L'essenza della questione
- di Marildo Menegat -
Può sembrare strano parlare di uomini senza qualità. Anche perché, per quanto gravi siano, i loro difetti potrebbero essere proprio quello che ci vuole, quello che manca. Ma non è così. Si tratta di quella forma neutra che, come risultato di un insieme assurdo, finisce spesso per conferire delle qualità negative che non appartengono loro, e che sono piuttosto dei semplici prestiti provenienti da una struttura impersonale di dominio che rende gli uomini e le donne uno strumento ed un sostegno di tale struttura; anche loro, assai spesso assurdi. Questo presupposto di Robson de Oliveira è privo di qualsiasi antropologia che si basi su una visione essenzialista, secondo cui la storia e l'essere umano dovrebbero possedere un qualche senso trascendentale. Ciò lo rende un interessante esempio di critica sociale della letteratura, che non ha altre pretese se non quella di mostrarci, evidenziandola, quella che è un'immagine scomoda dello spirito rimasto intrappolato in un groviglio di fili, come una marionetta volontaria. Esporre la costituzione del soggetto borghese in questo modo, si differenzia rispetto alle altre chiavi concettuali su questo tema;chiavi che si basano principalmente sullo studio della formazione ideologica, laddove invece Robson ha come riferimento implicito lo studio delle maschere di carattere che gli uomini indossano sotto il capitalismo. Il borghese - così compreso - conduce un'esistenza irrequieta e intrigata che può essere spiegata solo a partire dalla sua interiorità in perenne conflitto con le trasformazioni della struttura sociale, dal momento che ne è egli stesso un congruo risultato. La relazione esistente tra le determinazioni di quella che è la forma sociale e l'adattarsi delle idee a questi stessi imperativi, si configurano nella prospettiva della lettura di un oggetto cui, alla fine, non viene accordata alcuna simpatia. In quanto si tratta del disvelamento di una doppia maschera: quella di carattere del capitale in un determinato tempo della sua storia, e quella del personaggio letterario, che ha il problema di vivere la sua esistenza in tale tempo. Di solito, il risultato è assai spesso risibile (o ridicolo!), anche quando il dramma appare peso.
La serie di autori mobilitata a tal fine, non è casuale. Tutti e quattro (Molière, Musil, Mário de Andrade e Beckett) hanno scritto nei momenti decisivi dello sviluppo di questa folle sceneggiata che è la storia della modernità. Si tratta di testi che sono stati scritti in epoca di transizione sociale. Per quanto riguarda alcuni di questi testi , la transizione si è combinata con delle tremende crisi del capitale. Tuttavia, in tutti questi cambiamenti, nel corso di queste mutazioni, nel contenuto, ha sempre continuato ad esistere qualcosa di «sostanziale». Il presupposto di tale concezione, risiede nel modo in cui la società si struttura. In "Storia e coscienza di classe", Lukàcs afferma che « la conoscenza della società come realtà diventa possibile solo sul terreno del capitalismo, della società borghese. » Ed è approfondendo tale affermazione che Jameson arriva a concludere che « quando passiamo da un tale contesto [quello di una società preindustriale] a quello di una letteratura dell'era industriale, tutto muta e si trasforma. I personaggi dell'opera cominciano ad abbandonare il loro nucleo umano: si manifesta quella che è una specie di dissoluzione dell'essere umano, una sorta di dispersione centrifuga nella quale, in ogni loro punto, i percorsi conducono verso il contingente, alla materia, al dato grezzo, al non umano ».
Pertanto, nel capitalismo, il dato sostanziale, la sostanza della realtà non è l'essere umano, e le metamorfosi del soggetto borghese sono, innanzitutto, metamorfosi delle forme fondamentali delle cose che governano gli uomini. Senza il fatto di essere un prodotto del lavoro, la merce non esiste. In quanto risultato di questa attività umana astratta, essa è uno spreco di energia che si svolge in un tempo che si oggettivizza nel valore di scambio, il quale può continuare ad esistere solo nel momento in cui si trasforma in denaro per il suo proprietario. Ma il denaro - l'essenza di tutto questo processo - deve realizzarsi sotto forma di capitale, tornando così a quello che era l'inizio preesistente alla metamorfosi, quando si trasforma di nuovo in produzione di merci, e così via di seguito. Sarebbe questa la materia che costituisce sostanzialmente la realtà. E avviene che essa, in quanto elemento dinamico di una società sistemica, si modifica, muta. In quella che è la sua incessante ricerca dell'ampliamento quantitativo della ricchezza, il capitale ha bisogno di continuare ad apportare dei cambiamenti qualitativi nella produzione di valore. Riesce a raggiungere in parte tale obiettivo, attraverso il rinnovamento tecnologico, eliminando così dal processo di produzione quantità sempre più crescenti di lavoro. Ed ora, è proprio questo - il cui tempo fornisce la misura astratta della sostanza - a perpetuare un simile « divenire tautologico della modernità ». Così facendo, quanto più il capitalismo si sviluppa, tanto più si fa rarefatta la vita vissuta in un tale contesto. Non tanto perché in passato la vita fosse stata autentica, quanto piuttosto perché in passato essa recava in sé una promessa di verità che la motivava, mentre oggi quello che percepiamo è solo il suo della sua falsità.
Spiegare questo divenire tautologico, facendolo a partire da un'analisi di opere - ed autori - in cui le relazioni umane sono arrivate ad appoggiarsi sempre più alla mediazione monetaria, è molto originale. Si tratta di un tema essenziale per poter comprendere le forme narrative della modernità. In queste forme arriva ad essere presente, come espressione artistica, quel processo storico nel quale gli uomini e le donne, nelle loro relazioni sociali, hanno cominciato a trascurare ed accantonare le loro qualità di esseri umani che sviluppano le proprie potenzialità, per trasformarsi e assumere le qualità trasmesse e veicolate dal denaro. In Moliére, ad esempio, questo è il tema intorno al quale si articolano i conflitti che segnano il passaggio dalle relazioni obbligatorie basate sull'onore, alle relazioni obbligatorie mediate dal « vile metallo ». Il fatto che avvenga in questo contesto, la prima volta in cui si menzionano gli uomini senza qualità, nelle sembianze di accaparratori che vanno in cerca di legittimità sociale attraverso matrimoni di interesse e relazioni con un'aristocrazia economicamente rovinata, non è un mero caso. Allo stesso tempo, questa menzione esprime, da una parte, il risentimento di questi aristocratici per la perdita del privilegio del riconoscimento sociale, che era monopolio della loro condizione di uomini superiori ed irraggiungibili, e, dall'altra parte, l'annuncio di un livellamento dovuto ad un'ammirazione sociale incentrata sulle qualità delle nuove forme di ricchezza. Da allora, tale problema, intrinseco all'ascesa del capitalismo, a partire dal quale i conflitti personali avevano dovuto cedere il passo ad una sorta di telos tautologico, continua ad essere ancora in atto. Le relazioni monetarie cominciarono a funzionare come una vera e propria tabula rasa della distribuzione dello status quo. Pensato dal punto di vista di un narratore onnisciente, tutto apparirebbe ridicolo, se non fosse per la dolorosa esperienza in atto che umilia anche chi possiede il denaro, dal momento che quest'ultimo è per natura indipendente ed infedele nei confronti delle mani che lo detengono. In questo contesto costitutivo della cosiddetta cultura borghese, è avvenuta l'elaborazione e l'interiorizzazione di norme comuni, nelle quali, secondo Roswitha Scholz, si sono consolidate le forme dominanti del moderno patriarcato produttore di merci. La letteratura è stata uno spazio in cui il conflitto con tutto quello che deve essere dissociato dalle forme fondamentali di dominio si manifesta come una dolora mutilazione di quei poteri, soprattutto quelli delle donne, che vengono svalorizzati a priori a causa delle qualità sociali delle loro attività. Dal momento che il capitalismo è un modo di vita che ha avuto origine in Europa - fondato sul potere che viene esercitato da uomini bianchi in quello che è lo spazio esterno rispetto all'intimità della casa - ed esso include l'autonomia della sfera economica ed il suo dominio su tutte le altre sfere della vita sociale; da questo potere rimangono dissociati anche tutti i gruppi etnici diversi da quelli coinvolti nella sua origine.
Il libro di Musil è sbalorditivo proprio per queste tensioni, che lo sovraccaricano e traboccano di tutto ciò che nel suo tempo sarebbe ancora dovuto accadere. A cominciare da un'Europa dell'inizio del 20° secolo - che era ancora un po' orgogliosa di essere stata la culla della civiltà ed il suo punto più alto, ma che, ciò nonostante, stava camminando a grandi passi verso l'annichilimento -, le donne, in questa condizione storica, o venivano sterminate, come nel crudele assassinio di una prostituta da parte di Moosbrugger, oppure diventavano parte di un gioco seduttivo e conflittuale di potenze mobilitate al fine di celebrare il vecchio patriarca, in cui l'ultimo respiro dell'aristocrazia si congiungeva con quello che era il necessario adeguamento agli schemi più attualizzati del patriarcato, ora allineato esclusivamente con il potere del denaro. L'uomo senza qualità dell'epoca di Molière è, in questo romanzo, l'affermazione positivizzata del declino del soggetto borghese; e non più la forma ambigua e conflittuale dell'annuncio di una promessa di felicità. Il quadro di una guerra totale (1914-18), che veniva preparata per poter realizzare lo spirito di questo mondo in cui la crisi di sovraccumulazione del capitale si coniugava violentemente con elementi di « persistenza della tradizione » del vecchio regime, trovando le qualità necessarie alla continuità del divenire tautologico, proprio in questa assenza di qualità. La società della dissociazione-valore, per rimanere nei termini di Roswitha Scholz, nel suo perseguire in maniera inconscia il fine in sé della valorizzazione del valore, ha bisogno di portare le masse umane ad assumere dei modelli passivi e svalorizzati di esistenza per poi, in seguito, avviarli all'auto-sterminio. A questo punto, il romanzo moderno ha abbandonato la sua origine di epopea della vita borghese. Il sarcasmo di Musil rende questo genere assolutamente inadatto a placare i sentimenti per mezzo dei conflitti sociali che si producono in questa nuova costellazione. Il distanziamento giornalistico per mezzo del quale Musil descrive l'omicidio compiuto da Moosbrugger, in un certo qual modo, anticipa il senso e la freddezza con cui l'Europa si preparava al perpetuarsi dell'era degli assassinii di massa (1939-45).
Le trasformazioni avvenute nel contesto dell'era industriale, a partire dalla metà del 19° secolo, ma soprattutto nell'ultimo quarto di quel secolo e all'inizio del 20°, avevano sconvolto la vita sociale a tal punto che le patologie collettive erano diventate frequentissime. Hanna Arendt ha constatato come l'emergere della « marmaglia » - in quanto fenomeno nuovo della cultura europea - sia avvenuto in quest'epoca. Una delle sue cause sarebbe stata il passaggio in atto, con una forza fino a quel momento poco visibile, alle forme fittizie del capitale. Questa modalità di un'«accumulazione in eccesso», che cerca disperatamente di mantenere attivo il suo legame con la valorizzazione, in un mercato di possibilità di investimento sempre più ristretto, si deve al fatto che in questo momento la «sostanza del valore» è diventata sempre più difficile da produrre e, in tal modo, ha reso superflua la funzione svolta dalla forma di esistenza di milioni di esseri umani. La «marmaglia» si forma quando la disperazione di queste masse viene ad essere organizzata politicamente da una direzione che vuole distruggere tutto quello che può spingere alla riflessione, che potrebbe impedire la continuità di questa vita di marionette volontarie. In questo momento storico, l'uomo senza qualità costituisce e rappresenta una trasmutazione esplosiva di questa degenerazione del soggetto borghese, tormentato da un incurabile nichilismo passivo, che è stato prodotto dalla tabula rasa delle precedenti relazioni di obbligo sociale operata dal denaro, unitamente alla nuova esperienza allargata di ciò che Lukàcs ha definito reificazione. Non si sono posti dove poter scappare. La distruzione della guerra totale diventa un maldestro desiderio di morte, come di fronte a un simile bivio, scrive Freud nel suo "Perché la guerra?". Né, in letteratura, sono mancate altre imbarazzanti elaborazioni di una simile situazione. In Russia, ad esempio, il dibattito sul vero significato storico del nichilismo e dei suoi «Demoni», nella versione di Dostoevskij, arrivò a profetizzare alcune delle conseguenze che potrebbero essere prodotte dall'assenza di qualità dell'uomo moderno. Quando, più tardi, lo stalinismo riuscì a trasformare un pittoresco avvenimento provinciale in una realtà nazionale, si poté ottenere una comprensione più ampia di ciò che Lukàcs aveva voluto dire con « solo nel capitalismo è possibile riconoscere,nella società, la realtà ». Il lettore non deve dimenticare che, ad Est, la Rivoluzione del 1917 è stata la soluzione a questa situazione storica. La sua novità era nata già invecchiata, come alla fine lo si è potuto vedere nel 1991. Ma non è stata una soluzione assai diversa da ciò che avvenne in Occidente e che ha finito per portare il capitalismo in un buco nero della storia.
Ciò che questi autori studiati da Robson de Oliveira non smettono di ricordarci, è che il divenire tautologico è un processo continuo e graduale che si traduce in un sempre più crescente ampliamento di questa situazione esplosiva. Per un lettore di Adorno, non è certo un caso che uno studio di questo genere termini con Beckett. Dal momento che è possibile riuscire a trovare nei suoi testi una sorta di messaggio in bottiglia che è stato affidato al mare, il quale custodisce e racchiude in sé la notizia del futuro prossimo-passato della morte della terra. In un simile scenario, i suoi personaggi perduti sono riusciti a sfuggire, non si sa come, all'ecatombe finale, ma non hanno potuto lasciare nessun suggerimento, se non le loro impressioni su questa fine, della quale, tra l'altro, ignorano le cause e ignorano persino il fatto che si tratti di una fine, seppure abbiano il sospetto che non si debba aspettare niente che non sia altro che un infinito prolungamento del vuoto. Svetlana Aleksievic, nel suo "Preghiera per Cernobyl'. Cronaca del futuro" racconta, insieme ad altre testimonianze, la storia di una comunità di quattro persone che si era formata nella regione contaminata dalla radioattività, situata all'interno del deserto della zona di esclusione dall'incidente nucleare. Non è un romanzo. Queste persone vivono senza nutrire molte più paure di quante ne abbiano gli esseri umani, come la paura della morte e quella legata alla fragilità della vecchiaia. Le porte delle loro case possono rimanere aperte, e loro stessi descrivono la propria esistenza come un « vero e proprio comunismo ». Visti sotto diversi aspetti - fondamentali per poter analizzare la vita moderna - sono sorprendentemente liberi: nessuno Stato o mercato li infastidisce o li obbliga. Ma tuttavia questa comunità non sopravvivrà e non sarà in grado di trasmettere al futuro il patrimonio delle miserie che sono la causa del suo felice presente. Esiste in loro ancora una qualche consapevolezza del mondo, ma è innocua, non può essere lasciata in eredità, e anche se lo fosse, con la sua "buona novella" non possiamo farci nulla , dal momento che dipenderebbe da un periodo di tempo che dovrebbe essere vissuto come la morte della Terra. Questa realtà è un Inter-mondo che si è formato all'interno del divenire tautologico della modernità. In esso c'è vita, sebbene sia consapevole del fatto che si tratti di un sussurro che si commiata dicendo addio. Da questo lato del telone, la cecità del soggetto borghese nei confronti di questo stato delle cose non cerca nemmeno una cura. Ha rinunciato a tutte le promesse del passato ed ora cerca di portare a termine il lavoro incominciato. A partire dagli anni '80, il capitalismo sostiene la sua dinamica di riproduzione solo attraverso dei mezzi speculativi. Ora, le forme fittizie del capitale non sono più un'occasionale apparizione, bensì la struttura stessa ed il motore che spinge avanti la società. L'accumulazione permanente, può essere simulata unicamente in queste condizioni e, anche così, continua ad esigere un incommensurabile grado di distruzione della natura e dei legami sociali. In tali condizioni, non è stato possibile delimitare il perimetro del reale che in questa modalità di funzionamento del fine dell'accumulazione, rimanesse insuperabile.
Potrebbe sembrare strano parlare di un'irrealtà del reale. E per quanto strano possa sembrare, al limite, questo irreale potrebbe anche essere una forma di reale. Ma non è così. Tutto questo è il risultato di un'assurdità basata sulla complicità di uomini e donne senza qualità. La sostanza che strutturava tale realtà si è fatta evanescente, dal momento che - come conseguenza del suo successo - la sua produzione, all'attuale livello di sviluppo tecnologico, è diventata impossibile.
Chissà se oggi Godot verrà...
- Marildo Menegat – luglio 2020 -
La grande questione posta da questo libro, consiste nel voler sapere in quale momento, e attraverso quali meccanismi sociali ed economici, arriviamo ad esaltare la merce in quella che è la nostra logica della vita. Diventare merce nel mondo, equivale a svuotarsi della propria soggettività, in un luogo dove dominano i nostri atti più banali. In maniera audace e creativa, "L'uomo senza qualità in attesa di Godot" va alla ricerca di un'interdisciplinarietà tra quelli che sono le conoscenze che riguardano l'essere umano. Molière, Musil, Beckett, Caio Prado, Adorno, Marcuse e Robert Kurz, tra gli altri, vengono presentati come se fossero dei "buoni vicini" per condurre questa riflessione.
(dal risvolto di copertina di: "O homem sem qualidades à espera de Godot" por Robson de Oliveira. Editora Hedra; Edição: 6 de agosto de 2020.)
fonte: Critica Radical
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