Il capitalismo finirà, o può essere riformato?
- di Michael Roberts -
Questo mese sono arrivati due nuovi libri sul capitalismo. Il primo è di Wolfgang Streeck ed è intitolato "How will capitalism end?" (Come finirà il capitalismo?). Wolfgang Streeck è il direttore emerito del Max Planck Istitute per la Ricerca Sociale, a Colonia, ed è professore di Sociologia all'Università di Colonia. È anche membro onorario della Society for the Advancement of Socio-Economics e membro della Berlin Brandenburg Academy of Sciences oltre che dell'Academia European. Insomma, il punto di vista di Streeck ha un qualche peso, sufficiente per essere recensito da Martin Wolf sul Financial Time.
La tesi di Streeck, come suggerisce il titolo, è quella che il capitalismo è un sistema che sta arrivando alla fine e che la sua scomparsa non è poi così lontana. Il libro comincia riferendosi ad un altro libro, intitolato "Does capitalism have a future?" (Il capitalismo ha un futuro?), in cui viene espresso il punto di vista di altri cinque scienziati sociali; Immanuel Wallenstein, Randall Collins, Michael Mann, Georg Derluguian e Craig Calhoun. Come dice Streeck, tutti questi studiosi concordano sul fatto che il capitalismo si sta dirigendo verso una crisi finale, sebbene ciascuno apporti ragioni diverse.
Wallenstein ritiene che il capitalismo si trovi alla fine di un ciclo di Kondratiev da cui non può più riprendersi (per una molteplicità di ragioni, che hanno a che fare soprattutto col declino dell'ordine mondiale sotto l'egemonia degli Stati Uniti). Craig Calhoun, per un altro verso, ritiene che il capitalismo aprirà la strada ad economie dirette dallo Stato che potrebbero ripristinare il capitalismo, ma sotto una nuova forma "non di mercato". Michael Mann afferma che l'egemonia USA è finita e che il capitalismo diventerà una piattaforma imprevedibile per lotte fra vari rivali capitalisti, mentre la lotta di classe operaia appare frammentata. L'unica speranza è che trionfino le forze socialdemocratiche del compromesso. Randall Collins, secondo Streeck, presenta la prospettiva più vicina a quella marxista. Il capitalismo ricorrerà sempre più alla soppressione del lavoro umano ed alla sua sostituzione per mezzo dei robot e dell'Intelligenza Artificiale. Questo creerà gravi conflitti di classe e sottoconsumo, dal momento che molti lavoratori non avranno abbastanza reddito per comprare i prodotti dell'automazione. Sebbene l'analisi di Collins non sia marxista (a mio avviso) egli conclude che l'unica speranza è quella di una trasformazione socialista. Infine, Derluguian argomenta che il declino ed il collasso dell'Unione Sovietica suggerisce che il capitalismo non aprirà la strada al socialismo, ma piuttosto ad una frammentazione post-capitalista.
Dopo questa premessa, come si pone Streeck? Egli pensa che il capitalismo morirà "di mille tagli" e non verrà salvato dalle alternative di Mann e di Calhoun. Senza alcun proletariato in quanto forza che possa portare la società verso il socialismo, il capitalismo collasserà sotto "le sue stesse contraddizioni" e gli farà seguito, non il socialismo, ma un "duraturo interregno", un "periodo prolungato di entropia" dove non emergerà il "collettivismo" ma ci sarà invece un "individualismo" eterogeneo.
Il resoconto di Streeck sull'attuale stato del capitalismo continua nel libro e regala un'eccellente narrazione, in particolare la sua critica delle soluzioni keynesiane e riformista (sebbene i capitoli siano un po' ripetitivi). Egli vede un disordine sistemico rivelato innanzitutto dalla crescente disuguaglianza (laddove i primi 400 contribuenti negli Stati Uniti hanno un reddito 10mila volte superiore a quello del 90% della popolazione e le 100 famiglie americane al top hanno cento volte più ricchezza!) C'è poi la corruzione dei ricchi e dei potenti, così come si può vedere attraverso il ruolo delle banche. E il potere crescente del capitale finanziario, un settore del capitalismo del tutto improduttivo e dannoso.
Tutto questo è stato descritto da molti, e l'ho fatto anch'io sul mio blog. Ma Streeck vede queste forze come quelle che metteranno fine al capitalismo, piuttosto che come parte delle crisi ricorrenti nella produzione capitalista. Il capitalismo è più iniquo e corrotto che incapace di soddisfare i bisogni delle persone. Ma dal momento che non c'è una forza positiva nella società che possa rimpiazzare il capitale, il capitalismo "andrà all'inferno ma in un futuro prevedibile rimarrà nel limbo, morto o in procinto di morire a causa di un'overdose di sé stesso".
Per Streeck, è un "pregiudizio marxista che il capitalismo in quanto epoca storica finirà quando sarà in vista una nuova o migliore società ed un soggetto rivoluzionario pronto ad attuare un miglioramento dell'umanità". In un certo senso, Streeck predice un nuovo periodo di barbarie dopo il collasso del capitalismo, simile a quanto avvenuto all'Impero romano dopo il suo collasso nel V secolo. Allora una sofisticata economia schiavista cedette a degli Stati tribali; alle città si sostituirono i piccoli villaggi; ai latifondi, piccole proprietà; la tecnologia rimase inutilizzata e venne dimenticata.
A mio avviso, Marx ha potuto, e lo ha fatto, rendersi conto che la barbarie poteva succedere al capitalismo. Non c'è alcuna garanzia che al capitalismo segua il socialismo. Ha anche argomentato che senza un "soggetto rivoluzionario" (vale a dire la classe operaia) che attraverso l'azione politica mette fine al modo capitalista di produzione, può traballare. Streeck ha ragione che il capitalismo non alcun futuro a lungo termine, ma ha anche ragione sul fatto che non ci sia niente che possa rimpiazzarlo per portare avanti la società umana?
Il punto di vista di Streeck è il cinismo dell'accademico separato dalla classe operaia e immerso nell'esperienza del periodo reazionario neoliberista (un periodo di tempo assai breve nell'esistenza umana e nel capitalismo). A mio avviso, i cicli (Kondratiec e profitto) del capitalismo alla fine creeranno nuove forze per il cambiamento - ed una nuova e più sicura classe operaia in quanto agente del cambiamento. Ma se no, ...allora.
Naturalmente, la critica di Streeck svolta da Martin Wolf è differente, provenendo da un difensore del capitalismo. Certo, dice Wolf, Streeck ha ragione sul fatto che in tutte le società non esista un equilibrio stabile. "Sia l'economia che la politica devono adattarsi e cambiare". Ma solo un'economia di mercato può fornire "democrazia". Il pericolo oggi non è la fine del capitalismo ma la fine della democrazia. Perciò Wolf dice, che i governi democratici devono cooperare per assicurare che possano "gestire le tensioni fra gli Stati democratici delle nazioni e l'economia di mercato". "È possibile?", Wolf si fa la domanda e si risponde: "Assolutamente, sì" - anche se in realtà non sa come.
Questo ottimismo e pio desiderio di soluzioni "socialdemocratiche" ai mali del capitalismo rimane dominante nei medi di sinistra. E ancora una volta si rivela in un altro nuovo libro di Dean Baker. Baler è co-direttore dell'American Center for Economic Policy Research a Washington ed è giornalista televisivo ed esperto di economia e politica economica che interviene spesso nei meeting del movimento operaio e che scrive per l'inglese The Guardian. Baker è stato uno dei pochi economisti che viene citato per aver previsto il collasso finanziario globale, basandosi sulla bolla immobiliare americana alimentata dal credito, che ha portato all'instabilità finanziaria alla Minsky.
Il suo ultimo libro è "Rigged: how globalisation and the rules of the modern economy were structured to make the rich richer" (il libro è disponibile in pdf all'url https://thenextrecession.files.wordpress.com/2016/11/rigged.pdf ). Il titolo [N.d.T.: "Manipolato: come la globalizzazione e le regole della moderna economia sono state strutturare per rendere i ricchi più ricchi"] è diventato ormai un tema consueto fra gli economisti di sinistra (post?)keynesiani. Vale a dire, il problema non è il capitalismo o l'economia di mercato, ma il modo in cui è strutturata la moderna economia, in particolare a partire dal periodo neoliberista dopo il 1980, ovvero manipolata per cambiare "le regole del gioco" a favore dei ricchi e lontana dalla maggioranza. È questo l'argomento sostenuto da Joseph Stiglitz, altro economista ed eroe della sinistra e del movimento operaio, nel suo ultimo libro ( https://www.amazon.com/Rewriting-Rules-American-Economy-Prosperity/dp/0393254054 ).
Baker mostra come la distribuzione del reddito nella nostra società abbia poco a che fare con il merito e come i postulati dell'economia neoclassica vengano invocati strumentalmente per prevenire ogni azione che non porti benefici alle élite. Gli interventi che promuovono la distribuzione dei redditi verso l'alto non vengono mai criticati, mentre disuguaglianza e disoccupazione vengono lasciati alla gestione da parte della mano invisibile del mercato.
Baker sottolinea che «né Dio né la natura ci consegna un set di regole bell'e pronte che determinano il modo in cui vengono definite le relazioni di proprietà, in cui i contratti vengono applicati, o in cui vengono implementate le politiche macroeconomiche. Tali questioni sono determinate da delle scelte politiche». Nell'economia moderna, dalla crisi vengono salvate le banche, ma non le persone. Vengono imposti trattati commerciali che comportano la perdita del posto di lavoro per la maggioranza ma che danno più profitti alle corporazioni. Si potrebbe arrivare alla piena occupazione ma questo è contro gli interessi delle grandi corporazioni in quanto significherebbe la crescita dei salari e l'aumento dei costi del lavoro, cosa che farebbe comprimere i profitti. Così viene mantenuto, come scelta politica, quello che Marx chiamava "esercito industriale di riserva".
Baker identifica cinque aree in cui la "distribuzione verso l'alto" indotta dalle politiche dovrebbe essere invertita: la macroeconomia che si concentra soltanto sulla bassa inflazione; il trattamento asimmetrico che privatizza i guadagni e socializza le perdite nel settore finanziario; la pesante protezione dei diritti in patria e all'estero; la protezione nei confronti della concorrenza estera delle occupazioni altamente qualificate; e gli illimitati stipendi che vengono pagati agli amministratori delegati.
Baker afferma che questa politica "manipolando" l'economia mostra che il "libero mercato" non funziona. Sembra qui implicito che se così fosse, se funzionasse, allora tutto sarebbe bello e giusto. Dal momento che il mercato è "truccato", e non perché esiste l'economia di mercato, abbiamo bisogno che il governo intervenga per correggere le disuguaglianze, le ingiustizie e che applichi politiche per la maggioranza e non per pochi.
Quello che Baker non riesce a spiegare è in che modo il mercato venga "truccato". Succede e basta? Perché le scelte politiche sono a favore dei ricchi e non a favore della maggioranza? Non è stato sempre così? Baker sta guardando i sintomi, non le cause.
I marxisti come me direbbero che le politiche che portano a far crescere le disuguaglianze e la crescita del capitale finanziario accadono perché l'Età d'Oro del del capitalismo, con le sue pensioni decenti, servizi pubblici e piena occupazione, non può più essere assicurata dal capitalismo di mercato dal momento che è affondata la redditività del capitale. Cos' la "manipolazione delle regole" era necessaria al fine di salvare il sistema del capitalismo di mercato.
L'estrema disparità di ricchezza e di reddito è sempre stata la norma per il capitalismo, e non solo un prodotto della "moderna economia". Ad essere speciale è stata l'Età d'Oro dopo il 1945, e non il periodo liberista a partire dagli anni 1970. Se questo è vero, allora la domanda di Baker affinché il governo progressista intervenga per creare condizioni di parità e mettere fine alla "distribuzione verso l'alto" è solo un pio desiderio. Il compromesso socialdemocratico degli anni 1960 non tornerà nel capitalismo del 21° secolo. Streeck è assai più vicino alla verità di quanto lo sia Baker.
- Michael Roberts - pubblicato l'8 Novembre 2016
Fonte: Michael Roberts Blog
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