Nell'Ottocento la sinistra viveva la speranza, la fede nel progresso, la convinzione di dominare le leggi della storia, l'orgoglio di saper combattere lotte giuste e vittoriose. Nel Novecento il panorama cambia radicalmente. La sinistra incarna ormai lo spirito del dubbio, la constatazione che la storia è imprevedibile, la consapevolezza che i totalitarismi possono nascere e rinascere in ogni istante. Essere di sinistra significa ormai abbandonare le speranze false e ideologiche; essere di sinistra significa essere critici, sapersi esporre senza finzioni alla dura prova della realtà, tenere gli occhi bene aperti davanti alla catastrofe. Essere di sinistra diventa sinonimo di essere malinconici. Enzo Traverso rianima quella galassia in tutte le sue sfaccettature; riattraversa il pensiero dei mostri sacri della sinistra, Marx, Lenin, Trockij, Benjamin, Bensaïd; si immerge nel cinema di Theo Angelopoulos e Ken Loach; analizza i murales messicani di Diego Rivera e la statuaria dei regimi sovietici; attinge alla cartellonistica politica e ai ritornelli della propaganda lontana e recente. E riemerge dal suo viaggio dando di quella malinconia di sinistra una nuova lettura, facendone uno stile di pensiero e una forma di vita, uno sguardo che rinuncia a piangere il passato perduto per disporsi a costruire un futuro diverso.
La malinconia di sinistra è sempre esistita. Non è nostalgia del socialismo reale ma una “tradizione nascosta” che non appartiene alla narrazione canonica del socialismo e del comunismo, con la loro fede nel progresso e l’orgoglio di saper combattere lotte giuste e vittoriose. La malinconia di sinistra incarna lo spirito del dubbio, lontano dai miti e dalla propaganda. Sa che i totalitarismi possono tornare, che la storia è imprevedibile, che le lotte del presente devono tenere gli occhi aperti sulle sconfitte del passato, perché ogni tragedia custodisce una promessa di riscatto e lo sguardo dei vinti è più penetrante di quello dei vincitori. Le macerie delle battaglie perdute sono il cuore da cui nascono nuove idee e nuovi progetti. Con il crollo del Muro di Berlino non è finito soltanto il socialismo reale; si è anche esaurito il tempo delle utopie con le quali volevamo trasformare il mondo, obbligandoci a mettere in discussione le idee con cui avevamo cercato di interpretarlo.
Enzo Traverso percorre le orme di una cultura di sinistra che, capace di guardare in faccia la sconfitta, può forse ripensarsi. Queste pagine tornano a interrogare le grandi figure che hanno costellato la storia di questa tradizione sotterranea: da Marx a Benjamin, fino a Daniel Bensaïd, passando attraverso la pittura di Gustave Courbet e i film di Chris Marker e Theo Angelopoulos. Un libro che spiega che cos’è la cultura di sinistra, rivelandone tutte le complessità e le interferenze.
«Malinconia di sinistra non significa nostalgia del socialismo reale o di altre forme naufragate di stalinismo. Anziché un regime o un’ideologia, l’oggetto perduto può essere la lotta come esperienza storica che suscita ricordi ed emozioni nonostante il suo carattere fragile, precario ed effimero. In questa prospettiva, malinconia significa memoria e consapevolezza delle potenzialità del passato: una fedeltà alle promesse emancipatrici della rivoluzione, non alle sue conseguenze.»
(dal risvolto di copertina di: Enzo Traverso, Carlo Salzani: Malinconia di sinistra. Una tradizione nascosta, Feltrinelli)
Ma davvero la sinistra non sorride mai?
- di Simonetta Fiori -
La sinistra è condannata alla cupezza del rimpianto? Solo a leggere il titolo del saggio annunciato da Feltrinelli — Malinconia di sinistra — viene da sussultare. Oddio, ci risiamo. Ci risiamo con il luogo comune dei musi lunghi, moralisti e rompiballe, filone editorialmente fortunato che ha alimentato tanta pubblicistica e anche qualche romanzo di successo. E invece no, questa volta si tratta di un lavoro di origine accademica, nato da un seminario alla Cornell University e destinato a uscire contemporaneamente in edizione italiana e presso la Columbia University Press.
La tesi di Enzo Traverso, studioso dei totalitarismi e della violenza nazista, è che l’eclissi delle utopie abbia lasciato sempre più spazio alla malinconia, una sorta di struggimento per le sconfitte subite, di memoria dolente per le occasioni perdute, di infinita tristezza per i vinti nella storia.
Ma questo stato d’animo — sostiene Traverso — è parte della storia della sinistra: se prima veniva occultato dall’assalto al cielo, ora in assenza di una prospettiva futura è destinato a occupare tutta la scena. Non l’ha provocato in sostanza la svolta storica dell’Ottantanove, ma soltanto rivelato, trattandosi di una tradizione “nascosta” e “rimossa” che il saggio di Traverso vuole portare alla luce attraverso testimonianze eterogenee, le parole di Marx e Benjamin, il cinema di Theo Angelopulos e Ken Loach, i murales di Diego Rivera, i capolavori di Courbet e Rodin.
Per approdare a cosa? No, non a un deprimente piagnisteo che potrebbe spegnere qualsiasi speranza di cambiamento, al contrario a una nuova militanza più consapevole. Sin qui la suggestiva tesi di Traverso, che non mancherà di far discutere.
Sinistra è solo quella rivoluzionaria? E mai un sorriso, mai una conquista, in un secolo e mezzo di mestizia sublimata?
Il responso solo dopo aver letto le 240 pagine dello studioso, illustrate da una cinquantina di tavole.
Malinconia di sinistra. Una tradizione nascosta (traduzione di Carlo Salzani), in libreria a fine novembre.
A proposito di luoghi comuni — o pregiudizi — chi di noi ne è totalmente sprovvisto? A ciascuno il suo, parrebbe dire l’editore Laterza che ha preparato (con l’intento di smontarli) un catalogo di pregiudizi d’autore. Non sempre ispirati dal malanimo: il pregiudizio può essere anche positivo, enfatizzare una qualità o un’attitudine ma — se infondato — pregiudizio resta. E non è detto che sia antico e consolidato: i luoghi comuni fioriscono ogni anno come le mimose.
Il volume laterziano ne raccoglie un’ottantina, affidati alle mani sapienti di altrettanti demolitori: da Ignazio Visco a Carlo Petrini, da Anna Foa a Eva Cantarella, da Giulio Giorello a Elio De Capitani.
Qualche esempio? «Gli ebrei sono intelligenti». «I gesuiti sono ipocriti ». «Gli omossessuali sono sensibili». «I giovani non leggono». «La rete non ha padroni ». «I giornali non contano più nulla». «La mafia è invincibile». «La letteratura italiana è morta». «Leggere libri ci rende migliori».
A chi non è scappata una di queste frasi fatte? Riconoscerle può rivelarsi molto istruttivo.
Il pregiudizio universale, introduzione (e titolo) di Giuseppe Antonelli, il 17 novembre in libreria.
- Simonetta Fiori - Pubblicato su La Repubblica del 30 ottobre 2016 -
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