sabato 13 gennaio 2018

Genio E Paranoico!

Dick

Scrittore e saggista, Umberto Rossi è uno dei massimi conoscitori di Philip K. Dick a livello internazionale. Il suo lavoro più significativo è senza dubbio The Twisted Worlds of Philip K. Dick: A Reading of Twenty Ontologically Uncertain Novels (McFarland, 2011). Ma oltre a essere un esperto dell'autore californiano, Rossi è anche uno studioso della fantascienza nel senso più ampio del termine. Per esempio nel 2015, con Arielle Saiber e Salvatore Proietti ha curato il numero 126 del quadrimestrale statunitense Science Fiction Studies. Un numero, quello, davvero speciale perché dedicato alla fantascienza italiana. Degni di nota sono anche i suoi innumerevoli saggi sparsi per la rete, tra cui gli articoli scritti per Cronache di un sole lontano, che passano dai profili d’autore di Barry Malzberg e China Mièville fino all'introduzione alla trilogia marziana di Kim Stanley Robinson. Merita di essere menzionata, infine, l’uscita per Delos Digital del suo romanzo L’uomo che ricordava troppo (2015).

PHILIP K. DICK: il genio, il paranoico, lo specchio della società
- Un'intervista a cura di Flavio Alunni ad Umberto Rossi -

Domanda: Philip K. Dick è considerato uno dei grandi innovatori della fantascienza. Puoi fare almeno tre esempi di innovazione attribuita allo scrittore?

Umberto Rossi: Be', onestamente è sempre molto difficile e rischioso affermare che questo o quello scrittore sia stato il primo a proporre questa o quella novità. Non appena si dice che il primato spetta a lui o a lei, salta sempre fuori qualcuno a farti educatamente notare che l'aveva già fatto qualcun altro cinquanta, cento, centocinquant'anni prima. Comunque, diciamo che con L'occhio nel cielo Dick ha introdotto l'idea di mondi proiettati da singoli individui, quelli che più tardi Jonathan Lethem chiamerà finite subjective realities, e cioè realtà finite soggettive. Lethem metterà a frutto l'idea in modo brillante nel suo Amnesia Moon, che raccomando calorosamente.
Invece con Tempo fuor di sesto Dick ha intrecciato fantascienza e psichiatria, creando un autentico romanzo paranoico, e lo ha fatto nel 1959. Prima che il tema della paranoia entri di prepotenza nella narrativa non fantascientifica bisogna aspettare il 1965 con L'incanto del lotto 49 di Thomas Pynchon.
Per quanto riguarda Philip K. Dick potremmo anche parlare del suo trattamento assai originale di un tema classico degli anni Cinquanta e dei primi anni Sessanta. Mi riferisco alla Bomba, la guerra nucleare, la terza guerra mondiale: Cronache del dopobomba di Dick rivoluziona questo filone. E poi c'è Noi marziani, dove Dick proietta la California dei primi anni Sessanta su Marte. Solo per queste due opere, merita di passare alla storia. Ma c’è dell’altro. Vogliamo parlare di Invasione divina, dove la Terra non viene assaltata dai soliti alieni con tentacoli e dischi volanti, ma da Dio? Oppure di Un oscuro scrutare, che incrocia distopia e droghe in un modo assolutamente originale? Insomma, altro che esempi.

Domanda: La diversa percezione del reale era uno dei suoi cavalli di battaglia. A questo punto mi chiedo: Dick era un genio o un paranoico?

Umberto Rossi: Entrambe le cose ovviamente. Potremmo parlare a lungo del perché lo fosse, e forse la risposta meno azzardata è che nell'opera di Dick s'incrocia una paranoia collettiva, storica, perché gli anni Cinquanta, il decennio nel quale cominciò a scrivere, erano l'epoca della guerra fredda, e tutti erano paranoici in America. Paura della Bomba, paura delle spie, paura di essere denunciati come spie e finire davanti alla Commissione McCarthy o all'HUAC (un comitato dove era all'opera nientemeno che Richard Nixon). E ancora, paura di essere cacciati dal posto di lavoro, di essere sbattuti in prima pagina, di essere anche arrestati. Tu pensa che ogni tanto le trasmissioni televisive venivano interrotte e appariva il segnale del sistema nazionale d'allarme, il CONELRAD, per insegnare agli americani come sarebbe stato annunciato un attacco atomico da parte dell'URSS. Non c'era da stare tranquilli. Era un'epoca paranoica, e Dick la rispecchia pienamente.
Poi c'è la paranoia personale, dovuta ai problemi mentali dell'autore. Beninteso, Dick è morto e nessuno psichiatra se la sentirebbe di diagnosticare la sua malattia, che tra l'altro doveva essere in forma lieve, non tale da farlo ricoverare. Però si sospetta oggi che soffrisse di disordine bipolare, alternanza di fasi euforiche e depressione: nei romanzi si trovano entrambi gli stati mentali ritratti alla perfezione. Nella fase depressiva possono esserci episodi paranoici, infatti le mogli di Dick, più qualcuna delle sue amanti, ne hanno riferiti, e anche di drammatici.
Però, dopotutto, non c'è qualcosa di paranoico nella fantascienza stessa? Un genere letterario che ci ha fatto conoscere i robot, che potrebbero sostituirci, ma anche gli androidi, che sembrano umani a tal punto che non siamo in grado di distinguerli dai veri umani, e ancora gli alieni minacciosi, che potrebbero stare già invadendo questo nostro pianeta, e avanti con le catastrofi cosmiche di ogni tipo, con un’ampia scelta tra l’essere inceneriti da una supernova o fracassati da un asteroide che precipita sulla terra. E così via. C'è una vena paranoica nella fantascienza, c'è sempre stata, sin dai tempi di Herbert George Wells con i suoi uomini invisibili, le sue invasioni marziane e tutto il resto. Un paranoico borderline come Dick, che comincia a scrivere in un'epoca paranoica, cosa può scegliere se non un genere paranoico? Ed ecco spiegati i suoi romanzi e racconti.

Domanda: Come cambiano, se cambiano, Dick e il suo stile, tra il romanzo di esordio Lotteria dello spazio e la sua ultima opera romanzata, la Trilogia di Valis?

Umberto Rossi: Moltissimo. La prima cosa banale: nelle prime opere non trovi mai parolacce. Le riviste dove pubblicava non le consentivano. In secondo luogo non si parla mai di sesso: la fantascienza era indirizzata agli adolescenti, e la mentalità puritana dell'America degli anni Cinquanta non concepiva che si parlasse di certe cose ai ragazzi. Niente droghe, quindi. E poi lo stile di Dick, che è sempre stato molto asciutto, essenziale, era ancora più asciutto ed essenziale perché scriveva moltissimo e aveva poco tempo per rivedere, limare, correggere, aggiustare.
Poi verso la fine degli anni Cinquanta Dick scrive una serie di romanzi realistici che il suo agente tenta di piazzare presso editori generalisti. In due casi ci riesce, e mi riferisco a Tempo fuor di sesto e L'uomo nell'alto castello, che non vengono pubblicati come fantascienza. In questa fase la scrittura di Dick si fa più curata, i dialoghi diventano più veri, i personaggi vengono costruiti con più attenzione e più passione. Si scopre che dietro l'artigiano che sforna un racconto a settimana c'è un vero scrittore. Risale a quel periodo anche Noi marziani, che forse è l'opera più bella e più geniale di questo periodo.
Poi l'agente restituisce a Dick i suoi romanzi realistici che nessun editore voleva e che usciranno tutti solo dopo la sua morte. A quel punto, lui torna alla fantascienza scritta a velocità folle, anche grazie all'abuso di anfetamine. Ma ora siamo negli anni Sessanta, sesso droga e rock & roll, come si diceva, l'Estate dell'Amore, i fricchettoni. L'atmosfera è diversa e le storie che racconta Dick si fanno psichedeliche, folli, allucinate. Ubik e Le tre stimmate di Palmer Eldritch sono rappresentativi di questa fase, ma ci aggiungerei un meraviglioso e terrificante racconto, “Fede dei nostri padri”. All’epoca tutti si convincono che Dick scrivesse sotto LSD, anche a causa di una dichiarazione di Harlan Ellison, ma non è vero. L’acido lisergico l’aveva provato una volta sola e s'era talmente spaventato che non ne aveva più voluto sapere. Invece ingurgitava anfetamine a manciate.
Infine, dopo il disastro del 1971, con la fuga da San Rafael in Canada, il periodo in una comunità di recupero per tossicodipendenti, il ritorno in America ma non più nell'amata zona della Baia di San Francisco, bensì, paradossalmente, nella temuta Orange County, covo di reazionari, repubblicani, nixoniani e destrorsi, Dick cambia ancora stile. Diventa un personaggio nei suoi stessi romanzi. Parla della sua stessa vita. Innesta sulla fantascienza temi religiosi. Scrive opere che stanno al confine tra fantascienza e autobiografia, come Valis. E chiude con un romanzo come La trasmigrazione di Timothy Archer, anche se non credo sapesse che quello era il suo ultimo libro. La trasmigrazione di Timothy Archer non è un‘opera di fantascienza, semmai è un romanzo del soprannaturale, che cattura quegli anni Sessanta americani in un modo che era riuscito a pochi altri scrittori, forse solo a Thomas Pynchon, col quale Dick ha tutta una serie di aspetti in comune, prima di tutto la vena paranoica.
Quindi, certo che c'è un’evoluzione. Un giovane scrittore di fantasy, perché all'inizio questo voleva essere Dick, finisce col diventare uno scrittore postmodernista. E non uno dei minori, per come la vedo io.

Domanda: Esiste una coerenza narrativa, se non ideologica, nelle variegate opere dell’autore? Oppure i suoi libri e racconti riflettono una visione ambigua del mondo, dell’uomo e della società?

Umberto Rossi: La coerenza c'è nella misura in cui certe figure, certi temi, certe situazioni ricorrono in tutta la sua opera. In quasi tutti i romanzi ci sono ragazze dai capelli scuri molto attraenti ma anche pericolose. Dick, per darti un'idea, se avesse incontrato Virginia Raggi ci avrebbe provato subito. Come ci voleva provare con Sean Young, l'attrice che impersonò Rachel in Blade Runner. Poi la musica: è dappertutto. Dick scriveva di notte, chiuso nel suo studio, con la cuffia in testa e la musica a getto continuo. Rock, country, classica, barocca, musica giapponese, di tutto. Dick aveva lavorato in un negozio di dischi e conosceva la musica in una maniera sbalorditiva. Aveva una collezione di dischi colossale, probabilmente diverse migliaia di LP. Pensa che recentemente l'ultima moglie di Dick, Tessa Busby, ha regalato a un appassionato 200 LP di proprietà del marito, spiegando che erano solo una piccola parte della sua discoteca. E poi il nazismo, la seconda guerra mondiale, le droghe, gli androidi, il viaggio nel tempo, sono temi che ricorrono, trattati spesso in modo del tutto sovversivo.
Quanto all'ideologia, lì la faccenda si fa più complicata. Com'è complicato, Dick. Questo è l'uomo che scrisse e spedì due lettere al presidente Nixon nel momento in cui era travolto dallo scandalo Watergate: una di appoggio e solidarietà, una nella quale dice di vergognarsi di essere americano per quello che Tricky Dick ha combinato coi suoi tirapiedi. Qual è il vero Dick? Entrambi. Se veramente soffriva di disordine bipolare, c'è da aspettarsi che assumesse posizioni contraddittorie. Quando prevaleva la depressione era diffidente, chiuso, aggressivo, spaventato. Quando era nella fase euforica era la migliore persona del mondo, tu andavi a casa sua per farti autografare un libro e lui ti teneva lì a parlare e sentire musica per tutta la giornata, e ordinava pure pranzo e cena a portar via. Ambiguo? Io direi che, come il poeta americano Walt Whitman, era vasto, e conteneva, se non moltitudini, diverse personalità. Come alcuni dei suoi personaggi, del resto. In Valis i protagonisti sono due, il ragionevole Phil Dick, e lo sballato Horselover Fat. Ma sono entrambi lui, l'autore.

Domanda: Quali sono i romanzi più significativi nei temi “caldi” di Dick? Mi riferisco alla diversa percezione del reale, così come all’apocalissi, alla guerra e alla vita artificiale.

Umberto Rossi: Allora, ci provo, eh? Ci provo a tirare giù una lista. Se parliamo di droghe, Un oscuro scrutare. Se parliamo di viaggi nel tempo, il racconto “Noi temponauti”. Se parliamo di religione, Invasione divina. Quando si tocca il tema “androidi”, le letture obbligatorie sono due: L'androide Abramo Lincoln e Ma gli androidi sognano pecore elettriche?. Poi, sul tema Germania e nazismo, ovviamente L'uomo nell'alto castello. Guerra fredda: lì sono da leggere La penultima verità, ma anche Tempo fuor di sesto e L'occhio nel cielo. Guerra atomica: Cronache del dopobomba. Psichedelia, l'ho già detto prima, quando parlo degli anni Sessanta. Autobiografia, sicuramente Valis, Radio Libera Albemuth, La trasmigrazione di Timothy Archer. Questa è già una bella serie di letture, e uno che abbia letto tutti questi romanzi e racconti può dire di aver cominciato a conoscere Dick. Ecco, adesso voglio che sia chiara una cosa, e parlo per esperienza personale: se di questo scrittore leggi un romanzo e basta, stai certo che ancora non hai capito con chi hai a che fare. Al terzo, al quarto, cominci a capire di cosa si tratta. E di solito a quel punto non ti fermi più.

Domanda: L’esegesi, un massiccio volume uscito abbastanza di recente per la Fanucci, è una grossa mole di appunti scritti da Philip K. Dick, e viene presentato come l’ultimo lavoro in assoluto dell’autore. Non oso immaginare che cosa ci sia dentro. Tu ne sai qualcosa?

Umberto Rossi: Come no, come no. Allora, nel 1974, nei mesi di febbraio e marzo, Dick, che era uscito dal periodo più caotico e drammatico della sua vita, s'era sposato per la quinta volta. Aveva avuto il terzo figlio, Christopher, da Tessa, l'ultima moglie. Ecco, in quel periodo Dick ha una serie di visioni. Immagini psichedeliche, tipo quadri d'arte astratta. Gli vengono in testa frasi in greco antico. Ha la sensazione di non vivere nella California meridionale degli anni Settanta, ma nella Roma del 70 d.C. Da quel momento fino alla sua morte, lo scrittore s'arrovella sul senso e la natura di quelle esperienze. Comincia a prendere appunti descrivendo quello che ha visto e cercando di spiegarselo: come suo solito, sforna teorie e ipotesi in quantità industriali. Comunicazioni da alieni. Effetto dell'abuso di droghe nel passato. Pazzia. Contatto con Dio. Viaggio mentale nel tempo. Tutte queste riflessioni e intuizioni le butta giù talvolta a penna, talvolta con la macchina da scrivere. E siccome è uno scrittore professionista, cioè uno che scrive per campare (un concetto che da noi non è tanto chiaro, purtroppo, mentre in America sì), Dick mette tutto da parte, archivia tutto. Ormai sappiamo che parte di quei materiali li riusa per scrivere i romanzi finali, Radio Libera Albemuth e la Trilogia di Valis, più qualche racconto. Quindi per i critici letterari come me sono materiali preziosi.
Però sia chiaro: tutta quella massa di fogli di appunti che vengono trovati in casa sua quando passa a miglior vita, Dick non li aveva scritti per pubblicarli. Erano per suo uso privato. Non erano affatto pensati perché noi li leggessimo, e infatti in certi punti non è facile capire cosa scrive e perché. C'è poi da tenere conto che il volume Fanucci, traduzione di quello americano curato da Pamela Jackson, comprende solo una parte dell'Esegesi. Una piccola parte. Nell’edizione critica, Pamela Jackson è stata assistita da un gruppo di cinque dickiani di ferro, tra cui il mio amico David Gill, che di Dick sa veramente tutto.
L’esegesi contiene di tutto e di più. Non ci provo neanche a riassumere, non si può. Ci sono intuizioni geniali, momenti di follia, cose criptiche e indecifrabili, riflessioni molto personali e quasi imbarazzanti. Decisamente non è il libro che consiglierei a uno che vuole cominciare a conoscere Philip Kindred Dick. Però, se uno si appassiona a questo grande cantore della California, dell'America, a questo scrittore del presente, a quest'uomo che ha capito dove stavamo andando e cosa ci aspettasse prima e meglio di tanti altri, direi che prima o poi una visita anche all'Esegesi la dovrà fare.

fonte: Cronache di un sole lontano

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