«Che altro aggiungere? Forse esiste un potere culturale, ma è un potere ambiguo e che rischia sempre, nel perdere questa ambiguità, di mettersi al servizio di un altro potere che lo sottomette. Scrivere è, in ultima analisi, quello che non si può; di conseguenza, è ciò che è sempre alla ricerca di un non-potere. rifiutando il dominio, l'ordine e, in primo luogo, l'ordine stabilito, preferendo il silenzio ad una parola di verità assoluta, quindi protestando, e facendolo senza fermarsi.
Se fosse necessario citare dei testi che evocano ciò che avrebbe potuto essere una letteratura di impegno, li troveremo in epoche antiche, in quei tempi in cui la letteratura non esisteva. Il primo ed il più vicino a noi è il racconto biblico dell'Esodo. Qui si trova tutto: la liberazione dalla schiavitù, l'attraversamento del deserto, l'attesa della scrittura, vale a dire, la scrittura che legifera alla quale sempre si disobbedisce, in maniera tale che quelle che vengono ricevute sono le tavole infrante, che non possono costituire una risposta completa, se non nella loro stessa rottura, nella loro frammentazione stessa; alla fine, la necessità di morire senza concludere l'opera, senza raggiungere la terra promessa, che in quanto tale è inaccessibile, sempre attesa e, per ciò stesso, già consegnata. Se, nella cerimonia della pasqua ebraica, è tradizione lasciare una coppa di vino per chi precede e annuncia l'avvento messianico di un mondo giusto, si capirà che la vocazione dello scrittore (impegnato) non è quella di credersi un profeta né un messia, ma piuttosto quello di guardare il luogo destinato a ciò che verrà, preservare l'assenza contro ogni usurpazione, ed anche quello di mantenere il ricordo immemorabile che non ci permetta di dimenticare che siamo stati schiavi, che, inclusi gli schiavi liberati, continuiamo e continueremo ad essere schiavi per tutto il tempo in cui lo saranno gli altri, affinché non ci sia quindi (per dirlo troppo semplicemente) mai più libertà se non per gli altri e per l'altro: certamente un compito infinito che minaccia di condannare lo scrittore ad un ruolo didattico e di insegnamento e, per ciò stesso, escluderlo dall'esigenza che reca in sé e lo costringe a non avere me luogo, né nome, né ruolo né identità, cioè, a non essere ancora uno scrittore.»
- Maurice Blanchot - da "Rifiutare l'Ordine stabilito", pubblicato su "Le Nouvel Observateur", nel maggio del 1981 -
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