mercoledì 17 gennaio 2018

Mitologia Genetica

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Una crepa divide il mondo dei vivi da quello dei morti

Su questa crepa sorge Northampton, la città inglese che ha dato i natali ad Alan Moore, epicentro di questa monumentale opera polifonica. È qui che l’umanità abbraccia l’abisso, dando vita a storie che intrecciano le visioni di William Blake ai vortici di James Joyce, le nere periferie di Charles Dickens ai vuoti lunari di Samuel Beckett. Dal creatore di Watchmen e V per Vendetta, un romanzo che sfida i canoni della letteratura contemporanea.
Nel mezzo miglio quadrato di decadenza e distruzione che un tempo era la capitale della Sassonia Britannica, l’eternità si aggira tra palazzoni a rischio di incendio. Incastonato nell’ambra sporca della storia del quartiere – tra i suoi santi, re, prostitute e derelitti –, si svolge un tempo umano diverso, una simultaneità sudicia che non distingue tra le pozzanghere color petrolio e i sogni infranti di chi le naviga. Demoni la cui ultima citazione risale al Libro di Tobia aspettano su scale che puzzano di urina, spettri delinquenti di bambini sfortunati scavano gallerie tra i secoli e nelle sale ai piani alti capomastri dal sangue dorato riducono il destino a un torneo di biliardo inglese. Vicoli scomparsi svelano la propria voce, nata da parole perdute e da un dialetto dimenticato, per raccontare leggende spezzate e sorprendenti genealogie, storie familiari di vergogna e follia. C’è una conversazione nella cupola colpita dai lampi della cattedrale di St. Paul, un parto sui ciottoli di Lambeth Walk, una coppia in crisi che trascorre una notte intera sui freddi gradini all’ingresso di una chiesa gotica e un bambino che per undici capitoli soffoca a causa di una pastiglia contro la tosse. Si sta allestendo una mostra e, sopra il mondo, un vecchio nudo e una splendida bambina morta corrono lungo gli Attici del Respiro verso la morte termica dell’universo.
Una sfarzosa mitologia per chi non ha nulla, attraverso le strade e le pagine labirintiche di Jerusalem percorse da fantasmi che cantano di ricchezza e povertà; dell’Africa, di inni e del nostro logoro millennio. Parlano dell’inglese come se fosse una lingua visionaria, da John Bunyan a James Joyce, discutono a lungo dell’illusione della mortalità post Einstein e insistono nel dire che lo slum peggiore in assoluto è l’eterna città santa di Blake. È il racconto di ogni cosa, dotato di un’immaginazione feroce e di una portata stupefacente, narrato da una fogna scomparsa.

(dal risvolto di copertina di: Alan Moore: Jerusalem, Rizzoli Lizard.)

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Il romanzo-incantesimo Ecco la magia di Moore
- Viaggio dell'autore di «Watchmen» nell'aldilà e nell'aldiqua: 1500 pagine di lucida follia... -
di Luca Crovi

È un'opera imponente il romanzo Jerusalem (Rizzoli Lizard) di Alan Moore. Ci sono voluti dieci anni per scriverlo (dal 2006 al 2016) ed è composto da un milione di parole che arrivano a coprire 1526 pagine di testo. Moore stesso ha raccontato di aver trascorso un decennio al servizio della scrittura «prestando una grande attenzione al linguaggio, alle sue variazioni e alla sua evoluzione nel tempo. Molto rapidamente ho avvertito la necessità di cambiare più stili. Scrivere nel modo di Joyce, Beckett o Enid Blyton sotto acidi è stato necessario per evitare di affondare nella noia e nella monotonia». Ma chi prenderà in mano la sua storia si accorgerà che sono molti di più gli stili narrativi da lui adottati e molto di più sono le facce (o maschere) della letteratura inglese che si è divertito a indossare: ci sono narrazioni che rimandano esplicitamente a H.P. Lovecraf, a William Blake, a Lewis Carroll, a Arthur Conan Doyle, a Charles Dickens. Il titolo dell'opera omaggia esplicitamente l'inno inglese Jerusalem composto dal musicista Hubert Parry su testo di Blake che racconta come Gesù, secondo una leggenda apocrifa, abbia raggiunto assieme a Giuseppe di Arimatea la città di Glanstosbury e che qui si siano avverate alcune profezie del Libro dell'Apocalisse. Tutte le storie raccontate nel romanzo avvengono a Northampton. Eventi storici, eventi familiari ed eventi inventati che insieme costituiscono un corpus narrativo che parla di follia, fantasmi, sogni, premonizioni, presenza o assenza del divino.

Alan Moore, dovendo descrivere la sua opera, ha parlato di «mitologia genetica» e ha ripreso alcune teorie legate all'«eternismo» che già aveva sviluppato in alcuni suoi fumetti. Il percorso di lettura non è certo facile per i lettori che devono balzare da un secolo all'altro per seguire lo scrittore inglese, eppure coloro che negli anni hanno seguito le sue graphic novel ritroveranno in Jerusalem tutte le cifre stilistiche tipiche di Moore che anche in queste opere si era divertito a costruire appendici e interludi con racconti, finti reportage, dossier densi di testi da leggere e privi di immagini. Solo per fare qualche esempio l'epoca di Cromwell rievocata in Jerusalem non può che rimandare alle pagine di V per Vendetta, le gesta di un nuovo Jack The Ripper omaggiano From Hell, la presenza di dei eterni simili ai supereroi occhieggia al Mister Manhattan di Watchmen, le apparizioni e sparizioni magiche e il contatto con il mondo dei morti sono un territorio affine a Hellblazer. Ma le sensazioni che si provano fin dalle prime pagine sono paura e meraviglia. Le stesse che prova la piccola Alma all'inizio dell'opera mentre accompagna la mamma e il fratellino in uno strano negozio di giornali dove di notte si svolge la febbrile attività dei Costruttori che, illuminati da strane luci, creano nuove architetture (nuovi mondi, nuovi cunicoli, nuove fognature) fra gli spazi apparentemente conosciuti del quartiere di Borroughs di Northampton. Un luogo mitico e mistico, allo stesso tempo reale e immaginario, così come sogni di Alma Warren. Cresciuta, userà le sue visioni per realizzare imponenti quadri che raccontano la vita, le epoche e le persone che hanno camminato per le vie di Borroughs. Anche Michael Warren è dotato come sua sorella di una «luccicanza» speciale che si è attivata in lui due volte: quando a tre anni ha rischiato di morire soffocato da una caramella e quando da grande è rimasto accecato a causa di una polvere ustionante cadutagli sugli occhi. I due ragazzi sono i discendenti della famiglia Vernall, conosciuta per il suo fervore religioso ma anche per la sua follia.

Nel capitolo intitolato Un tripudio di angoli facciamo la conoscenza del capofamiglia Ernst, di mestiere decoratore, che durante i restauri della chiesa di St. Paul rimane folgorato da un incontro angelico e da quel momento scoprirà che la realtà in cui vive è fatta di geometrie diverse da quelle che si è immaginato fino a quel momento. Ma che Northampton sia una città che nasconde ben altri mondi lo scopriamo anche attraverso le peripezie di Marla, una prostituta tossicodipendente che andrà volontariamente incontro a uno squartatore. Il barbone Freddy Allen, invece, scoprirà che il destino del suo e di altri mondi è deciso da dei dispettosi che giocano un'eterna partita a bigliardo in uno dei più malfamati pub d'Inghilterra... Ci sono luoghi dove si cela un centro speciale del mondo. Qui si possono nascondere reliquie e rinvenire pozzi colmi di sangue. Come conferma la testimonianza di un monaco benedettino che, brandendo l'ascia, cerca di sopravvivere in questo luogo pericoloso nel lontano 818 d.C.

C'è una crepa profonda che divide il mondo dei vivi da quello dei morti a Northampton ed è facile finirvi in mezzo. Ma l'Aldiqua o Aldilà descritto da Moore non hanno le caratteristiche dei Paradisi o degli Inferni raccontati dalle religioni. A Mansoul (Di Sopra) si giocano altre regole fatte di geometrie deformate, di angoli dove si può vivere nei bordi dei soffitti come scoprirà Michael Warren quando svolgerà le sue scorribande con la Banda dei Bambini Morti. E ha ragione Massimo Gardella il traduttore italiano che ha impiegato 15 mesi a cercare di dare voce a Jerusalem: quella di Moore è «letteratura pura, libera e scatenata, scrittura interpretata come pratica magica». Alan Moore non si è posto l'obbiettivo di creare per forza personaggi o luoghi memorabili. Ha semplicemente scatenato la sua fantasia per permettere ai lettori un'esperienza catartica che usasse il mezzo della letteratura. E possiamo assicurarvi che ci è riuscito. E se potessimo esprimere un desiderio, ci piacerebbe sinceramente assistere a uno dei reading pubblici in cui Moore si diverte a far vivere in pubblico le sue opere

- Luca Crovi - Pubblicato sul Giornale del 14/11/2017 -

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