Un'opera incomparabile nella letteratura critica
- di Anselm Jappe -
Non è certo una novità affermare che oggi stiamo vivendo in una situazione di crisi permanente, e che la crisi ecologica e quella economica - la devastazione delle basi naturali della vita e la povertà crescente nella società - convivono in quella che è un'atmosfera di catastrofe che si fa sempre più intensa. Mentre le minacce sembrano riproporsi continuamente, mettendoci davanti a dei pericoli della cui esistenza fino a poco tempo fa non eravamo nemmeno a conoscenza - come il cambiamento climatico - o che ritenevamo fossero completamente superati - come i movimenti politici di stampo fascista - allo stesso tempo, il minimo che si possa dire è che negli ultimi decenni, il pensiero che avrebbe dovuto permetterci di fronteggiare tali minacce non si è rinnovato con la stessa rapidità e con lo stesso vigore.
La maggior parte delle volte, si è cercato di comprendere delle situazioni storicamente inedite per mezzo di categorie ereditate dal marxismo tradizionale e dal liberalismo, dalla teoria dello sviluppo o da quella del sottosviluppo, dalla giustizia sociale redistributiva e dalla democrazia rappresentativa. Tra i rari tentativi di ripensare globalmente ciò che ci sta accadendo, troviamo la "Critica del Valore" , la quale consiste in una critica radicale del valore mercantile e del denaro, del lavoro e della merce, dello Stato e del feticismo della merce, tutte cose che costituiscono le categorie centrali del capitalismo fin dai suoi inizi. La critica del valore analizza anche quella che è la crisi irreversibile in cui oggi si trovano tutte queste categorie. Si tratta di un approccio che si ispira a Marx, ma che lo fa in un modo assolutamente non «ortodosso». Nata in Germania negli anni '80 (ed in modo del tutto simile, seppure indipendentemente, negli Stati Uniti, con l'opera di Moishe Postone) intorno alla rivista "Krisis", la critica del valore ha avuto una ripercussione particolarmente importante in Brasile. Negli anni '90, il suo principale autore, Robert Kurz, è sempre stato presente sui media (scritti) e nelle università brasiliane; prima che il boom degli anni di Lula creasse la sensazione che chi parlava di una crisi fondamentale e definitiva del capitalismo avesse torto. Poi, a crisi ritornata, e in Brasile in maniera ancora più forte che altrove, resta ora da vedere se si risveglierà anche il pensiero critico.
La critica del valore, che è un approccio, un metodo, un paradigma, e non una «scuola di pensiero», ha già dato numerosi frutti. Da una parte, decine di libri e centinaia di articoli scritti da Robert Kurz (morto nel 2012) e da altri autori. La maggior parte di questi testi sono stati redatti in tedesco, e a volte in francese e in inglese; ma il portoghese è - di gran lunga - la lingua in cui troviamo il maggior numero di traduzioni. Del resto, alla zona lusofônica del mondo appartiene anche la regione dove si può trovare il maggior numero di elaborazioni e continuazioni originali di questo approccio. Sono molte le riviste, le pubblicazioni, i blog, i gruppi di discussione e i corsi universitari. Non si stratta solamente di traduzioni e di divulgazioni, ma anche di nuovi studi, sia su temi relazionati specificamente al Brasile, come su altri temi. Il fatto che si possa notare una tendenza a combinare la critica del valore con altri approcci, spesso provenienti dal marxismo tradizionale, deve essere considerato come quello che è un destino comune delle teorie che vengono ampiamente diffuse.
Non si tratta solo di un aumento quantitativo delle ricerche che si basano sulla critica delle categorie apparentemente «naturali», come lo sono la merce e il valore, il denaro e soprattutto il lavoro in quella che è la sua duplice natura (astratta e concreta). L'aumento è anche qualitativo: nuove sfere della vita, quelle che di solito, per convenzione, chiamiamo «scienze umane», vengono sottoposte ad analisi che appartengono al genere della wertkritisch.
Storicamente, la critica del valore nasce a partire da una ripresa ed un rilancio della «critica dell'economia politica» di Marx: non si tratta di teoria economica, bensì di una critica del totalitarismo economico, del dominio totale dell'economia di mercato sulla vita; qualcosa che caratterizza intrinsecamente il capitalismo. Non si trattava assolutamente di limitarsi ad «analisi economiche». Ad ogni modo, e in ogni caso, la critica del valore - ed in particolare i contributi di Robert Kurz - ha privilegiato per un lungo periodo l'analisi del versante economico della crisi del capitalismo e le sue conseguenze politiche, oltre a porre in atto un confronto con l'opera di Marx e dei suoi interpreti. Aver introdotto nell'arsenale della critica, i concetti di «forma-soggetto» e «dissociazione-valore» è poi servito ad allargare gli orizzonti. Ma mancava ancora, quasi del tutto, quello che è un aspetto essenziale per una qualsiasi teoria che abbia pretese globali: la ricerca sulla letteratura, sulle arti, sulla musica; insomma, sulla cosiddetta "cultura" in senso stretto.
Un simile compito era tanto necessario quanto difficile. Difficile perché è necessario misurarne le forze con quello che su questo terreno è il peso della tradizione marxista. Marx ed Engels hanno considerato assai poco le questioni culturali, limitandosi per lo più a pochi esempi. Ma la strada era stata aperta: si trattava del materialismo storico. Le creazioni culturali, soprattutto quelle che caratterizzano realmente un'epoca, sarebbero il «riflesso» dei conflitti di classe in quella data epoca. Si tratta del ben noto schema costituito da una «base» e da una «sovrastruttura», in cui è l'«Essere» («Sein», in tedesco) a determinare la coscienza (Bewußtsein). Tuttavia, sono stati i fondatori stessi di un tale approccio ad aver indicato anche la possibilità che esistesse una relazione non così meccanica tra questi fattori, ed una «autonomia relativa» delle sovrastrutture. A partire dagli anni '20, quando le idee di Marx vennero adottate anche al di fuori del movimento operaio, e cominciarono a confrontarsi con le altre scienze umane, ci furono numerosi autori che utilizzarono, in maniera più o meno "ortodossa", i metodi di Marx ed Engels, e talvolta arrivando perfino ad utilizzare anche i loro succinti commenti riguardo alcune opere culturali, al fine di elaborare una teoria marxista della letteratura. G. Lukács e J.-P. Sartre, H. Lefebvre e Lucien Goldmann, Theodor Adorno e Walter Benjamin, E. Bloch e H. Marcuse, L. Althusser e F. Jameson sono stati tra i più noti rappresentanti di un tale dibattito (senza contare quelli che sono stati gli studi effettuati nei paesi dell'Est, che assai spesso sono le cose più interessanti fatte lì, per non parlare di M. Bakhtin e della sua Scuola). Troviamo uno di fronte all'altro, soprattutto i difensori del "realismo", come Lukàcs, e gli autori più aperti alle esperienze della letteratura moderna e sperimentale, come Adorno (che in senso stretto non definiva sé stesso come "marxista"). Il dibattito non riguardava solo l'interpretazione che doveva essere data ad opere del passato e del presente, ma piuttosto assumeva anche, principalmente tra gli "ortodossi", un forte valore normativo: si trattava di determinare in cosa avrebbe dovuto consistere una letteratura «rivoluzionaria», o «socialista»; fino ad arrivare al punto, nei paesi "comunisti", di proibire delle opere letterarie per il fatto di non essere abbastanza comuniste. La storia di questi dibattiti, che continuarono fino agli anni '70, per poi interrompersi bruscamente in seguito, è piuttosto ricca.
In Brasile, le discussioni di teoria letteraria più o meno influenzate da Marx hanno giocato un ruolo particolarmente significativo. Tuttavia, il contributo dato da Marx a questo dibattito - sia che fosse preponderante, come in Lukàcs, o fosse solamente un elemento tra gli altri, come in Adorno - è inevitabilmente consistito nel fatto di assumere che la letteratura rifletta i conflitti sociale di un'epoca, le strategie degli attori sociali, gli sforzi per emanciparsi. Per quel che riguardava tutto ciò che non rientrasse in un tale schema, i marxisti non ortodossi chiedevano aiuto ad altre scienze, come la semiotica. La critica del valore ha riletto da cima a fondo il lascito di Marx ed ha introdotto la distinzione fondamentale tra il «Marx esoterico» (il Marx teorico del feticismo della merce, che si esprime soprattutto nel primo capitolo del Capitale e le cui analisi, che arrivano a toccare il cuore della società delle merci, sono più attuali che mai) ed il «Marx essoterico», il quale ha posto al centro delle sue analisi la lotta di classe così come esisteva ai suoi tempi. Ma qual è il punto di vista che dobbiamo assumere rispetto alla sfera culturale? Per diverso tempo, la questione non ha ricevuto troppa attenzione da parte delle pubblicazioni ispirate dalla critica del valore. Sarebbe stato possibile analizzare le descrizioni letterarie che parlavano della resistenza popolare al lavoro, tema questo ignorato dal marxismo tradizionale, il quale si incentra sul ruolo positivo svolto dal lavoro. Nella letteratura brasiliana, per inciso, troviamo dei buoni esempi di questo, cui anche allude il libro di Oliveira. Ma è facile capire che una simile prospettiva raggiungerebbe solo un ambito limitato.
È proprio qui che il concetto di «forma-soggetto» mostra quella che è tutta la sua potenza euristica. A partire dall'inizio degli anni '90, la critica del valore ha progressivamente approfondito sempre più il fatto che il «soggetto» non è un dato sovra-storico che è stato poi colonizzato dal capitalismo. Il soggetto è esso stesso una forma feticistica: la forma-soggetto costituisce una «forma a priori», allo stesso modo in cui lo sono il valore, il lavoro astratto ed il denaro. Una forma storicamente determinata, ma inconsapevole e che struttura i comportamento i pensieri delle persone - dei soggetti - a loro insaputa. Il soggetto non è il polo contrapposto al dominio capitalistico, ma esso è nato e si è sviluppato insieme a tale dominio. La forma-soggetto è apparentemente astratta e vuota di contenuto, allo stesso modo in cui lo è il valore, il quale viene creato dal lato astratto del lavoro. Tale forma considera il mondo solamente guardandolo attraverso il prisma della quantificazione e dell'astrazione di ogni e qualsiasi singolo contenuto. Nel contempo, il suo carattere astratto serve ad occultare il fatto che la forma-soggetto rimane essenzialmente legata ad una precisa figura storica: l'uomo bianco, maschio e occidentale che ha conquistato il mondo e che a partire dal 15° secolo ha sottomesso la natura. Il soggetto non corrisponde, e non è identico alla «persona» o all'«individuo». Egli è l'individuo che ha indossato la forma-soggetto allo stesso modo in cui si indossa una camicia di forza, o come ci si sdraia su un letto di Procuste. Ma questo soggetto, e la sua forma, sono venuti al mondo con le loro forme già tutte definite. Avevano già una loro storia, ed è una storia che continua ancora.
È questo il grande merito del libro di Robson de Oliveira, quello di avere svolto la prima analisi dei diversi episodi della storia della letteratura mondiale mettendoli in relazione con le tappe dello sviluppo della forma-soggetto. Egli ci parla di una vera e propria «duplice accumulazione primitiva»: sia oggettiva - la subordinazione della vita sociale alla logica del capitale, che nel corso della modernità cresce in maniera incessante - che soggettiva - la sempre maggiore importanza assunta dall'astrattificazione e dall'indifferenza, dal disinteresse (l'autore prende da Georg Simmel il concetto di «blasé») nei confronti delle strutture psichiche dei portatori di questa modernità. E ciò riguarda - va sottolineato - tutte le classi sociali, sebbene non sempre lo facciano tutte nella stessa forma: il «soggetto borghese» è una categoria assai più ampia rispetto a ciò che è solo la classe borghese. In maniera assai convincente, ci viene mostrato come la forma-soggetto, la quale non è altro che una pura astrazione, si sia costituita in Europa alla fine del Medioevo, parallelamente all'emergere del denaro, e in stretta relazione con un modo nuovo di concepire il tempo; in un preludio di quella che sarà la sua futura astrattificazione ed accelerazione. Ma questo soggetto astratto rimane mescolato per secoli a quelle che sono le forme concrete di socializzazione, e solo gradualmente si libera dai suoi legami e dai suoi compromessi con le forme pre-borghesi e concrete (che, come sottolinea Oliveira, non è che siano necessariamente migliori).
Parlando del teatro di Molière, il libro di Oliveira ci ricorda quale fosse la contrapposizione tra la vecchia aristocrazia e la nuova borghesia, ricca di denaro ma povera di cultura e di savoir-vivre. Tale contrapposizione, analizzata mille volte in termini storici e sociologici, viene descritta da Robson de Oliveira come le due fasi di un conflitto che diventerà la base dell'evoluzione del soggetto moderno: una prima fase, che si riferisce a questo soggetto moderno in formazione (la borghesia), e l'altra fase che ci rimanda ad una mentalità ancora strutturata a partire dalle forme pre-moderne di socializzazione. Quasi tre secoli dopo, per Robson de Oliveira, L'Uomo senza qualità (1930-1942) di Robert Musil rappresenta una fase storica nella quale il soggetto astratto, il soggetto della merce e del denaro, finalizzato alla pura quantificazione, ottiene una vittoria quasi completa e non deve fronteggiare nient'altro che quelli che sono gli ultimi residui di una mentalità pre-capitalista. Come caratteristiche fondamentali, troviamo l'assenza di senso del limite, la scomparsa della dimensione simbolica nei gesti quotidiani e negli scambi, dove il denaro prende il posto che aveva il dono (nel senso di Marcel Mauss), e la sparizione di quella che era un'esperienza trasmissibile, cosa che così tanto preoccupava Walter Benjamin. Evidentemente - in questi come negli altri casi citati - ciò che conta non sono le intenzioni esplicite degli autori, ma tutto quello che può essere dedotto dalle loro opere in quanto testimonianze o sintomi.
Il libro di Oliveira è prezioso anche perché mostra come il quadro di riferimento di questa analisi può dare risultati importanti anche riguardo a quanto riesce a dire sul Brasile e su alcuni suoi aspetti particolari. Constata, come hanno fatto altri prima di lui, l'assenza di una classe borghese e della sua soggettività. Ma anziché lamentarsi e sperare in una «modernizzazione» delle coscienze, vista come presupposto necessario del «progresso sociale», de Oliveira ci ricorda - citando anche quella che è stata la sua esperienza personale nel Sertão - le devastazioni prodotte da questa modernizzazione - senza tuttavia idealizzare, né in questo caso né in altri punti del suo libro, le forme sociali pre-capitalistiche. In questo contesto, mostra anche quale sia stata l'importanza della cooptazione, da parte del capitalismo, di forme che erano inizialmente di contestazione, proprio al fine del rinnovamento di quel capitalismo. Criticando Antônio Cândido, sottolinea quali sono le ambiguità del «superamento» della soggettività borghese: alla fine, la furbizia e la malandrineria appaiono solo per quello che sono, vale a dire, come un'altra strada che porta alla società competitiva. Una strada meno "efficiente" all'epoca del «primo spirito de capitalismo», weberiano, puritano e nordico, ma che ora vive la sua rivincita in quanto «terzo spirito» (Luc Boltansky), postmoderno, narcisistico e globalizzato. Questa escursione nella specificità della forma-soggetto brasiliana in relazione con le forme europee, può anche spiegare - c'è bisogno di ricordarlo? - molti avvenimenti della storia recente del paese. E sarà interessante - sebbene non piacevole . vedere quale sarà l'importanza della componente liberale postmoderna, e quale quella della componente autoritaria e conservatrice nelle nuove forme di dominio sociale che si stanno configurando sia in Brasile che altrove.
È importante sottolineare il fatto che queste interpretazioni sono molto originali; nella letteratura critica, è difficile riuscire a trovare qualcosa di paragonabile a questo. E inoltre, l'utilità che hanno queste analisi è duplice: il concetto di forma-valore ci permette di gettare una nuova luce sulla storia della letteratura, e delle forme di coscienza in generale. Nel contempo, i fenomeni culturali costituiscono un ottimo prisma che ci permette di distinguere meglio, e comprendere, le diverse fasi dell'evoluzione della forma-soggetto. Ed è altrettanto degno di nota, il fatto che tali analisi possono contribuire ad andare al di là dell'opposizione - tanto vecchia quanto inutile - tra «materialismo» e «idealismo», tra «essere» e «rappresentazioni». Infatti, il concetto di feticismo si situa al di là di una tale dicotomia, della quale il marxismo tradizionale ha fatto uno dei suoi cavalli di battaglia.
L'ultimo autore di cui tratta questo libro è Samuel Beckett, con "Aspettando Godot" (1952), "Finale di Partita" (1957) e "Giorni Felici" (1961). Per quanto Godot sia più vicino, nel tempo, all'opera di Musil, piuttosto che alla nostra epoca, si ha l'impressione che Musil descriva un mondo che è finito, mentre il mondo di Beckett appare essere di una sconcertante attualità. Qui, il soggetto vuoto e senza contenuto ha trionfato su tutto ciò che appartiene al mondo concreto, e regna ormai sovrano. Vi si potrebbe vedere quasi una realizzazione integrale della forma, una realizzazione definitiva del soggetto moderno: ma come dimostra assai bene l'opera di Beckett, il trionfo del soggetto mercantile coincide con il suo tracollo. Gli uomini mutilati di Beckett non costituiscono la negazione del soggetto borghese, bensì la sua realizzazione. Esattamente come, nella vita economica e sociale, la vittoria della forma-valore coincide con la sua rovina. Difatti, l'astrazione può vivere facendolo solo a spese di ciò che è concreto; e nel momento in cui riesce a divorarlo completamente, ecco che allora perde quella che è la sua stessa base. Il soggetto che ha realizzato sé stesso si autodistrugge, allo stesso modo in cui il capitalismo che ha abolito quasi tutte le forme di vita pre-capitalistiche provoca la sua stessa crisi: il valore è cieco ad ogni e a qualsiasi contenuto, e non può fare altro che devastare il mondo sociale e naturale. Beckett dipinge un quadro spietato della «waste land» del capitalismo. Come sottolinea Oliveira, Beckett non evoca in alcun modo un'«assurda» situazione esistenziale che caratterizzerebbe l'essere umano in quanto tale, né, al contrario, egli descrive solo la situazione del dopoguerra in Europa, ma denuncia con precisione solo quello che è lo stadio finale del soggetto borghese; che si è trasformato nella forma-soggetto di tutti quanti i membri delle società moderna, senza che vi siano più grandi differenze tra i diversi gruppi sociali.
Qui, il cerchio si chiude. La critica del valore, dopo l'analisi letteraria, torna all'analisi del mondo contemporaneo che era il suo punto di partenza, e che non costituisce in alcun modo una considerazione fuori luogo, bensì un grido di allarme. La crisi, il declino e l'autodissoluzione del soggetto non fanno sicuramente parte di un processo pacifico che darà automaticamente luogo a delle forme migliore; così come, allo stesso modo, il graduale crollo del capitalismo non implica necessariamente il passaggio ad una società emancipata. Apre solo la strada alla possibilità che ciò avvenga. Comprendere l'evoluzione storica della forma-soggetto, e la catastrofe finale a cui esso conduce non serve solo a capire la letteratura, ma serve anche ad affrontare le sfide che ci attendono.
Che si tratti dell'incapacità generale di reagire alla catastrofe climatica - un'incapacità, questa, che assume oggi dimensioni suicide - o dell'aumento di quei crimini assolutamente irrazionali, come i massacri nelle scuole o in altri luoghi pubblici («school shooting», «amok»), o che si tratti del continuo aumento del narcisismo e degli altri disturbi psichici, o di propagazione dell'odio sotto la forma del razzismo e del femminicidio, oppure della guerra contro i poveri e della nostalgia per la tortura e per la pena di morte: ciò con cui abbiamo a che fare, sono dei fenomeni quotidiani che non possono essere spiegati solo per mezzo di ragioni «materialistiche», richiamandoci agli «interessi di classe» o a delle strategie messe in atto dai dominanti. Da decenni, il capitalismo è entrato in una fase di autodistruzione. In forma embrionale, in germe, nella sua propria essenza questa autodistruzione è sempre esistita: la trasformazione - vuota di senso - del lavoro in denaro, senza relazione alcuna con quello che è il suo contenuto. I soggetti sono in gran parte (sebbene non completamente) condizionati da questa logica autodistruttiva. Le popolazioni votano spontaneamente per quel genere di oppressore che, fino ad alcuni decenni fa, avrebbe potuto prendere il potere solo con la forza. La forma-valore e la forma-soggetto - le due facce della medesima forma di base - rimandano l'una all'altra, essendo ciascuna tanto il presupposto quanto la conseguenza dell'altra.
Tuttavia, non tutto è perduto. Non ci troviamo di fronte a quella che è una condizione immutabile e irreversibile dell'essere umano, ma siamo davanti ad una forma storica. E queste forme, così come sono venute al mondo, possono anche scomparire. Comprenderle, è il primo passo per potersi liberare un giorno di esse. Questo libro costituisce un importante contributo ad una tale comprensione. L'erudizione di cui dà prova, non è un fine in sé, ma viene messa al servizio della comprensione di quella che è la più palpitante attualità; soprattutto relativamente alle particolarità della forma-soggetto in Brasile. Come sostiene l'autore, ancora non siamo uomini del tutto privi di qualità, non siamo ancora il vuoto puro; ed è ancora possibile evitare che lo diventiamo.
- Anselm Jappe -
fonte: Critica Radical
La grande questione posta da questo libro, consiste nel voler sapere in quale momento, e attraverso quali meccanismi sociali ed economici, arriviamo ad esaltare la merce in quella che è la nostra logica della vita. Diventare merce nel mondo, equivale a svuotarsi della propria soggettività, in un luogo dove dominano i nostri atti più banali. In maniera audace e creativa, "L'uomo senza qualità in attesa di Godot" va alla ricerca di un'interdisciplinarietà tra quelli che sono le conoscenze che riguardano l'essere umano. Molière, Musil, Beckett, Caio Prado, Adorno, Marcuse e Robert Kurz, tra gli altri, vengono presentati come se fossero dei "buoni vicini" per condurre questa riflessione.
(dal risvolto di copertina di: "O homem sem qualidades à espera de Godot" por Robson de Oliveira. Editora Hedra; Edição: 6 de agosto de 2020.)
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