Dopo 156 giorni di riprese, 7.000 Km percorsi attraversando la Sicilia da Est a Ovest e da Nord a Sud, 256 mail spedite alle amministrazioni comunali per chiedere di liberare le piazze da autoveicoli e attrezzature di ristorazione che ne sconvolgono la fisionomia, Armando Rotoletti, affermato fotografo di reportage e ritrattista di origine messinese, ci presenta in questo volume 82 piazze siciliane come non le abbiamo mai viste. Le sue piazze sono vuote, e aspettano le persone, invitano a fantasticare, sgomentano, ammaliano, annichiliscono, sorprendono. Di questo libro scrive lo storico dell'arte Salvatore Settis: «In Sicilia la piazza è scenografia che non risponde a nessun copione, se non a quello della vita pulsante di quella città. La piazza è in Sicilia (anzi in Italia) la creazione più originale di un'idea di città che ne fa non solo la tana o il nido, ma il tempio degli umani, il teatro della vita politica e sociale. Perciò l'impresa siciliana di Rotoletti ha qualcosa di eroico (per le difficoltà certo incontrate di fotografare le piazze senza i mille ammennicoli che le invadono), ma soprattutto è innervata di bellezza e di speranza.»
( dal risvolto di copertina di: Sicilia in piazza-Striking piazzas of Sicily, di Armando Rotoletti e Salvatore Settis )
La Sicilia fa piazza pulita
- di Salvatore Settis -
Piazze di Sicilia, piazze d’Italia. Spazi talora di miracolosa bellezza, intrisi di memoria storica, di creatività e di vita civile. Chiese, palazzi, statue, fontane, strade che si diramano come arterie da un cuore: la piazza italiana nasce, si trasfigura e si offre allo sguardo intrecciando la propria forma e la propria vicenda, come una sorella gemella, con le forme e le vicende del teatro. In Sicilia, e le foto di Armando Rotoletti lo dimostrano con naturale, disarmante eloquenza, la piazza è scenografia che non risponde a nessun copione, se non a quello della vita pulsante di quella città. Perciò, se guardiamo una piazza, nello stesso istante ci germoglia dentro, senza saperlo e senza volerlo, l’immagine mentale della città intera. Quello che, con parola un po’ goffa, si chiama talvolta l’“invaso” di una piazza è generato dalla città che lo circonda, eppure sembra che, invece, ne sia il vero centro generatore. In questa come in mille altre cose, dal cibo al cielo, la Sicilia non è solo la più grande regione d’Italia, ne è anche una sorta di sintesi al superlativo. Valeva proprio la pena che Rotoletti, Dio solo sa con quali sforzi e quanta pazienza, riuscisse a svuotare queste piazze per rappresentarle nella loro forma più pura: si vede così con piana evidenza che la piazza è in Sicilia (anzi in Italia) la creazione più originale di un’idea di città che ne fa non solo la tana o il nido, ma il tempio degli umani, il teatro della vita politica e sociale.
La piazza è l’erede più nobile e più consapevole dell’agorà greca e del foro romano. È luogo di discussione e d’incontro, di commercio e di scontro politico, di festa e di lutto. Teatro di feste e rituali collettivi, si presta alle manifestazioni civiche, accoglie cerimonie religiose, si trasforma talora in mercato, si circonda di spazi deputati all’incontro e alla conversazione. In un suo saggio di grande profondità e concisione, George Steiner individua l’essenza della sua idea di Europa nei caffè come «luogo degli appuntamenti e delle cospirazioni, del dibattito intellettuale e del pettegolezzo». Tale è in primo luogo la piazza, che genera intorno a sé una cartografia “camminata”, dove «il paesaggio è modellato e umanizzato da chi vi cammina», e che al tempo stesso vale come luogo di memoria, dominato dalla sovranità del ricordo, come risulta dal suo nome e da quelli delle strade che vi sboccano, spesso intitolate a personaggi storici.
Eppure le nostre piazze, in un declino di coscienza e di conoscenza che affligge il nostro tempo, sono sempre più spesso viste come “invasi” vuoti, spazi da riempire, e perciò primariamente destinati a parcheggio. Lo stiamo dimenticando, ma anche piazza Navona a Roma o piazza del Duomo a Milano erano invase dalle auto fino a non tantissimi anni fa (se ne trovano ancora tristi fotografie); né mancò chi protestasse contro la loro pedonalizzazione. Negli ultimi anni si è sempre più diffusa l’abitudine di usare le nostre piazze come location per spettacoli e festival di solito estivi: e tanto si dà per scontato che la piazza di per sé “non serve”, e va riempita con qualcos’altro, che ben pochi balbettano qualche giustificazione o scusa. E i pochi che lo fanno si aggrappano all’uso storico della piazza per il mercato o per la festa: senza riflettere che tale uso era e resta (dove c’è) per sua natura intermittente, e lascia per la maggior parte dell’anno la piazza, tutta o quasi, libera perché venga esibita, vista, goduta per quel che è: vetrina della città e della storia, grembo per la conversazione e la crescita civile, promessa di futuro. La piazza del Campo a Siena accoglie il Palio, ma a nessuno verrebbe in mente di farvelo dieci volte al giorno per due mesi di fila: ma è proprio questo che accade, quando una piazza storica viene degradata a location e usata per mesi a farvi spettacoli, film, sfilate, manifestazioni sportive.
Deturpate da invadenti strutture “provvisorie”, che però durano settimane o mesi, le piazze nascondono la loro bellezza e la loro diversità, diventano tutte uguali, accolgono gli stessi concerti dalle Alpi alla Sicilia, perdono forza e carattere, si svendono per trenta denari. Ma una piazza storica che venga intesa solo come location è già morta. L’idea stessa di location implica che la piazza di per sé non è nulla, non ha una funzione sua propria, a meno che non la si riempia di qualcos’altro, non importa se tornei sportivi, concerti rock, dibattiti culturali o cantanti d’opera. Nessuno fa i conti di quel che si perde: il turista che in quella piazza entra una volta sola nella vita, e avrebbe il diritto di vederla, ma ne è privato perché le architetture sono nascoste dall’attrezzeria dell’evento di turno; il degrado dell’immagine civica che ne consegue; il progressivo logoramento della stessa idea di città. La piazza fu infatti per secoli il supremo spazio sociale che crea e consolida l’identità civica e la memoria culturale, perché lo scambio di esperienze, di culture e di emozioni vi accade grazie al luogo e non grazie al prezzo. Rischia ora di diventare, al contrario, un non-luogo (una non-piazza), dove solo il prezzo conta, e la bellezza è solo uno specchietto per le allodole, si mostra e si nasconde.
Perciò l’impresa siciliana di Rotoletti ha qualcosa di eroico (per le difficoltà certo incontrate di fotografare le piazze senza i mille ammennicoli che le invadono), ma soprattutto è innervata di bellezza e di speranza. Come racconta meglio la sua storia il tempio di Atena diventato cattedrale di Siracusa, se visto da quell’angolo, a piazza vuota! E quali segrete fraternità sbocciano sulla pagina, fra la piazza di Santa Maria Maggiore a Ispica e il mercato del pesce a Trapani! Per non citare Palermo o Catania: Acireale, Noto, Caltanissetta, Granmichele ci si offrono allo sguardo, dalle loro piazze vuote, con una densità di impressioni che impone l’intensità dello sguardo. Ragusa, Enna e Nicosia vestono le loro piazze con le folle e i riti della festa; Rosolini, Sortino e Palazzo Adriano si mostrano nude come forse solo all’alba; altre piazze dispiegano residui di un tempio pagano (Siracusa) o di una chiesa cristiana (Salemi); altre ancora rendono omaggio al mare che le accompagna (Marzamemi), o serbano memoria di terremoti (Gibellina). Quasi non le riconosciamo, le piazze che pure avevamo visto travolte da rumori e odori; quasi ci appaiono, le foto di questo libro, un’astratta galleria di vedute impossibili. Eppure il dono che Armando Rotoletti ci fa in queste pagine non è solo una sequenza di bellissime immagini su cui soffermare lo sguardo. È molto di più: un invito a guardare le nostre piazze per (ri)pensare le nostre città. A percorrere la Sicilia per (ri)pensare l’Italia.iazze di Sicilia, piazze d’Italia. Spazi talora di miracolosa bellezza, intrisi di memoria storica, di creatività e di vita civile. Chiese, palazzi, statue, fontane, strade che si diramano come arterie da un cuore: la piazza italiana nasce, si trasfigura e si offre allo sguardo intrecciando la propria forma e la propria vicenda, come una sorella gemella, con le forme e le vicende del teatro. In Sicilia, e le foto di Armando Rotoletti lo dimostrano con naturale, disarmante eloquenza, la piazza è scenografia che non risponde a nessun copione, se non a quello della vita pulsante di quella città. Perciò, se guardiamo una piazza, nello stesso istante ci germoglia dentro, senza saperlo e senza volerlo, l’immagine mentale della città intera. Quello che, con parola un po’ goffa, si chiama talvolta l’“invaso” di una piazza è generato dalla città che lo circonda, eppure sembra che, invece, ne sia il vero centro generatore. In questa come in mille altre cose, dal cibo al cielo, la Sicilia non è solo la più grande regione d’Italia, ne è anche una sorta di sintesi al superlativo. Valeva proprio la pena che Rotoletti, Dio solo sa con quali sforzi e quanta pazienza, riuscisse a svuotare queste piazze per rappresentarle nella loro forma più pura: si vede così con piana evidenza che la piazza è in Sicilia (anzi in Italia) la creazione più originale di un’idea di città che ne fa non solo la tana o il nido, ma il tempio degli umani, il teatro della vita politica e sociale.
La piazza è l’erede più nobile e più consapevole dell’agorà greca e del foro romano. È luogo di discussione e d’incontro, di commercio e di scontro politico, di festa e di lutto. Teatro di feste e rituali collettivi, si presta alle manifestazioni civiche, accoglie cerimonie religiose, si trasforma talora in mercato, si circonda di spazi deputati all’incontro e alla conversazione. In un suo saggio di grande profondità e concisione, George Steiner individua l’essenza della sua idea di Europa nei caffè come «luogo degli appuntamenti e delle cospirazioni, del dibattito intellettuale e del pettegolezzo». Tale è in primo luogo la piazza, che genera intorno a sé una cartografia “camminata”, dove «il paesaggio è modellato e umanizzato da chi vi cammina», e che al tempo stesso vale come luogo di memoria, dominato dalla sovranità del ricordo, come risulta dal suo nome e da quelli delle strade che vi sboccano, spesso intitolate a personaggi storici.
Eppure le nostre piazze, in un declino di coscienza e di conoscenza che affligge il nostro tempo, sono sempre più spesso viste come “invasi” vuoti, spazi da riempire, e perciò primariamente destinati a parcheggio. Lo stiamo dimenticando, ma anche piazza Navona a Roma o piazza del Duomo a Milano erano invase dalle auto fino a non tantissimi anni fa (se ne trovano ancora tristi fotografie); né mancò chi protestasse contro la loro pedonalizzazione. Negli ultimi anni si è sempre più diffusa l’abitudine di usare le nostre piazze come location per spettacoli e festival di solito estivi: e tanto si dà per scontato che la piazza di per sé “non serve”, e va riempita con qualcos’altro, che ben pochi balbettano qualche giustificazione o scusa. E i pochi che lo fanno si aggrappano all’uso storico della piazza per il mercato o per la festa: senza riflettere che tale uso era e resta (dove c’è) per sua natura intermittente, e lascia per la maggior parte dell’anno la piazza, tutta o quasi, libera perché venga esibita, vista, goduta per quel che è: vetrina della città e della storia, grembo per la conversazione e la crescita civile, promessa di futuro. La piazza del Campo a Siena accoglie il Palio, ma a nessuno verrebbe in mente di farvelo dieci volte al giorno per due mesi di fila: ma è proprio questo che accade, quando una piazza storica viene degradata a location e usata per mesi a farvi spettacoli, film, sfilate, manifestazioni sportive.
Deturpate da invadenti strutture “provvisorie”, che però durano settimane o mesi, le piazze nascondono la loro bellezza e la loro diversità, diventano tutte uguali, accolgono gli stessi concerti dalle Alpi alla Sicilia, perdono forza e carattere, si svendono per trenta denari. Ma una piazza storica che venga intesa solo come location è già morta. L’idea stessa di location implica che la piazza di per sé non è nulla, non ha una funzione sua propria, a meno che non la si riempia di qualcos’altro, non importa se tornei sportivi, concerti rock, dibattiti culturali o cantanti d’opera. Nessuno fa i conti di quel che si perde: il turista che in quella piazza entra una volta sola nella vita, e avrebbe il diritto di vederla, ma ne è privato perché le architetture sono nascoste dall’attrezzeria dell’evento di turno; il degrado dell’immagine civica che ne consegue; il progressivo logoramento della stessa idea di città. La piazza fu infatti per secoli il supremo spazio sociale che crea e consolida l’identità civica e la memoria culturale, perché lo scambio di esperienze, di culture e di emozioni vi accade grazie al luogo e non grazie al prezzo. Rischia ora di diventare, al contrario, un non-luogo (una non-piazza), dove solo il prezzo conta, e la bellezza è solo uno specchietto per le allodole, si mostra e si nasconde.
Perciò l’impresa siciliana di Rotoletti ha qualcosa di eroico (per le difficoltà certo incontrate di fotografare le piazze senza i mille ammennicoli che le invadono), ma soprattutto è innervata di bellezza e di speranza. Come racconta meglio la sua storia il tempio di Atena diventato cattedrale di Siracusa, se visto da quell’angolo, a piazza vuota! E quali segrete fraternità sbocciano sulla pagina, fra la piazza di Santa Maria Maggiore a Ispica e il mercato del pesce a Trapani! Per non citare Palermo o Catania: Acireale, Noto, Caltanissetta, Grammichele ci si offrono allo sguardo, dalle loro piazze vuote, con una densità di impressioni che impone l’intensità dello sguardo. Ragusa, Enna e Nicosia vestono le loro piazze con le folle e i riti della festa; Rosolini, Sortino e Palazzo Adriano si mostrano nude come forse solo all’alba; altre piazze dispiegano residui di un tempio pagano (Siracusa) o di una chiesa cristiana (Salemi); altre ancora rendono omaggio al mare che le accompagna (Marzamemi), o serbano memoria di terremoti (Gibellina). Quasi non le riconosciamo, le piazze che pure avevamo visto travolte da rumori e odori; quasi ci appaiono, le foto di questo libro, un’astratta galleria di vedute impossibili. Eppure il dono che Armando Rotoletti ci fa in queste pagine non è solo una sequenza di bellissime immagini su cui soffermare lo sguardo. È molto di più: un invito a guardare le nostre piazze per (ri)pensare le nostre città. A percorrere la Sicilia per (ri)pensare l’Italia.
- Salvatore Settis - Pubblicato su Il Sole del 1°/1/2018 -
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