Il Vendicatore Protezionista
- di Tomasz Konicz -
Ne volete ancora? Quando si parla di tariffe e di barriere commerciali, il Presidente degli Stati Uniti è noto per non essere certo da meno. Donald Trump ha reagito all'annuncio fatto dall'UE, relativo alle misure di ritorsione causate dai dazi statunitensi sull'alluminio e sull'acciaio, includendo anche quelle sulle bevande alcoliche, e minacciando tariffe punitive astronomiche, del 200%, su vini e spumanti europei. Finora, questa strategia di escalation ha funzionato: allorché la provincia canadese dell'Ontario, nell'ambito della guerra commerciale nordamericana, aveva annunciato tasse del 25% sulle esportazioni di elettricità verso gli Stati Uniti, Trump ha immediatamente minacciato di raddoppiare i dazi statunitensi su tutte le importazioni canadesi di metalli al 50%; e l'Ontario ha di conseguenza ritirato la sua tassa sulle esportazioni.
In realtà, va detto che gli Stati Uniti hanno un vantaggio strategico nelle guerre commerciali, dal momento che il loro deficit commerciale è gigantesco (918,4 miliardi di dollari nel 2024). Ed è proprio tale deficit quello che dovrebbe tendere a diminuire nel corso delle guerre commerciali, mentre, da parte loro, la maggior parte dei partner commerciali degli Stati Uniti dovrebbe invece vedere ridotte le proprie esportazioni. Trump sta puntando a superare le turbolenze a breve termine causate dalla grande svolta protezionistica, in modo da ottenere così il suo auspicato risultato a lungo termine, sotto forma di una reindustrializzazione degli Stati Uniti in vista delle prossime elezioni. Ma in realtà, gli Stati Uniti stanno tentando di reindustrializzarsi a spese di Paesi e aree economiche per le quali le industrie di esportazione degli Stati Uniti finora hanno rappresentato un programma di stimolo economico finanziato dal credito. Di fatto, anche l'economia globale, che nell'era neoliberista si reggeva sempre più sul credito, finora ha funzionato seguendo questo schema: nell'economia globale, gli Stati Uniti avevano finito per assomigliare a un buco nero che assorbiva tutta la produzione industriale in eccesso; in modo da poter così ottenere, sui mercati finanziari in rapida espansione, prestiti nella valuta di riserva mondiale, ossia in dollari USA. In tal modo - in quanto centro della finanziarizzazione neoliberale del capitalismo - negli Stati Uniti, nell'ambito di cicli di deficit in costante crescita, sono confluite gigantesche eccedenze di esportazione. Mentre, in direzione opposta, ha avuto inizio un flusso di strumenti e di titoli di debito, facendo sì che in tal modo la Cina, ad esempio, diventasse nel corso degli anni il principale creditore estero degli Stati Uniti (attualmente lo è il Giappone).
Nell'era neoliberista, il debito globale è aumentato assai più rapidamente di quanto abbia fatto la produzione economica globale (passando, da circa il 110% all'inizio degli anni '70, a oltre il 250% nel 2020) ed è proprio attraverso questi cicli di deficit che è stata alimentata la globalizzazione. Questa edificazione neoliberista della Torre del Debito -che negli Stati Uniti ha alimentato l'illusione di una crescita trainata dai mercati finanziari - ha prodotto piuttosto una vera e propria economia globale della bolla finanziaria, divenuta nel frattempo, prima instabile, con lo scoppio della bolla immobiliare nel 2008, e poi insostenibile, con l'impennata dell'inflazione, a partire dal 2020. Trump è pertanto un prodotto della crisi, il cui Protezionismo punta a dare una risposta a quei processi di disgregazione sociale che hanno accompagnato la deindustrializzazione e il crollo dell'economia della bolla finanziaria. E non è affatto un caso che tutto ciò assomigli al protezionismo degli anni Trenta, quando il sistema mondiale venne colpito dalla più grande crisi mai verificatasi.
Quella che sta venendo alla luce, diventando sempre più visibile, è la barriera interna al capitalismo, la quale si sta liberando della sua stessa propria sostanza - il lavoro salariato - per mezzo della razionalizzazione mediata dal mercato: dal momento che non c'è più in vista alcun nuovo settore economico che possa sfruttare il lavoro salariato in maniera massiccia, ogni area economica ora deve preoccuparsi di proteggere le proprie capacità industriali residue, dal momento che tutti stanno cercando di sostenere le proprie industrie tramite le esportazioni. Di fatto, Trump vuole una rottura qualitativa con quello che è il regime di crisi alimentato dal credito dell'era neoliberista; e in tutto questo la contraddizione è diventata quasi palpabile: ad esempio, nell'eterno protezionismo di Trump, il sistema può funzionare solo a credito; e tuttavia, allo stesso tempo, dal punto di vista sociale, economico e soprattutto politico, le conseguenze di questa economia globale in deficit non sono più sostenibili.
Ma cosa vuole Trump? In ultima analisi, la Casa Bianca sta attualmente distruggendo il sistema egemonico statunitense instaurato nel dopoguerra, perché gli Stati Uniti non possono più, o non vogliono più, sostenere i costi di questa egemonia. Trump sta invece cercando di costruire un impero statunitense che, per esercitare il potere, non si baserà più su una rete globale di istituzioni e regole, ma probabilmente si affermerà attraverso la forza diretta, in ultima analisi militare. E questo non è un segno di forza, quanto piuttosto di debolezza. Nella crisi imperialistica, il gretto calcolo di Trump, che ritiene la deindustrializzazione degli Stati Uniti come se fosse il risultato di una frode perpetrata dai concorrenti stranieri, verrà smentito, al più tardi, quando la stessa concorrenza deciderà che non esiste più alcun motivo per accettare il dollaro USA come la valuta di riserva mondiale. Gli sconvolgimenti geopolitici che oggi scuotono ciò che rimane di questo "Occidente” hanno la loro causa sistemica proprio nel limite interno del capitale che sta diventando sempre più netto.
- Tomasz Konicz - Pubblicato il 28/3/2025 su Tomasz Konicz. Wertkritik, Krise, Antifa -
Nessun commento:
Posta un commento