"LOTTE DI LIBERAZIONE NAZIONALE" (Medio Oriente, Africa e Asia):
Le sirene mortali del populismo "antimperialista"
di pantopolis.over-blog.com
Di fronte al conflitto permanente che dal 1948 ha opposto gli Stati arabi allo Stato di Israele, la corrente di Bordiga era rimasta internazionalista, insistendo sempre sul fattore "lotta di classe internazionale". Così, in un articolo del giugno 1948 si poteva ancora leggere: «In Palestina non si difende la libertà, l'indipendenza, o un principio eterno: ciò che è in gioco, è il regime internazionale di sfruttamento, di imperialismo e di guerra. Sarà solo per mezzo della rottura rivoluzionaria di questo regime che i proletari arabi ed ebrei otterranno la libertà e la pace, ponendo così fine alla loro "schiavitù"» [*1]. Questa posizione verrà ulteriormente difesa durante la Guerra dei Sei Giorni del giugno 1967. L'organizzazione, guidata da Bruno Maffi, delfino di Bordiga, era estremamente chiara in un articolo dal titolo: «Non ci sarà pace in Medio Oriente, o in qualsiasi altro luogo, fino a che il Capitale regnerà supremo ovunque» [*2]. Bisogna notare come, in questo articolo, non si trattasse di sostenere il "campo arabo", o di assimilare i proletari israeliani a qualcosa di simile ai "pieds-noirs": «Contro di loro, i proletari arabi e israeliani hanno il medesimo nemico: o essi combatteranno INSIEME per destabilizzarlo, in modo che così i proletari delle grandi metropoli imperialiste – i quali hanno costruito le loro fortune sulla propria carne – saranno i PRIMI ad aver dato l'esempio di una battaglia che non conosce alcun confine di razza, né di Stato o di religione; OPPURE ci sarà la guerra, laggiù come dappertutto, oggi come domani» [*3]. Ma poi, a partire dal 1972, il tono cominciò a cambiare, dapprima "teoricamente", per cui "Il Programma Comunista" ripubblicava un vecchio articolo di Bordiga, dal titolo "Oriente", e poi - esaustivamente - le tesi di Baku, nelle quali si faceva appello alla «guerra santa» contro l'imperialismo anglosassone, sostenuta dalle dichiarazioni di Zinoviev e di altri [*4]. Poco dopo, in ottobre, a seguito del massacro degli atleti israeliani, a Monaco di Baviera, da parte del gruppo terroristico palestinese "Settembre Nero", e la "pesante" risposta militare dello Stato israeliano [*5], Il gruppo bordighista francese si poneva contro entrambi i campi, ma senza condannare esplicitamente "Settembre nero", sottolineando come la violenza terroristica fosse essenzialmente borghese e istituzionale: «Ciò che il mondo borghese disapprova, non è la violenza e il terrore in sé, quanto piuttosto la violenza e il terrore illegali, nel mentre che si affida a una sua legge indistruttibile (quando non la esalta cinicamente), vale a dire, al terrore di Stato e militare sancito dalla legge e dal diritto internazionale». Alle lotte di liberazione nazionale, cui viene concessa un po' di "simpatia", i "programmisti" bordighiani oppongono la cosiddetta "armonia" della «dittatura universale del proletariato»: «La politica proletaria non nega affatto i problemi nazionali, ma non accetta la possibilità di risolverli nel quadro del capitalismo. Non rifiuta la propria simpatia per le minoranze nazionali oppresse in rivolta, ma dà loro il proprio appoggio solo al fine di assicurare il trionfo della concordia internazionale dei lavoratori. Alle soluzioni bastarde dell'imperialismo, oppone le soluzioni armoniose (sic) della dittatura proletaria universale».
L'espulsione della tendenza di sinistra, raggruppata intorno a Lucien Laugier (Francia) e a Carsten Juhl (Svezia) che difendevano le posizioni "KaPéDiste", accelerò la regressione dei "programmisti" verso le Tesi nazional-populiste difese al Congresso di Baku 1920. Nel corso della guerra del Kippur - nell'ottobre del 1973 - la risposta appariva ora già meno "classista", e pertanto anche meno bordighiana. Il proletariato del Medio Oriente era scomparso sotto l'etichetta assai più populista di «masse rurali e urbane», un modo questo per allontanarsi dalla grande classe operaia dell'Egitto e di Israele: «… non ci sarà pace in Medio Oriente fino a che l'imperialismo mondiale, e insieme a esso le borghesie locali e le classi dominanti che gli sono strettamente legate..., non sarà stato rovesciato da una gigantesca ondata di classe che abbia finalmente unito i proletari delle metropoli capitalistiche dell'Ovest e dell'Est alle masse rurali e urbane, ancora oggi scagliate dai loro sfruttatori l'una contro l'altra in nome del sangue, della razza o della religione» [*6]. Una posizione questa, bisogna sottolinearlo, molto più internazionalista di quella dei trotskisti che invocavano invece l'appoggio delle borghesie arabe, senza neppure menzionare l'esistenza di proletari ebrei e arabi: «Anche se i rivoluzionari proletari devono essere risolutamente a favore della vittoria degli Stati arabi, poiché una vittoria israeliana rafforzerebbe il dominio imperialista in Medio Oriente, non devono tuttavia lasciare che la gente creda che la lotta antimperialista passi attraverso la guerra contro Israele, e che possa essere condotta dalle borghesie arabe» [*7]. Il PCInternazionalista adottò gradualmente questa posizione trotskista, schierandosi apertamente dalla parte dei combattenti delle milizie palestinesi, i fedayn, «le vere vittime della guerra civile». [*8]. Insomma, venne dichiarata guerra a Israele: «le masse sfruttate del Libano e della Palestina... devono affrontare lo stato "pied-noir" di Israele», che così veniva finalmente paragonato all'Algeria coloniale francese. I lavoratori israeliani e palestinesi venivno così messi da parte, in modo da poter meglio lodare i «magnifici impulsi delle masse sfruttate e povere della plebe» (sic). In effetti, la guerra del Kippur segnò un punto di svolta, che nel gennaio del 1974 venne evidenziato dalla rivista del gruppo "Rivoluzione internazionale" [*9]. Il PCI “programmista”, nella sua retorica, diveniva sempre meno proletario, fino ad arrivare a sostenere, a volte con linguaggio maoista (“marxista-leninista”), le lotte di liberazione nazionale in Medio Oriente e nell'Africa nera, e le “rivoluzioni contadine” nella penisola indocinese, da cui gli Stati Uniti si erano appena ritirati dopo la visita di Nixon in Cina. In un articolo dal titolo «Onore a Luanda e ai proletari dell'Africa nera»[*10], l'organizzazione bordighista francese passava allegramente da una visione marxista, basata sulla lotta di classe, a una visione antimperialista e razzista della storia. "Le Proletaire" si rallegrava per l'intervento delle truppe cubane, supervisionate da consiglieri russi, fatto per respingere le truppe sudafricane e consolidare il nuovo Stato angolano: «La vittoria della giovane Repubblica dell'Angola, e la disfatta delle truppe avversarie su tutti i fronti, rappresenta un evento di notevole significato... Oggi, potentemente aiutato da un forte contingente cubano e da un impressionante contributo di attrezzature e consiglieri russi, l'MPLA (Movimento Popolare per la Liberazione dell'Angola [*11]) non solo mise in rotta l'inconsistente FNLA e respinse le truppe e i mercenari di Mobutu in Zaire, ma respinse anche la colonna di intervento sudafricana.» Sebbene l'articolo di "Le Prolétaire" sottolineasse gli appetiti imperialisti di una Russia che poteva «così collocarsi sulla rotta del petrolio e dei minerali che vanno dall'Oceano Indiano all'Europa e persino all'America», i bordighisti erano a ogni modo entusiasti di questa vittoria del MPLA e dei cubani, considerata "storica". Fu una vittoria "razziale" oltre che morale, e persino "proletaria": «Questa vittoria dell'MPLA sul Sudafrica... supera di gran lunga la limitata importanza dell'impegno militare in sé. È un formidabile incoraggiamento alla lotta degli sfruttati e degli oppressi in questa parte dell'Africa; la più industriale e allo stesso tempo anche la più esplosiva del continente. È una vittoria del movimento per l'emancipazione della razza nera contro l'oppressione secolare perpetrata dalla razza bianca. Il successo militare diventa così una vittoria morale che deve far soffiare su tutta l'Africa oppressa un vento di liberazione, il quale prima o poi arriverà fino allo stesso imperialismo russo. Ma c'è un'altra cosa di cui il proletariato internazionale ha mille motivi per rallegrarsi: sono i primi passi compiuti sulla scena politica dal giovane proletariato di Luanda e delle altre città, dai proletari e dai semiproletari delle piantagioni, e da tutte le masse sfruttate... »[*12]. Concludendo con un inno africanista, in cui vengono convocati tutti i martiri "proletari" della lotta "antimperialista": Patrice Lumumba e l'UPC (Unione dei Popoli del Camerun) [*13], che era stato così definitivamente "vendicato".
Il Congresso di Baku dei "Popoli dell'Est" (settembre 1920) verrà così trasposto all'Africa nera: «Si apre una nuova era per l'Africa "arretrata", che ha appena dato una lezione all'Europa e all'America "civilizzate". Onore all'Africa»[*14]. La stessa posizione verrà poi assunta dagli scismatici del gruppo fiorentino "Il Partito Comunista" (guidato da Giuliano Bianchini*). Nel febbraio del 1976, quest'ultimo chiamò alla formazione di «nuclei comunisti rivoluzionari», «per partecipare, in modo organizzato e sul proprio terreno di classe, prima alla guerra antimperialista di liberazione, e poi alla rivoluzione comunista antiborghese»[*15]. Pochi mesi dopo, il PCInternazionalista si spinse ancora più in là nella sua lotta antimperialista, allorché i Khmer Rossi, appoggiati dalla Cina, entrarono a Phnom Penh, per svuotarla della sua popolazione, deportata poi nei campi di lavoro e di sterminio. In tal modo, salutavano così il "terrore rivoluzionario" applicato in modo massiccio dai "sanculotti" Khmer:
«Ogni sincero militante rivoluzionario e antimperialista non può non sentire un dovere elementare nell'essere solidale con la rivoluzione indocinese, e in particolare con il terrore rivoluzionario tramite cui la componente più radicale del movimento indocinese difende e persegue gli sconvolgimenti economici, politici e sociali in Cambogia che - nelle loro manifestazioni più estreme - evocano i movimenti nazional-rivoluzionari che l'Internazionale di Lenin si proponeva di sostenere, spingere e dirigere nelle aree arretrate»[*16]. Il "Partito" sostiene «il terrore rivoluzionario... contro il quale la stampa al servizio dell'imperialismo si scatena con un sicuro istinto di classe, perché sa che non c'è rivoluzione vittoriosa senza dittatura, né dittatura consolidata senza terrore»[*17]. Nel 1979, l'invasione della Cambogia da parte dell'esercito vietnamita avrebbe rivelato la portata del genocidio commesso dal regime dei Khmer Rossi. Ma il PC Internazionale la considerava una semplice "tragedia", proprio come la rivoluzione russa. Ciononostante, la marcia in avanti della «rivoluzione borghese» doveva essere «accolta e promossa», «in quanto era una premessa per la nascita di un proletariato moderno»[*18]. Gli scismatici fiorentini del PC Internazionale (Il Partito Comunista), che dal 1975 al 1979 avevano taciuto sulla “questione cambogiana”, non usarono un altro linguaggio, e assolsero, a loro volta, i Khmer Rossi. Tutti i contadini khmer venivano identificati con i khmer rossi, i quali avevano perpetuato un massacro che veniva imputato alla “rivoluzione agraria” e a un “residuo” di “comunismo primitivo”:
«Combattendo da soli, i contadini Khmer hanno realizzato la propria rivoluzione radicale, una rivoluzione agraria che, come tutte le precedenti nella storia umana, è stata caratterizzata dalla sua violenza e ferocia, dall'odio per la civiltà urbana, ... da un ingenuo egualitarismo che si ricorda ancora delle forme di comunismo primitivo per lo sfruttamento della terra... Non si trattava di socialismo, ma dell'azione di uno Stato fondato – per di più – su basi socio-economiche agrarie arretrate; si trattava di misure di emergenza necessarie per la sopravvivenza stessa del nuovo Stato, intrinsecamente fragile. La borghesia e gli opportunisti, compresi i vietnamiti, sono indignati per il terrore e la ferocia manifestatisi in Cambogia, quando al contrario tale ferocia era necessaria, proporzionata agli abusi e all'oppressione che i contadini Khmer avevano subito durante i lunghi anni di sfruttamento coloniale e imperialista, da un lato, e l'isolamento e il tradimento della stessa borghesia vietnamita che si dichiarava rivoluzionaria, dall'altro... Crediamo che – mentre tutti condannavano il radicalismo sociale dei Khmer Rossi, presagio disastroso per la borghesia delle rivolte agrarie in tutta l'Indocina – allo stesso tempo tutti (Cina compresa) tirarono un sospiro di sollievo quando le truppe vietnamite entrarono in Cambogia e si dimostrarono i migliori garanti dello status quo sociale»[*19].
La sanguinosa realtà dell'oppressione, che era tanto sociale quanto razziale [*20], ha coperto tutta questa sanguinosa logorrea antimperialista. Ciononostante, nessuna delle due sezioni del Partito Comunista Internazionale ha mai osato battersi il petto a causa di questo appello al "terrore rosso" che veniva sistematicamente messo in pratica sul territorio Khmer. Avrebbe dovuto essere necessario, contemporaneamente, tanto riflettere in profondità sul fenomeno genocida che era al di là di ogni comprensione, immerso com'era nella formaldeide settaria, quanto mettere in atto una riflessione anche su questi «carnefici ordinari» la cui motivazione non era certo la «vendetta sociale» [*21]. In un ultimo sussulto, prima della crisi finale del 1982, un'assemblea generale "programmatica" del PCI - nell'autunno del 1979 - arrivò a essere in grado di proclamare «la fine della fase rivoluzionaria borghese nel Terzo Mondo», e pertanto, a partire da questo, anche il vuoto delle "doppie rivoluzioni"[*22]. Si concludeva con un rifiuto de facto delle tesi di Baku, le quali sostenevano «l'unione delle centinaia di milioni di contadini dell'Est con i proletari dell'Ovest». Da allora in poi, si apriva un nuovo ciclo mondiale che avrebbe portato «all'unione delle centinaia di milioni di proletari del vecchio e del nuovo mondo, trascinando dietro di sé, nella lotta contro le fortezze imperialiste e l'intera catena mondiale degli Stati borghesi, le masse altrettanto numerose di contadini poveri e sfruttati dei continenti dominati»[*23]. L'insurrezione della classe operaia polacca contro il capitalismo di Stato, portò il movimento "programmista" a pubblicare un Manifesto in diverse lingue. Riconoscendo che «il ciclo delle rivoluzioni anticoloniali stava volgendo al termine», affermava che «la società (era) assai matura per il comunismo» e che «sarà probabilmente nell'Europa centrale che si vincerà il primo round decisivo della prossima ondata rivoluzionaria, dopo una serie di battaglie combattute in tutti i continenti»[*24]. Alla fine degli anni '90, di fronte all'ascesa del capitalismo cinese, i "programmisti", molto indeboliti, proclamarono la fine delle rivoluzioni "nazional-borghesi" e dovettero inchinarsi alla "giovane talpa" della globalizzazione [*25]. Il processo comunista avrebbe trionfato attraverso «l'istituzione dispotica di un unico piano mondiale che, violando le leggi del mercato, metterà a disposizione di tutto il mondo tutta la ricchezza ora accumulata in un pugno di paesi iper-privilegiati a spese della stragrande maggioranza dei paesi economicamente dominati»[*26]. Questa conclusione, anticipata dal Manifesto del 1981, era in totale contraddizione con la politica "nazional-rivoluzionaria" fino ad allora difesa dal "Partito" riguardo alla questione palestinese.
Pubblicato il 31 Marzo 2025 presso PB/Pantopolis
NOTE:
[1] "Per chi si scannano i proletari ebrei ed arabi", Battaglia Comunista n° 19, 3-10 giugno 1948, p. 1.
[2] "Non vi sarà pace né nel Medio Oriente, né altrove, finché regna sovrano dovunque il capitale", Il programma comunista n° 11, 14-28 giugno 1967, p. 1. Questo editoriale è probabilmente di Bruno Maffi che ne era il caporedattore.
[3] Il giornale francese Le Prolétaire n° 45, luglio-agosto 1967, d'altra parte, sottolineava che "la fondazione di Israele è la falsa soluzione di un problema sociale". Il gruppo del PCI in Algeria, inizialmente composto da un buon numero di operatori umanitari francesi e italiani (come Salvatore Padellaro*), ha chiesto il rifiuto di ogni patriottismo e fraternizzazione sui fronti militari: «A voi proletari palestinesi, arabi e israeliani, diciamo: fraternizzate, gettate le armi, meglio ancora, rivolgetele contro i vostri sfruttatori... Viva la lotta di classe degli operai contro la guerra della borghesia. Viva la lotta per la rivoluzione sociale».
[4] "Le tesi sulla questione nazionale e coloniale al primo congresso dei popoli d'Oriente (Baku, 1920)", Il programma comunista n° 12, 10 giugno 1972; "Il discorso Zinoviev al primo congresso dei popoli d'Oriente", Il programma comunista n° 14, 8 luglio 1972; «Le tesi sulla questione nazionale e coloniale al primo congresso dell'Internazionale comunista», Il programma comunista n° 16, 29 agosto 1972, p. 2.
[5] "Filisteismo della non violenza", Il programma comunista n° 18, 27 settembre 1972, p. 1. Vedi anche: "Dall'attacco di Monaco alla guerra del Libano", Le Prolétaire n° 135, 2-15 ottobre 1972.
[6] Enfasi aggiunta. "Ancora il Medio Oriente", Il programma comunista n° 19, 11 ottobre 1973, p. 1; "Le Moyen-Orient en flammes", Le Prolétaire n° 159, 22 ottobre-4 novembre 1973. La versione italiana aggiungeva come "nemico di classe" "l'ignobile Sinedrio [tribunale religioso e civile] dei loro stessi sfruttatori". Questa frase è scomparsa dalla versione francese.
[7] «Il conflitto in Medio Oriente: perché i rivoluzionari sono nel campo dei paesi arabi", Lutte de classe n° 14, novembre 1973 [Mensile dell'organizzazione trotskista francese "Lutte Ouvrière"]. Ha aggiunto: «La lotta per l'emancipazione dei paesi del Medio Oriente, nell'attuale contesto di dominazione imperialista, può comportare la guerra contro Israele. Ma la guerra contro Israele non è un mezzo per abbattere e distruggere l'imperialismo».
[8] "Face sanglante du Moyen-Orient, cynicisme d'une guerre, cynicisme d'une paix", Le Prolétaire n° 160, 5-18 novembre 1973.
[9] Cfr. l'articolo di Chardin: "La miseria dell'invarianza", che sottolineava l'"abbandono del terreno di classe" dal Medio Oriente al Cile. Questo articolo si faceva beffe dei "piccoli scrittori del proletariato che invocano movimenti 'audaci', 'dispotici' di 'giacobini' e di 'sanculotti'", che "sostituiscono la guerra delle razze alla guerra delle classi" e si aggrappano, come cattivi acrobati, a "una mitica invarianza di un programma invariante che non è mai esistito". L'autore si lascia andare alla fine con una piccola "parola di Cambronne": "a forza di essere stupidi, si diventa odiosi" [Révolution internationale n° 8, Parigi, marzo-aprile 1974, p. 10-16].
[10] "Honneur à Luanda et aux prolétaires d'Afrique noire", Le Prolétaire n° 214, 21 febbraio-5 marzo 1976, pp. 1-2.
[11] Originato dal Partito Comunista dell'Angola, l'MPLA è stato fondato nel dicembre 1956. Stabilendo il suo quartier generale fuori dall'Angola portoghese, sia ad Algeri che a Conakry, ricevette il sostegno dell'imperialismo russo, mentre il movimento rivale del FNLA ricevette il sostegno della Cina, del Congo-Kinshasa di Mobutu e degli Stati Uniti. Dal 1975 al 1992, l'MPLA, sostenuto da Russia e Cuba, governò il paese come un unico partito. Nel 1976, l'MPLA e le truppe cubane (Operación Carlota) costrinsero l'esercito sudafricano a ritirarsi dal territorio angolano, lasciando i suoi rivali UNITA e FNLA senza alcun sostegno se non quello degli americani e dei cinesi. Sotto la presidenza di Ronald Reagan (1981-1989), i sudafricani ricevettero tutto l'appoggio americano necessario per penetrare militarmente in Angola.Sostenuti dal FNLA, furono sconfitti dall'esercito cubano, che consisteva di più di 30.000 uomini, nella battaglia di Cuito-Canavale (12-20 gennaio 1988). Nel contesto del crollo del blocco sovietico e del regime razzista dell'apartheid nel 1991, la "Guerra Fredda" è finita... per un po'. Fu formato un governo di unità nazionale con l'UNITA e il FNLA, in cui giocarono solo un ruolo fantasma. L'MPLA è ora membro dell'Internazionale Socialista. La guerra civile, di fatto una guerra tra le grandi e le piccole potenze imperialiste, in cui sono intervenute tutte le grandi potenze, ha provocato un milione di morti. L'unico "onore dei proletari africani", celebrato dal PCI nel 1976, fu quello di essere stati massacrati per una causa e interessi che non erano i loro.
[12] Ibid. Enfasi aggiunta.
[13] L'UPC, un partito nazionalista camerunense, è stato fondato nel 1948. Sostenuto da Pechino, si ribellò alla potenza coloniale francese nel 1955 e poi ai nuovi leader camerunesi sostenuti dalla Francia. Uno dei capi della guerriglia dell'UPC, Félix-Roland Moumié, fu avvelenato a Ginevra da spie francesi nell'ottobre del 1960. Un altro leader, Ernest Ouandié, fu fucilato il 15 gennaio 1971 su ordine del dittatore Ahmadou Ahidjo, che rimase al potere fino al novembre 1982.
[14] Ibid. Enfasi aggiunta.
[15] "Angola: indipendenza nazionale tra il fuoco incrociato del imperialismo", Il Partito Comunista n. 18, Firenze, febbraio 1976, pp. 2-3; "Angola: La borguesia nazionale rinuncia alla rivoluzione", Il Partito Comunista n° 6, febbraio 1975: "Guerra santa contro l'imperialismo". Enfasi aggiunta.
[16] "La LCR et le Kampuchéa révolutionnaire, une caricature d'internationalisme", Le Prolétaire n° 225, 24 luglio-3 settembre 1976, p. 4. Enfasi aggiunta.
[17] Ibid. Enfasi aggiunta.
[18] "Il socialismo è internazionalista e internazionale o non è", Le Prolétaire n° 286, 24 marzo-6 aprile 1979, p. 1.
[19] "Nella guerra d'Indocina affonda il mito del socialismo vietnamita", Il Partito Comunista n° 54, Firenze, febbraio 1979, p. 2. Enfasi aggiunta.
[20] Cfr. Ben Kiernan, Il genocidio in Cambogia, 1975-1979. Razza, ideologia e potere, Gallimard, Parigi, 1998.
[21] Possiamo leggere questo racconto clinico di uno psichiatra francese, a contatto con i rifugiati Khmer: "(I carnefici) ignorano la dialettica e non riescono a distinguere tra un crimine politico e un assassinio scellerato. Non sono stati formati nella scuola del partito (sic). Molti di loro venivano dalle campagne ed erano soprattutto buoni coltivatori di riso, anche buoni vicini di casa, che condividevano il loro magro reddito con i parenti... Senza odio, senza passione, senza desiderio di vendetta sociale, senza piacere, uccidono molti più uomini, donne, bambini e vecchi di quanti la loro memoria permetta loro di contare oggi. Circa duemila con le sue stesse mani, uno di loro dirà... In effetti, non conosce il numero, se n'è dimenticato". Per quanto riguarda la classe dirigente dei Khmer Rossi, guidata da Pol Pot, essa "considerava i vivi destinati alla distruzione solo come potenziali cadaveri" [Richard Rechtman, "To Kill and Not to Let Live. Osservazioni sulla somministrazione genocida della morte", Revue française de psychanalyse, PUF, marzo 2016, n° 1, tomo LXXX, p. 137-148].
[22] "La fine della fase rivoluzionaria borghese nel 'Terzo Mondo'", Programme communiste n° 83, luglio-settembre 1980, pp. 23-58.
[23] Ibid.
[24] Opuscolo n. 17, Dalla crisi della società borghese alla rivoluzione comunista mondiale. Manifesto del Partito Comunista Internazionale. 1981 (supplemento al n. 332 di Le Prolétaire, 20 marzo-2 aprile 1982). Questo Manifesto doveva essere pubblicato in 10 lingue, tra cui il farsi, l'arabo e il turco.
[25] Questo è stato sottolineato con forza negli anni '90 dall'organo "programmista" italiano: "E' al lavoro la talpa della 'globalizzazione' capitalistica", Il programma comunista n° 11/12, dicembre 1997. In francese: "La talpa della 'globalizzazione' capitalistica è all'opera", Cahiers internationalistes n° 5, Milano, primavera 1998, pp. 1-3.
[26] Ibid.
Nessun commento:
Posta un commento