Opinione impopolare: Non è una rivoluzione proletaria il modo con cui arriviamo al comunismo
- di Jehu -
Una rivoluzione politica è il modo migliore per arrivare al comunismo?
È questa la brutale domanda posta da un anonimo studente di astrofisica teorica sul blog "Cold and dark stars", in un recente post dal titolo “Red giants: statistical fat tails and revolutions as inverse risk-management”, in cui l'autore si pone il problema di escogitare un percorso credibile che porti al comunismo. Il problema identificato è il seguente:
«Le rivoluzioni sono dei cambiamenti improvvisi: cambiamenti estremi, altamente variabili, non lineari, quasi imprevedibili, ma di solito sottostimati - in breve, sono dei "cigni neri". Questo è fondamentalmente un termine relativo alla statistica e alla finanza pop che descrive eventi altamente impattanti ma imprevedibili (come l'invenzione di Internet, la pubblicazione dell'Ulisse di James Joyce, o come la Rivoluzione di Ottobre.). Altri "cigni neri" sono i terremoti, gli incidenti nucleari, e gli attacchi terroristici. Questa dinamica del "cigno nero" fa sì che le rivoluzioni siano per noi epistemicamente opache, ed inoltre limitino il genere di domande che ci possiamo porre su di esse.»
D'altronde, per sviluppare i loro programmi radicali, i comunisti si focalizzano sull'analisi storica a lungo termine. Esiste quindi una profonda disconnessione fra gli eventi sui quali basiamo la nostra strategia e gli eventi spontanei, come lo è una rivoluzione. La questione sollevata dall'autore affronta il problema di che cosa fare quando l'evento che vuoi sfruttare per arrivare al comunismo ha una probabilità estremamente bassa di verificarsi.
Sì, ho proprio detto "sfruttare". L'uso di questo termine non è un passo falso da parte mia. I comunisti vogliono sfruttare una rivoluzione spontanea. Anche se loro non metterebbero mai la questione in tal modo! Ciò che noi chiamiamo rivoluzione è, almeno in teoria, un evento a bassa probabilità che non dipende dagli sforzi dei comunisti. Non facciamo noi la rivoluzione, la fa la società, però vogliamo "sfruttare" quest'evento a bassa probabilità al fine di ottenere degli scopi che vanno oltre l'evento stesso.
Per quanto mi riguarda, lasciatemi dire che questo solleva un'altra questione scomoda: c'è qualche motivo per presupporre che i comunisti si trovano al di fuori del capitalismo? No. Ma assumiamolo pure. Per un attimo, acconsentiamo all'errore di convenire che i comunisti si trovano da qualche parte al di fuori della società capitalista, e che agiscono su di essa come se fossero degli ingegneri sociali. Lo assumiamo, pur sapendo che non è così.
Stiamo perciò descrivendo la rivoluzione in una società capitalista come se non fossimo parte del processo che stiamo descrivendo - ci stiamo ponendo in "modalità Dio".
Non bisogna ma supporre che questo sia possibile. È un errore che viola quello che dovrebbe essere sempre il nostro presupposto fondamentale: non esiste nessun "al di fuori" rispetto al modo capitalistico di produzione. L'autore fa uso di un'analogia che può servire ad aiutarci: Una rivoluzione è come un terremoto. Sappiamo che i terremoti sono inevitabili. Ma, attualmente, non siamo in grado di prevedere quando o dove colpiranno la prossima volta. Inoltre, mentre sappiamo che i terremoti, da qualche parte e in un qualche tempo, sono inevitabili, la probabilità che accadano dove ci troviamo in un dato momento è trascurabile. In effetti, per una rivoluzione, così come per un terremoto: sappiamo che accadrà, ma è impossibile prevedere quando e dove. Nel frattempo, in California, la popolazione sta crescendo di oltre il 5% l'anno. Tornerò su questo più avanti.
Secondo l'autore, il problema attiene al fatto che gli strumenti a disposizione di un comunista sono per lo più non in grado di prevedere le rivoluzioni:
«[Gli storici] possono analizzare a posteriori quali sono state le cause di una specifica rivoluzione, ma sono incredibilmente mal equipaggiati per poter delimitare le possibilità/impossibilità del prossimo evento rivoluzionario. Questo non significa che la prognosi futura basata sulla storia di lunga durata sia epistemicamente proibita, ma che tale storia può essere usata solo per prevedere mutamenti lenti, di lunghezza media, non degli shock o dei salti improvvisi. La rivoluzione, semmai, è l'esempio per eccellenza di uno shock storico, perciò nessun insieme di dottorati in ricerca e di "menti brillanti" può pronosticare i possibili orizzonti della prossima rivoluzione. Esistono intere tradizioni di socialismo in cui si possono trovare strategie di rivoluzioni o di cambiamenti sociali, ma molte di esse non sono niente di più che dogmi.»
Le forze storiche agiscono solo a lungo termine, mentre le rivoluzioni sono eventi improvvisi, altamente compressi e del tutto imprevedibili. La cosa migliore in cui possiamo sperare è prepararci ad esse in anticipo ed avere pronte le infrastrutture per poterne da esse trarre vantaggio. Qui, l'autore offre una soluzione familiare al problema:
«Forse, un approccio migliore potrebbe consistere nell'osservare le medie sociali attualmente esistenti di modo da cominciare a costruire nel frattempo un partito, attuando nel mentre delle tattiche abbastanza flessibili da poter essere modificate a seconda delle future contingenze sociali. Un simile approccio richiederebbe di impegnarsi negli attuali collaudati modi di finanziamento, organizzativi e mediatici, che sono stati sviluppati dalle attuali organizzazioni borghesi, mentre allo stesso tempo, si tiene conto delle analisi storiche a lungo termine per sviluppare un "programma di massima" radicale, basato sui principi socialisti. Pertanto, un tale programma sarebbe ispirato dalle esperienze storiche dei socialisti, ma verrebbe anche "filtrato" dalle tattiche granulari modellate dalle moderne discipline scientifiche, dall'estetica attuale e dai valori odierni.»
La soluzione offerta dall'autore non è inaspettata. In effetti, si tratta della routine comunista standard, in entrambe le sue varianti, quella marxista e quella anarchica. Da qualche parte, in un dato momento, c'è un evento che sta per accadere. Dovremmo prepararci ora per poter essere pronti a trarne vantaggio ai fine del perseguimento degli obiettivi della classe operaia.
L'autore suggerisce che anche se non possiamo ancora predire le rivoluzioni, noi possiamo prepararci ad esse - un approccio che l'autore definisce “inverse risk management” ["gestione inversa del rischio"]. Nella gestione convenzionale del rischio, ci si prepara ad un evento negativo - come un terremoto - che potrebbe danneggiarci gravemente. La gestione inversa del rischio è simile: ci prepariamo in anticipo ad un improbabile evento rivoluzionario che possiamo sfruttare per raggiungere il comunismo.
Il problema con quest'idea è che il grande "terremoto" storico è arrivato e se n'è andato fra il 1914 ed il 1945 e quello che ci ha procurato sono stati cento milioni di morti ed il fascismo. La strategia proposta dall'autore è molto simile da quella proposta da Marx ed Engels nel manifesto:
1 - La classe operaia si organizzerebbe in quanto classe,
2 - Si aspetta una rottura catastrofica del modo di produzione,
3 - Si approfitta della crisi per portare la classe operaia ad essere classe dirigente
4 - Comunismo (o, almeno, la sua fase più bassa)
Secondo la strategia proposta da Marx ed Engels, quando arrivò il momento, più o meno, la classe operaia si trovò ad essere organizzata in quanto classe nei più avanzati paesi del mercato mondiale. La rottura catastrofica del capitalismo avvenne sotto forma di due guerre mondiali e di un crollo dell'attività economica senza precedenti, proprio come si supponeva.
E tutto questo andò a finire di molto male per tutte le persone coinvolte.
Non sono sicuro se qualcuno abbia idea del perché tutto sia andato a finire male. Il problema non è stata la mancanza di strategia; ma piuttosto è stata la strategia ad aver fallito e ci siamo così trovati con cento milioni di morti, anziché col comunismo. Il fallimento è cominciato quando nel corso della prima guerra mondiale ciascun partito della classe operaia si è schierato con la propria borghesia, e da lì in poi al disastro è seguito il disastro. La cosa è finita con sia l'Unione Sovietica che la Repubblica Popolare Cinese che "prendono la strada capitalista" (in mancanza di una frase migliore!). Su questa falsariga, il XX secolo è disseminato solo di eventi catastrofici, uno dopo l'altro.
Come ha sostenuto Postone, il fallimento del movimento operaio è stato talmente universale da suggerire una causa non ancora definita. Non è che la classe operaia abbia fallito saltuariamente, o qualche volta. I suoi fallimenti sono stati globali, mentre i suoi successi sono stati locali e transitori. Nella maggior parte dei casi, la classe operaia non ha mai preso il potere. Anche quando lo ha preso, nella maggior parte dei casi non lo ha mantenuto. E anche quando avrebbe potuto mantenerlo, il suo dominio si è risolto in un fallimento.
Anche quando è riuscito a prendere il potere, il breve dominio del proletariato come classe dirigente è stato un fallimento totale. E questa, per una strategia, è una storia abbastanza merdosa. La conclusione obiettiva rispetto a tutta questa storia è che probabilmente la classe operai non avrebbe mai dovuto prendere il potere. O, se dovesse mai trovarsi effettivamente essa stessa al potere, dovrebbe abolire immediatamente il potere che esercita. Che poi è fondamentalmente quel che Marx ha concluso a partire dalla Comune di Parigi:
1 - Non fatelo. (Il consiglio dato da Marx ai comunardi.)
2 - Se lo fate, sbarazzatevi immediatamente dello Stato esistente.
E questo è ciò che io penso ponga la domanda più importante (che non viene posta dall'autore): È possibile che il proletariato non sia mai stato realmente destinato a fare una rivoluzione?
Voglio dire, una cosa sulla quale sembrano essere d'accordo persone da diverse prospettive radicali, riguarda il fatto che le rivoluzioni sono fondamentalmente una forma politica borghese. (NOTA: L'idea che la rivoluzione politica sia una forma borghese, l'ho rubata da Chris Cutrone. Ho solo un po' improvvisato a partire dalla sua idea originale. E probabilmente non troppo bene.)
Fondamentalmente, la rivoluzione politica è una forma ereditata dalla classe borghese nella sua lotta contro l'Ancien Régime. Sebbene sia abbastanza impressionante quando strappa le relazioni sociali precapitalistiche, è davvero una forma appropriata per una classe che non è veramente una classe? (L'Ideologia Tedesca) Per quanto tempo si può durare come classe dirigente quando, costituzionalmente, non si è affatto veramente una classe?
Noi comunisti assumiamo che la rivoluzione politica sia la più alta espressione dell'azione sociale collettiva a disposizione del proletariato, ma lo è davvero? Nella maggior parte delle rivoluzioni reali, in effetti il proletariato viene solo trascinato dalla borghesia e viene mobilitato per distruggere i nemici della borghesia. Siamo le truppe d'assalto della borghesia contro i resti del vecchio regime, e soprattutto contro gli altri Stati borghesi. (Manifesto Comunista)
È possibile che aspirando a qualcosa di più di questo, il proletariato stia illudendo sé stesso politicamente.
Tendiamo ad immaginare di arrivare al comunismo per mezzo delle rivoluzioni politiche solo perché siamo il prodotto della società borghese. Ma questo significa aspettare un evento a bassa probabilità la cui esplosione non possiamo né predire né al quale possiamo adeguatamente prepararci. Significa aspettare che la borghesia della nostra nazione cominci a combattere fra di sé o che combatta la borghesia di un'altra nazione. Un'enorme guerra, come quella su cui ha recentemente ragionato Badiou, che destabilizzi la classe al potere nel nostro paese di modo che possiamo sfidare la nostra stessa borghesia per collocarci come classe dirigente.
Qui, la mia tesi è che non dovremmo aspettare una rivoluzione, come suggerisce l'autore. Non solo le rivoluzioni sono estremamente infrequenti, difficili da prevedere in termini di tempo e di luogo e per lo più dei fallimenti, degli eventi straordinari.
Per dirla generosamente, negli Stati Uniti negli ultimi 240 anni, o giù di lì, ci sono state tre rivoluzioni. Quali specifici problemi politici hanno avuto in comune? Non molti. Le rivoluzioni non sono solo ampiamente separate nel tempo e nello spazio, ma anche dalla peculiarità delle condizioni sociali e di classe. La guerra civile non sé solo separata dal New Deal dal tempo; i due eventi avvengono in condizioni del tutto diverse. Gli Stati Uniti degli anni 1930 somigliano assai poco a quelli degli anni 1860.
Inoltre, noi siamo anche le nostre priorità secondo le quali è risaputo che una rivoluzione politica è economicamente insufficiente. Anche quando scoppia una rivoluzione, il suo impatto finale, in quasi tutti i casi, si limita a costituire nient'altro che un cambiamento marginale per i proletari. (E, badate bene, stiamo parlando qui di una rivoluzione politica; non menzionerò nemmeno le elezioni e le altre forme di attività politica.)
E, un'ultima obiezione: come ho sostenuto prima, noi abbiamo presupposto finora di avere un trespolo al di fuori del capitalismo dal quale possiamo influenzare gli eventi. Una volta che rinunciamo a questo errore, i comunisti sono influenzati dagli sviluppi che avvengono all'interno del modo di produzione, come chiunque altro. L'idea stessa che i comunisti si trovino nella posizione unica di progettare il modo di produzione senza essere influenzati dal modo in cui il modo di produzione li costringa a sbagliare.
Come ha detto Mao, la borghesia è nel partito. Più aspettiamo la maturazione politica delle contraddizioni sociali, più tali contraddizioni si esprimono in maniera pressante nella stessa avanguardia. Noi ritardiamo l'azione a nostro rischio.
Noi puntiamo alla completa emancipazione dal lavoro, qualcosa che nessuna mera rivoluzione politica promette. Perché mai dovremmo aspettare forse decenni per un evento che con tutta probabilità non ci promette niente di sostanzioso?
Se la rivoluzione politica è, a causa del suo stesso carattere economico, insufficiente per gli scopi dei proletari, quale forma è economicamente sufficiente? La risposta, data inizialmente da Marx ed Engels, era il comunismo, vale a dire, il movimento reale della società. Questa probabilmente appare essere una risposta bizzarra, dal momento che noi normalmente pensiamo al comunismo come ad un obiettivo finale, non ad una strada o ad una strategia per raggiungere il nostro scopo.
Bene, lo è e non lo è. Il comunismo è il nostro obiettivo, ma è anche il modo in cui proponiamo di raggiungere il nostro obiettivo. Miriamo ad arrivare al comunismo per mezzo del comunismo, per mezzo del movimento reale della società. Lo scopo del comunismo ed i mezzi sono identici, come ci si aspetta. Ciò è decisamente diverso dal capitale, dove il fine ed i mezzi sono decisamente in contrasto fra loro. Ad esempio, ogni giorno andiamo a lavorare non perché sia il principale desiderio della nostra vita, ma per ottenere denaro per poter comprare i mezzi per poter vivere. I nostri desideri e i nostri mezzi sono in disaccordo. Quasi nessuno va a lavorare perché vuole essere lì. Vanno a lavorare perché serve loro il denaro per procurarsi i mezzi per vivere.
Nel comunismo, andiamo al lavoro solo perché vogliamo essere al lavoro, e per nessun'altra ragione. Perché esista il comunismo, la società deve impegnarsi nel lavoro solo se questo è il desiderio principale della sua vita. Affinché questo avvenga sono necessari alcuni prerequisiti materiali. Il comunismo, in quanto movimento reale della società, mira a realizzare questi prerequisiti materiali, che chiamiamo anche comunismo.
Niente di quello che facciamo per arrivare al comunismo può differire nel minimo modo dal comunismo stesso. Se nel XX secolo il comunismo poteva essere caratterizzato da qualcosa, quella cosa non corrispondeva al comunismo, Sia per il leninismo che per la socialdemocrazia, i mezzi adottati erano decisamente in contrasto con l'obiettivo dichiarato. In ciascun caso, ad esempio, lo Stato veniva impiegato come mezzo per determinare il movimento reale della società, Questo non è un giudizio, sto semplicemente specificando i fatti.
Per l'Unione Sovietica, sarebbe stato impossibile ottenere ciò che ha fatto senza lo Stato sovietico. Chissà. Non abbiamo un'alternativa che suggerisca il contrario. Era possibile che senza Lenin e i bolscevichi, la rivoluzione sovietica non si sarebbe nemmeno verificata. Ancora una volta le prove controfattuali sono estremamente esili. In ogni caso, per tutti noi l'esperienza dell'Unione Sovietica non era desiderata.
Se dovessi indicare una qualche ragione per il fallimento dell'Unione Sovietica, comincerei certamente dall'osservare che mezzi e fini erano in disaccordo. Il solo modo per arrivare al comunismo è attraverso il comunismo - un processo che alcuni hanno etichettato col nome di comunizzazione.
Non c'è niente di meno della comunizzazione che sia adeguato ai nostri bisogni.
Il problema con quest'approccio è che non c'è nessuno che sappia realmente cosa voglia dire. Che cos'è questo movimento, il comunismo?
Per essere onesti, la gente sa meno del comunismo in quanto movimento reale della società, di quanto sappia del comunismo in quanto società realizzata da tale movimento. E la maggior parte di quello che sappiamo è profondamento avvelenato dalle esperienze del movimento operaio del XX secolo. Il movimento operaio del XX secolo ha fatto parecchio affidamento su misure e strumenti politici, sia prima che dopo aver conquistato il potere. Non era un vero movimento della società; era piuttosto un movimento politico che non riusciva ad andare oltre la politica.
Questo è grandioso per noi, in quanto significa che possiamo liberarci di quasi tutto ciò che conosciamo a partire da quelle esperienze. Se c'è una cosa che sappiamo, questa cosa riguarda il fatto che tutto quanto riguarda il XX secolo per noi è inutile. Non dobbiamo continuare a fare sempre le stesse stronzate e poi aspettarci dei risultati diversi. Ovviamente, le esperienze non sono una completa perdita di tempo. Alla fine del XX secolo, il mondo era molto diverso rispetto all'inizio del secolo, e ciò è dovuto in gran parte alle molte lotte dei proletari durante quel secolo.
- Jehu - Pubblicato su The Real Movement il 10/11/2017 -
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