mercoledì 30 novembre 2016

A/Traverso

mediterraneo

S’intitola "Is the Mediterranean the New Rio Grande? Us and Eu Immigration Pressures in the Long Run" («Il Mediterraneo è il nuovo Rio Grande? Pressioni migratorie a lungo termine negli Usa e nell’Ue») l’articolo degli economisti Gordon Hanson e Craig McIntosh pubblicato sul fascicolo autunnale della rivista «Journal of Economic Perspectives».

Il Rio Grande nel Mediterraneo
- L’immigrazione negli Usa frena, da noi accelera sempre più. Aiutare i Paesi d’origine non basta: la causa è la demografia -
di Enrico Moretti

Decine di migliaia di migranti sono arrivati in Europa negli ultimi due anni. I media in Italia e in altri Paesi europei descrivono questo fenomeno come un problema acuto e connesso a fattori temporanei dovuti a conflitti militari e instabilità politica. L’impressione che emerge è di un momento di crisi dovuto a cause contingenti, come la guerra in Siria e in Iraq o il caos politico e militare in Libia e Afghanistan. Negli Stati Uniti, la percezione dei flussi migratori è esattamente opposta. L’opinione pubblica, abituata da decenni a milioni di immigrati in arrivo dal Messico e dal resto dell’America Latina, vive i flussi migratori come un aspetto permanente della società americana, nel bene e nel male. La realtà è molto diversa dalla percezione, sia in Europa che in America. Il problema dei migranti in Europa è un problema strutturale destinato ad acuirsi nei prossimi due decenni, con flussi migratori in accelerazione. Invece, nonostante il ruolo enorme che questo problema ha avuto nelle elezioni presidenziali vinte da Donald Trump, i flussi migratori dal Messico verso gli Stati Uniti sono già diminuiti significativamente negli ultimi dieci anni e continueranno a rallentare.

Le ragioni di questi trend hanno a che vedere con cambiamenti profondi nelle dinamiche demografiche nei Paesi di origine. Non se ne parla molto, ma le dinamiche demografiche, e in particolare l’evoluzione dei tassi di natalità, sono una delle cause più importanti dei flussi migratori, perché il numero di giovani tra 16 e 30 anni è il fattore principale che determina il numero di migranti da un Paese di origine. Paesi con tassi di fertilità alti tendono ad avere un numero crescente di giovani tra i 16 e i 30 anni. I dati ci dicono che questi giovani hanno difficoltà ad essere assorbiti dal mercato del lavoro nazionale e quindi hanno un’alta propensione a migrare. Paesi con tassi di fertilità bassi producono flussi di migranti minori, a parità di condizioni economiche. Uno studio recente di Gordon Hanson e Craig McIntosh, economisti all’Università della California a San Diego e tra i massimi esperti di migrazioni, quantifica i flussi migratori verso Europa e America nei prossimi due decenni. Lo studio, pubblicato dal «Journal of Economic Perspectives» (del quale sono direttore), mostra che i Paesi africani da cui storicamente partono i migranti diretti verso l’Europa sono in pieno boom demografico. Nei prossimi 35 anni l’Africa raggiungerà un miliardo e 300 milioni di abitanti. Paesi come Ciad, Eritrea, Mali e Nigeria avranno un numero di giovani altissimo, ed enormi difficoltà ad assorbirli. Il numero di migranti in partenza dall’Africa diretti in Europa si triplicherà. Anche i Paesi mediorientali sono in pieno boom demografico, il che implica un aumento ulteriore dei migranti. I Paesi più colpiti dall’aumento saranno Spagna, Italia e Gran Bretagna, perché gli immigrati che si stabiliscono in questi Paesi vengono da nazioni d’origine in cui il boom demografico è più pronunciato. Invece la migrazione verso gli Stati Uniti continuerà a rallentare. Il Messico sta diventando una società sempre più urbana e sempre meno fertile. Proprio com’è accaduto nel Sud dell’Italia a partire dagli anni Ottanta, lo sviluppo economico, l’urbanizzazione accelerata, l’evoluzione del ruolo della donna e la modernizzazione culturale hanno alterato profondamente la famiglia tipica. Se negli anni Sessanta la donna messicana media aveva 6,8 figli, oggi ne ha 2,2. Il Messico e il resto dell’America Latina stanno invecchiando rapidamente e non deve quindi stupire se ci sono sempre meno giovani disposti a partire per gli Stati Uniti. Per la prima volta nella storia, il numero di messicani negli Stati Uniti negli ultimi cinque anni non è aumentato, ma diminuito. Hanson e McIntosh concludono che nei prossimi vent’anni il Mediterraneo diventerà per l’Europa quello che il Rio Grande è stato per gli Stati Uniti nell’ultimo mezzo secolo, un punto di passaggio per milioni di migranti in viaggio verso Nord. Le implicazioni per l’Italia e l’Europa sono profonde. Anche se la guerra in Siria e l’instabilità in Libia e Iraq e altri Paesi mediorientali dovessero magicamente scomparire domani, l’Italia e l’Europa devono prepararsi a ondate migratorie crescenti e in accelerazione
fino almeno al 2035. Questi flussi migratori saranno di dimensioni tali da avere un effetto profondo anzitutto sul nostro mercato del lavoro e sulla nostra economia e più in generale su quasi tutti gli aspetti della vita nazionale, dalla politica alla cultura all’identità stessa della nostra società.

Quest’analisi ha due importanti implicazioni di politica estera per i Paesi europei. Primo, politiche di aiuto che accelerino la transizione demografica nei Paesi di origine, come campagne anticoncezionali, sviluppo dei sistemi previdenziali e sanitari, modernizzazione del ruolo della donna nel mercato del lavoro, sono sicuramente auspicabili per molte ragioni, ma non avrebbero alcun effetto sull’immigrazione dei prossimi due decenni. La ragione è che i giovani tra i 16 e i 30 anni che partiranno dal Medio Oriente e dall’Africa verso l’Europa tra il 2016 e il 2035 sono già in gran parte nati.
Secondo, politiche di aiuto focalizzate sullo sviluppo economico dei Paesi di origine favorirebbero la riduzione almeno in parte del problema e dovrebbero essere una delle priorità della politica estera europea nei prossimi anni. Se l’economia dei Paesi di origine accelerasse, il loro mercato del lavoro potrebbe assorbire un numero maggiore di giovani. Il boom demografico causerebbe comunque un aumento di migranti diretti in Europa, ma l’aumento sarebbe quantitativamente più contenuto e più gestibile. Ogni punto di Pil aggiuntivo in un Paese di origine si traduce direttamente in decine di migliaia di migranti in meno alle porte dell’Europa. Ci sono molte ragioni per cui politiche di aiuto che favoriscano la crescita economica nei Paesi mediorientali e africani sono nell’interesse dell’Europa, ma questa è di gran lunga quella più urgente.
In Europa come in America l’immigrazione è al centro del dibattito politico. Paura, pregiudizi e ondate di populismo ignorante e a volte violento accomunano fenomeni come la vittoria di Donald Trump, la Brexit, il successo elettorale dei partiti xenofobi europei, dall’Austria all’Olanda, dalla Danimarca alla Francia.
Quello di cui non ci si rende conto è come il quadro sia destinato a evolversi significativamente nei prossimi anni.
L’immigrazione verso gli Stati Uniti continuerà a rallentare fino a scomparire dal dibattito politico, quella verso l’Europa continuerà ad accelerare. Per gli Stati Uniti l’immigrazione è un problema del passato; per l’Europa è un problema del presente e soprattutto del futuro.

- Enrico Moretti - Pubblicato sul Il Corriere/La Lettura del 13 novembre 2016 -

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