apice del processo di artificializzazione della vita nella società industriale. Ma alla fine, essa non è più importante di tanti altri aspetti, come la produzione di cibo o di energia che influenzano assai più il "nocciolo duro" di un'ecologia coerente. Certo, la prima cosa che facciamo nella vita è nascere, ma negli anni a venire, mentre alcune persone si dovranno sforzare di sviluppare assistenza tecnica per la riproduzione umana, noi dovremo continuare a vestire, alloggiare, nutrire, lavare, trasportare, ecc. tutti questi bambini concepiti e nati in modo naturale o innaturale, all'interno di strutture tecniche nelle quali l'artificializzazione sarà ormai così radicata da arrivare a sembrare una seconda "natura". In altre parole, non credo che sia appropriato considerare la riproduzione umana come se si trattasse di un indicatore, sarebbe piuttosto un elemento, tra gli altri, della critica ecologica (e non necessariamente il più prioritario). Che dire di più? Vale semplicemente la pena aggiungere che il libro di Blay e Garcia si conclude con una chiara difesa della nozione di natura, una natura che è tanto "incontrollabile", fonte di enigmi e interrogativi permanenti, quanto può esserlo l'unico ambiente possibile in cui abitare e costruire la nostra autonomia attraverso alleanze che sono sempre fragili e pericolose. L'idea è quella di contribuire a creare una comunità (“compagneria”), una comunità promettente, «quella degli esseri umani che riconoscono sé stessi in quanto natura che prende coscienza di sé, in un tempo che alla fine è meno ciclico di quanto sia a spirale, arricchito di tutto ciò che possono creare degli esseri politici viventi in un ambiente vivente».

- José Ardillo - Pubblicato il 2/4/2025 su Les Amis de Bartleby -

Note:

1. Va detto che questa indagine sulla nozione di "natura" fa parte del progetto critico complessivo di Renaud Garciariguardo il postmodernismo; ma se ne "Le désert de la critique" (2015) eravamo rimasti in un quadro piuttosto razionalista (Kant, Russell e persino Kropotkin e Bookchin), qui i riferimenti a Grothendieck, ai naturisti, a Landauer o a Giono ci collocano in quella che è un'eterodossia, a nostro avviso, più fertile.

2. Per vedere questo passaggio dal pensiero della physis al pensiero della polis, si può leggere "De physis a polis. La evolucion del pensamiento filosofico desde Tales a Socrates" (1975), di Antonio Escohotado. La parte finale di questo libro è una risposta coerente all'Antinatura di Rosset.

Michel Blay & Renaud Garcia, "La nature existe. Par-delà règne machinal et penseurs du vivant". L’Échappée, 2025

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