venerdì 4 novembre 2016

Il cadavere sbagliato

karl-marx-ageing

Marx 2000
- di Robert Kurz -

Dopo la fine del socialismo di Stato, il capitalismo ha trasformato la ben nota metafora marxista del becchino nel suo opposto e l'ha integrata nel proprio repertorio ideologico. Ma, nel proclamare ancora una volta il funerale della teoria marxiana, le scienze accademiche ufficiali hanno di certo sbagliato cadavere. L'opera di Marx rappresenta, nel suo significato reale, una teoria negativa della rottura e non una teoria positiva di "sviluppo socialista", nonostante che sia stata sfruttata in tal senso per la legittimazione da parte delle dittature burocratiche del socialismo di Stato. Di conseguenza, il quadro logico ed analitico marxiano è la proiezione teorica del capitalismo e del suo sviluppo fino al suo futuro stato maturo di crisi.

L'utilizzo strumentale ideologico, al servizio di una "modernizzazione di recupero" della periferia del mercato globale capitalisticamente in ritardo (dalla Rivoluzione di Ottobre ai cosiddetti "movimenti di liberazione" nel Terzo Mondo), ha oscurato completamente questo nucleo teorico. Certamente, non si trattava meramente di una questione di errore all'interno della teoria, ma rifletteva il corso della storia reale: la caratteristica del 20° secolo era tanto la crisi sostanziale del modo capitalista di produzione, quanto piuttosto la crisi di disuguaglianza storica che ha fatto seguito a quella della disparità globale nel potere del capitale e nella produttività all'interno del sistema stesso. Si è trattato, per così dire, del diritto dei ritardatari storici a fare uso di un Marx semplificato e sbriciolato come supporto per la legittimazione dell'ideologia al fine di riuscire eventualmente ad includere i partecipanti indipendenti nell'universo borghese del mercato mondiale, per essere in grado di soddisfare la domanda di consumo delle loro popolazioni. Ma questo tentativo era inevitabilmente condannato al fallimento a causa dei criteri interni alla logica del sistema, nonostante la convinzione diffusa che avrebbe potuto essere controllato per mezzo della negoziazione da parte dello Stato. Il crollo dei sistemi di mercato pianificato dallo Stato ha lasciato il capitalismo da solo con sé stesso. È diventato un sistema totale, unipolare, globalizzato, e "simultaneizzato", che non ha più possibilità di ingrassarsi ideologicamente per mezzo delle strutture esternalizzate della sua stessa irregolarità storica. Tale opportunità è stata distrutta insieme al suo presunto contro-sistema. L'auto-giustificazione capitalista occidentale era sempre prosperata a partire dai deficit della "modernizzazione di recupero" che veniva confrontata con il più avanzato livello di sviluppo dei paesi capitalisti (ideologia del consumo di merci, campagna per i diritti umani, ecc.). Ora il capitalismo deve dare prova della sua legittimità da sé solo, e in questo fallisce miseramente. Ogni anno che passa diventa sempre più implausibile dare ai sistemi del passato la colpa per la miseria che cresce inesorabilmente nell'Est e nel Sud, ed interpretare tale miseria come mera eredità. Inoltre, sarebbe assolutamente ridicolo cercare di rendere responsabile il vecchio nemico malvagio della crescente massa di povertà e di degrado sociale in Occidente. Quel che sta accadendo oggigiorno può essere solo la conseguenza del meraviglioso, unico e solo capitalismo.

Questa tenebrosa situazione della società richiede non solo che non dobbiamo dimenticare Marx, ma che ora diventa necessario innanzitutto scoprire la sua opera e leggere la sua teoria sotto una luce differente: come teoria dello sviluppo e della crisi del moderno sistema produttore di merce (logicamente, questo termine comprende il capitalismo occidentale ed i sistemi socialisti di Stato della "modernizzazione di recupero"). Questa lettura di Marx "controcorrente" rispetto alle interpretazioni comuni, richiede naturalmente due cose. In primo luogo, la storicizzazione del pensiero di Marx, vale a dire, la cancellazione di quegli elementi in cui pensava ancora all'interno dell'orizzonte della modernizzazione borghese. In secondo luogo, tale lettura richiede, per così dire, l'inversione della polarità della Teoria Marxiana, di modo da non comprenderla come una rappresentazione positivistica delle categorie capitaliste, ma al contrario, come la sua immanente critica radicale. In altre parole, è necessario scoprire e superare le contraddizioni all'interno della Teoria Marxiana, che sono dovute al limitato orizzonte storico dei tempi di Marx. Leggere Marx con una carica negativa (anziché positiva) è la precondizione per rendere nuovamente esplosiva la sua opera.

Il senso della teoria del valore-lavoro
Il termine "lavoro" è un elemento costitutivo di tutte le società moderne sotto due aspetti, vale a dire, in senso economico-strutturale ed in senso etico-morale. Il liberalismo illuminato ha secolarizzato ed integrato il masochismo cristiano della sofferenza. L'etica protestante del lavoro ha così trovato, in quanto eredità borghese, il suo posto nel marxismo. In maniera simile, i classici dell'economia borghese (e più tardi, Marx) hanno incorporato nelle loro teorie la categoria positiva protestante del lavoro. Questa non era solo un mero postulato teorico speculativo, ma piuttosto la controparte teorica dello svolgersi del modo di produzione capitalista. In questa concezione storicamente limitata, Il "lavoro" (cioè il dispendio di energia umana ai fini della (ri)produzione sociale) emerge come la sostanza del valore economico. A sua volta, la forma discernibile della sostanza del valore è il denaro (selezionato come "merce universale"). Cioè, considerati come oggetti di lavoro le merci sono oggetti che "contengono" valore e che hanno un prezzo in denaro.

Dal punto di vista della soggettività borghese, questa è una connessione positiva ed internalizzata. E nella misura in cui lo stesso Marx la fa valere in un contesto affermativo della modernizzazione, nella sua opera si trova anche questa "positivizzazione". Quando si legge in questo senso l'opera marxiana, si rivela essere un discendente dell'ideologia liberale e dell'economia classica. Questo discendente da una parte uccidi i suoi progenitori, ma dall'altra parte continua a portare il suo marchio di nascita. È esattamente questo lato positivistico di Marx a costituire il Marx "essoterico" del movimento operaio e della lotta di classe. L'enfasi posta sul plusvalore in quanto forma capitalistica del "lavoro non pagato" e sull'implicito, strutturalmente determinato, "sfruttamento" dei lavoratori da parte dei capitalisti, raccomanda in qualche modo la necessità di rivendicare "l'intero valore" per la "classe operaia". Per lo stesso motivo, valore e "lavoro" in quanto categorie della forma e della sostanza della società capitalista sono "positivizzate" (rese positive) come condizioni ontologiche, trans-storiche, dell'esistenza umana.

Così, le contraddizioni sociali si dissolvono in relazioni soggettive di intento, dal momento che le categorie strutturali divengono un a priori neutrale, positivo, ontologico e silenzioso. Di conseguenza, sembra che l'essenza del capitalismo sia il fatto che una classe è il soggetto del dominio e che opprima un'altra classe - la "classe operaia", che è il soggetto del lavoro - con il fine della ricchezza materiale e del benessere della "classe dominante". Tuttavia, anche se confusa e incoerente nei suoi termini e nella presentazione, la dimensione più profonda della Teoria Marxiana implica un'interpretazione del tutto differente. In questa lettura, il "lavoro" improvvisamente non appare più essere una sostanza positiva ma, piuttosto, negativa; e, di conseguenza, il valore rappresenta la forma di un modo negativo di riproduzione sociale [Vergesellschaftung]. L'apparenza del lavoro in quanto sostanza dle valore è reale ed oggettiva, ma è reale ed oggettiva soltanto dentro il moderno sistema produttore di merci. L'attività pratica della società dentro il "metabolismo della natura" (Marx), in nessun altro modo di produzione e di vita, ha assunto lo status sostanziale dell'astrazione del "lavoro" socialmente-generale (onnicomprensivo) e dominato in tutto il processo di riproduzione sotto forma di valore.

In questo sistema, il denaro è la forma tangibile dell'apparenza del valore, che è collegato a sé stesso. Nel movimento di auto-espansione del capitale, che genera denaro dal denaro, il denaro diventa un inesorabile ed instancabile fine-in-sé. Ma se il "lavoro" è la sostanza del valore, e quindi la sostanza del denaro, si deve di conseguenza descrivere anche il lavoro come un fine-in-sé: è il dispendio [Entäußerung)] auto-referenziale ed alienato di energia umana. Il carattere mediatore del "lavoro" nel "metabolismo con la natura" e il carattere mediatore del denaro nel metabolismo sociale della società trasformato in un fine-in-sé e che determina quindi le azioni dei soggetti empirici. È proprio questa auto-referenza sistemica tautologica che rende il "lavoro" "lavoro" ed il "denaro" "denaro". Marx chiama questa realizzazione paradossale ed irrazionale dell'indipendenza dei mezzi (o del medium) il "soggetto automatico" dell'età moderna.

Lungi dall'essere i soggetti della storia, i proprietari di capitale e, allo stesso modo, i manager, si rivelano meri funzionari del "soggetto automatico", che opera al di là dei loro scopi. Fra l'altro, le gratificazioni per i membri della cosiddetta "classe dominante" sembrano essere quasi irrisori rispetto ai vincoli cui devono sottostare, il loro "lusso" è di molto inferiore a quello delle élite premoderne e, inoltre, sempre più stupido e scarso nel corso dello sviluppo capitalistico. Questa concezione del modo capitalista di produzione e del modo di vivere suggerisce fortemente il concetto di "utilizzo" (oggettivato) della capacità-lavorativa, piuttosto che il termine di "sfruttamento" (percepito soggettivamente, e sociologicamente ristretto). Il lavoro salariato non viene trattenuto direttamente dal suo prodotto sociale. Al contrario, la produzione sociale di ricchezza è subordinata essa stessa alle restrizioni sistemiche del fine in sé mostruoso.

In quanto risultato dell'auto-referenzialità dei mezzi quasi-indipendenti("lavoro") o del medium (denaro), le paradossali "relazioni sociali fra cose" (Marx) emergono dove gli esseri umano non interagiscono direttamente ma dove rimangono essenzialmente isolati gli uni dagli altri. La loro interazione sociali avviene solo secondariamente tramite la proprietà-del-valore dei prodotti del lavoro. È esattamente questo ciò che Marx chiama feticismo della forma merce. L'utilizzo delle risorse naturali e sociali non avviene attraverso la reciproca regolazione consapevole attuata a monte dalle istituzioni sociali, ma attraverso il cieco dispendio di energia-lavoro per i mercati anonimi. Questo dispendio di energia-lavoro astratta può dimostrare di essere socialmente coerente solamente a posteriori, "dietro le spalle" del soggetto agente in maniera altrettanto cieca, oggettivata, ed in maniera sistemicamente conforme. Quindi, la coerenza sociale non è mai garantita (come è ben noto, Adam Smith elogiava questo punto per mezzo del topos della "mano invisibile", nonostante gli evidenti attriti di tali cieche dinamiche sociali [Vergesellschaftung]).

Con questo feticismo, dove le dinamiche sociali appaiono essere dinamiche fra cose (è questa l'essenza del "soggetto automatico"), viene stabilita una relazione fra forma e contenuto sostanziale che è sia reale che allucinatoria. L'attività umana concreta di trasformazione degli elementi della natura rimane non-sociale (una questione di "amministrazione degli affari"), sebbene sia fin dall'inizio non autosufficiente, ma mirata al contesto di una dipendenza reciproca ed universale. La validazione sociale meramente secondaria attraverso il mercato necessita di due cose: in primo luogo, che l'attività produttiva venga spogliata di ogni carattere concreto, vale a dire, venga astratta a puro "dispendio di cervello umano, nervi e muscoli" (Marx) al fine di rendere le attività qualitativamente differenti ed i beni commensurabili nello scambio di merci. In secondo luogo, nonostante il fatto che il processo reale sia passato, il dispendio astratto di energia sociale-umana ora appare essere (nella particolare quantificazione del relativo livello di produttività) proprietà sociale e sostanza dei prodotti, e questa sostanza, a sua volta, acquisisce la sua espressione per mezzo della "merce universale" selezionata (denaro) sotto forma di prezzo monetario.

Tuttavia, dal momento che il denaro in quanto capitale denaro rappresenta l'elemento autoreferenziale che tutto comprende nella "valorizzazione del valore" (e in questo rappresenta il punto di partenza), l'attività concreta della relazione produttiva umana con la natura si svolge fin dall'inizio meramente come astrazione, che è letteralmente diventata reale nella proprietà del valore e del denaro. Così, il rovesciamento dei mezzi e del fine ha la sua corrispondenza nel rovesciamento del concreto e dell'astratto; ora il concreto è meramente l'espressione dell'astratto, anziché il contrario. Perciò, il cosiddetto "lavoro concreto" e lo spettro correlato del "valore d'uso" non rappresentano il lato "buono", orientato a bisogni, del sistema, ma sono essi stessi la mera forma concreta dell'apparenza dell'astrazione reale, in quanto l'operazione concreta di produzione appare a livello sociale solamente come il mezzo di quest'astrazione. Il lavoro concreto non ha significato in sé, ma è soggetto ai dettami della "valorizzazione del valore" e, di conseguenza, è causa anche di risultati irrazionali e distruttivi a livello del valore d'uso - nonostante il giudizio migliore che viene dato da tutti i partecipanti - che rimane incatenato alla forza strutturale del sistema. Certo, il valore-proprietà dei prodotti, che serve da portatore della "sostanza-lavoro" spesa ed astratta, è allucinatorio. Ciò perché, innanzitutto, l'aspetto del dispendio astratto di energia umana dell'attività produttiva non può venire realmente rimossa dal carattere materiale-sensibile del "lavoro concreto". Questo processo ha luogo solamente nella "astrattificazione" sociale inconscia come un automatismo implicito, sebbene produca un risultato materiale: denaro. È attraverso il denaro che la società incontra la propria astrazione inconscia come potere alienato indipendente. In secondo luogo, dal momento che si tratta di un processo vivente, si può anche non assumere l'attività produttiva come materia astratta sui generis che si trova sotto forma "coagulata" nei prodotti. I membri della società che sono socialmente isolati gli uni dagli altri, e che vengono mediati a posteriori dai prodotti, devono quindi allucinare il loro rispettivo "lavoro" passato come una proprietà dei prodotti (e, per di più, rispetto al feedback sistemico, devono iniziare già la loro rispettiva attività produttiva sotto questa reificazione allucinatoria astratta). Solo un essere umano cresciuto con le categorie della società produttrice di merci riconoscerà la proprietà allucinatrice del prezzo/valore, soprattutto perché essa non può essere colta sul piano materiale. Tuttavia, questa allucinazione feticistica non è arbitraria ed accidentale: l'ammontare di lavoro socialmente valido che soddisfa al rispettivo livello di produttività dev'essere effettivamente speso. Il fine-in-sé capitalista guadagna fermezza e capacità di riproduzione solo in quanto relazione socialmente allucinatoria del passato, che viene spesa come quota di lavoro (sotto forma concreta-sensoriale).

L'analisi marxiana della struttura profonda capitalista, con il suo immanente feticismo, rivela il carattere negativo della sostanza lavoro e della sua forma valore. Questo punto cruciale è stato timidamente ignorato dal marxismo del movimento operaio, ed è stato scaricato dalla scienza economica ufficiale in quanto "assurdità filosofica". Nel contesto del rifiuto della Teoria Marxiana, la scienza accademica ha scaricato anche la dottrina degli economisti borghesi classici, che consideravano l'ammontare speso di lavoro come contenuto del valore economico. La coscienza dominante ha mantenuto soltanto il significato eticamente repressivo e morale dell'accezione positiva del lavoro ed ha quindi protetto sé stessa per mezzo dell'ignoranza nei confronti della scoperta della sua costituzione irrazionale, che si annida nel termine marxiano di feticismo. L'economia è diventata la teoria superficiale dell'utilità marginale, o la teoria del valore soggettivo. In questa teoria - alla base dell'economia ufficiale attuale - il termine di valore è stato del tutto dissolto nell'apparenza del prezzo e, a sua volta, il prezzo si è ridotto ad un calcolo di utilità puramente soggettivo effettuato dai partecipanti al mercato (la cui esistenza e costituzione viene assunta a priori). Questa teoria post-classica non intende realmente, e non è capace di, spiegare niente. Piuttosto, il suo scopo è quello di mettere in forma sistematica e stimabile i calcoli dei soggetti del mercato. All'interno delle scienze sociali, la matematica fa la sua apparizione sulla scena nel momento in cui viene perso l'impulso critico e quando si prova a riportare la descrizione del contesto sociale, in mancanza di una spiegazione teorica, sotto controllo.

Tuttavia, il suggerimento secondo cui il prezzo può essere ridotto a dei calcoli di utilità soggettivi e che esso non ha niente a che fare con una qualche sorta di un'oggettiva sostanza del valore, è plausibile solamente in situazioni particolari, fuori dalle relazioni sociali implicitamente assunte. Per esempio, nella famosa idea del "bicchier d'acqua nel deserto", la cui utilità marginale crescerebbe all'infinito. Ma esempi di questo genere sono soltanto sciocchi dacché non fanno parte dello svolgimento ordinario delle azioni socio-economiche e non possono quindi essere considerati oggetto di economia. All'interno della società reale di un sistema produttore di merci, il potere di spiegazione del calcolo dell'utilità marginale del valore d'uso è praticamente zero. Ciò perché, sebbene i partecipanti al mercato evidentemente pesano la loro utilità soggettiva contro il rispettivo prezzo monetario, non lo fanno indipendentemente dalle condizioni sociali; piuttosto, lo fanno sotto condizioni oggettivate, che vengono forzate su di loro e che influenzano (a priori) il loro calcolo in maniera inconscia. La teoria del valore soggettivo (prezzo) confonde qui causa ed effetto. Normalmente un determinato bene è disponibile su larga scala in quanto la rispettiva produttività si è incrementata, vale a dire, il valore oggettivo della singola merce (l'ammontare di lavoro speso per bene) è diminuito a causa della diminuzione della sua sostanza-lavoro. Il calcolo soggettivo dell'utilità quindi segue solamente, nel migliore dei casi, lo sviluppo della produttività sociale per quel che riguarda il dispendio di lavoro.

Tuttavia, la percezione di un'utilità più piccola o più grande in rapporto al livello di bisogno umano non regola in alcun modo la produzione di beni. Per esempio, se si assume una massa crescente di disoccupati e di destinatari di welfare, le persone che non sono in grado di comprare determinati e necessari prodotti: un incremento nel loro calcolo soggettivo di utilità riguardo questi beni non causa in alcun modo una crescita dei prezzi di tali beni; al contrario, c'è più probabilità che crollino, in quanto la domanda diminuisce come risultato della perdita di potere di acquisto, nonostante un incremento del bisogno sociale. È puro cinismo attribuire una simile caduta dei prezzi (in considerazione di uno shock inflazionario, ad esempio) ad un declino nell'utilità marginale dei beni, dovuto alla saturazione dei relativi bisogni. D'altra parte, una mancanza di domanda non porta ad alcuna diminuzione arbitraria dei prezzi al di sotto dell'oggettiva sostanza-lavoro (secondo il livello di produttività), piuttosto si verificherà un arresto della produzione indipendentemente della mancanza di soddisfazione  (perfino dei bisogni vitali) e da un'abbondante capacità di produzione.

La teoria dell'utilità marginale, o teoria del valore soggettivo, assieme alle loro varie estensioni nel corso del 20° secolo, ignorano del tutto che l'ordine capitalistico della società non è determinato dai soggetti della circolazione, ma dall'irrazionale fine-in-sé della produzione. L'inversione capitalista fra mezzi e fini, analizzata da Marx, impone in primo luogo che gli esseri umano non possono in alcun modo apparire sul lato della domanda del mercato delle merci se non hanno precedentemente venduto la propria pelle sul mercato del lavoro in nome del sistemico fine-in-sé. In secondo luogo, e in seguito a questo, il mercato dei beni non è affatto il luogo in cui si incontrano i calcoli sull'utilità del valore d'uso fatti dai soggetti che producono indipendentemente . Piuttosto, il mercato, essendo apparentemente il luogo della "libertà" di comprare e vendere, non rappresenta altro se non la sfera della "realizzazione del plusvalore". vale a dire, la riconversione della quota spesa di lavoro nella forma di capitale monetario. Il mercato dei beni è in tal senso solo un luogo di transito per l'incessantemente pulsante fine-in-sé capitalista, ed è assai lontano dall'essere costituito da una somma di calcoli soggettivi di utilità. L'esatto opposto semmai: questi calcoli di utilità sono legati al regno della preesistente legge capitalistica del sistema. Il termine di utilità stesso è determinato da quello, e non dal senso di benessere e soddisfazione dei bisogni dei partecipanti al mercato.

La tendenza alla caduta del saggio di profitto e la legge del crollo del capitale
È abbastanza ovvio cosa spinga gli ideologhi dell'economia nella loro negazione dell'oggettiva sostanza-lavoro: ci si deve liberare del problema della  sostanza perché il capitalismo ha la tendenza immanente a rendere questa sostanza superflua ed obsoleta, e così facendo, distruggerla. Dal punto di vista di una coscienza che vuole ed è solo in grado si pensare dentro le categorie borghesi della forma (circolazione, merce, scambio, e la loro "relazionalità") la forma pura rimane e dev'essere resa eterna, in qualsiasi illusione pseudo-emancipatrice. Il contenuto sostanziale viene ideologicamente velato al fine di evitare il riconoscimento del potenziale catastrofico della sua attuale dissoluzione (e quindi l'inevitabile obsolescenza dello scambio di merci e delle sue forme di coscienza). È il così tanto fortemente acclamato meccanismo della concorrenza che guida la dinamica capitalista ed esprime l'immanente contraddizione sistemica per mezzo della quale il capitalismo disintegra la propria sostanza feticistica. Questa concorrenza fra imprese isolate, che si realizza attraverso la mediazione di mercati anonimi, necessita di un incremento permanente della produttività, che, a sua volta, può essere ottenuto solo grazie alla sostituzione effettuata dalle "agenzie scientifico-tecniche" (Marx) per il lavoro umano. Ciò significa che la singola merce perde costantemente valore perché rappresenta sempre meno "sostanza di lavoro". In questo modo si può estrapolare un punto finale assoluto, dopo il quale l'intera sostanza lavorativa sociale si trova ad un tale livello quantitativo marginale in cui la proprietà-valore allucinata dei prodotti degenera e diviene assurda.

In passato, il modo capitalista di produzione era in grado di riprodurre sé stesso solo attraverso un'espansione costante, ed in questo modo, risolveva temporaneamente la su logica contraddizione interna. Meno valore (vale a dire, sostanza-lavoro) rappresentava una singola merce, più merci dovevano essere prodotte e vendute. Fino a quando la quantità di merci prodotte si espandeva più rapidamente di quanto decresceva la sostanza-lavoro per merce,  Il crollo dei sistema veniva rinviato. Di conseguenza, era necessario riempire il mondo di merci e condizionare la gente ad organizzare la loro vita nella forma di un'incessante produzione di merci e di un costante crescente consumo di merci. Tuttavia, lo sviluppo capitalista era tutto tranne che liscio. Al contrario, dentro l'orizzonte della storia del prevalere del capitalismo lo sviluppo espansionistico incontrava gravi interruzioni, ma ogni volta era in grado di ripartire.

È precisamente questo il livello in cui si colloca la famosa marxiana "legge della caduta del saggio di profitto". Il tasso di profitto corrisponde al rapporto fra il profitto d'impresa ed il capitale anticipato. Alla fine dell'investimento di un capitale individuale, tutti i costi devono essere coperti e, addizionalmente, dev'essere ottenuto un surplus. Il capitale anticipato consiste di due diversi componenti: costi di capitale costante (strutture, macchine, materie prime) e costo di capitale variabile (vale a dire, salari). Il valore del capitale costante viene riprodotto solamente nel processo di produzione. Espressa in termini di allucinazione feticistica, la sostanza del valore viene, per così dire, trasferita nei prodotti (ad esempio, attraverso l'usura delle macchine utilizzate per la produzione). Quindi, il plusvalore può provenire solamente dalla porzione di lavoro vivo, che crea addizionale sostanza-valore, maggiore di quella richiesta per la sua riproduzione, e così facendo, nutre la macchina sociale.

Ma nella misura in cui la sostanza del valore in una singola merce decresce, con la sostituzione dei lavoratori per mezzo di unità tecno-scientifiche, anche il tasso di profitto di un capitale individuale cade, a causa dello stesso processo: la quota di quei componenti "morti", che vengono meramente riprodotti e che non creano un sostanza di valore addizionale, si incrementa continuamente; e la quota di capitale che viene sborsato per il "lavoro vivo" (salari), che è l'unica fonte di plusvalore, decresce di conseguenza; quindi il rapporto fra profitto e capitale totale va anch'esso necessariamente a decrescere. In altre parole, per poter ottenere lo stesso profitto, è necessaria una quantità sempre più grande di capitale.

Ad ogni modo, come indica il termine, "la tendenza del tasso di profitto a cadere" è meramente un concetto relativo e non fornisce in alcun modo - come invece viene spesso falsamente assunto - l'argomento per un limite assoluto del modo capitalista di produzione. Il decrescente tasso di profitto è solo un modo per mezzo del quale l'auto-contraddizione capitalista si esprime nel movimento espansivo di compensazione. La diminuzione nella sostanza del valore di una singola merce viene compensato (o sovracompensato) dalla produzione di merci addizionali. Alla fine, viene prodotta più sostanza di valore di quanto ne veniva prodotta nel periodo precedente (vale a dire, la massa del profitto cresce). In altre parole, la caduta nel tasso di profitto viene compensata (e sovracompensata) investendo capitale monetario addizionale in modo che il capitale incrementato produca una maggiore massa di profitto, nonostante il declino nel tasso di profitto. Quindi il tasso di profitto (relativo) può cadere, ma la massa (assoluta) di profitto può nondimeno aumentare.

Questo carattere meramente relativo della caduta del tasso di profitto appare anche nelle "contro-tendenze" che Marx aveva notato, di cui la più importante è la riduzione nel valore del cosiddetto "capitale costante" (cioè, il capitale "morto" sotto forma di mezzi di produzione). Se l'incremento della produttività nell'ambito della produzione di mezzi di produzione (ad esempio, beni strumentali) eccede l'incremento medio della produttività, allora il costo dei beni di capitale costante scenderà più velocemente di quanto diminuirà il rapporto fra lavoratori impiegati e quantità di capitale. Di conseguenza, il declino nel tasso di profitto può avere una battuta di arresto o può perfino invertirsi (aumento del tasso di profitto), nonostante l'incremento del rapporto della "massa tecno-materiale" di capitale costante rispetto ai lavoratori dai quali si trae profitto. Ma dal momento che le categorie capitalistiche si riferiscono sempre all'astrazione reale della sostanza del valore, la sola cosa che ha importanza è la sua grandezza relativa. Quindi, se una più rapida riduzione di prezzi nel capitale costante può fermare la caduta del tasso di profitto, questa è allo stesso tempo anche parte della riduzione della sostanza di valore di una singola merce, poiché questa riduzione vale tanto per la produzione di beni di consumo quanto per la produzione di mezzi di produzione.

Quello che principalmente accade in una crisi, non è un'intensificata caduta del tasso di profitto, ma soprattutto una caduta nella massa assoluta del profitto, il che significa che il movimento di espansione compensativo e quindi la produzione stessa si ferma su grande scala sociale. L'aspetto relativo di queste crisi è che esse sono temporaneamente limitate e si riferiscono ad una particolare costellazione dello sviluppo capitalista, non avendo quest'ultimo ancora raggiunto il suo stato finale. Marx aveva previsto la possibilità astratta (e, nei Grundrisse, il logico punto finale) di una costellazione senza speranza, all'interno della quale il movimento di espansione compensativo non può ripartire; la massa assoluta del profitto cade senza freni, e la maggioranza delle persone vengono espulse dal processo. Ciò perché in una certa fase della scientifizzazione della produzione (che implica un grado di sostituzione dei lavoratori con unità tecniche) la soggiacente produzione di "sostanza del valore" non è più attuabile su una scala sostanzialmente sociale.

A questo punto, la degenerazione della sostanza del valore, da uno status relativo (caduta del tasso di profitto) passa ad uno status assoluto (caduta nella massa dei profitti), che diventa evidente attraverso un ampio arresto della produzione ed una persistente disoccupazione su larga scala. Se la forma-relazione capitalista di merce generale di scambio. il mercato del lavoro, ed il "guadagnarsi da vivere/facendo soldi" vengono mantenuti, allora evolverà la situazione assurda di una società che rende poveri, nonostante il fatto che tutti i fattori materiali necessari alla produzione di ricchezza siano disponibili perfino in maniera sovrabbondante.

AL giorno d'oggi, la Terza Rivoluzione Industriale (microelettronica) sta spingendo avanti a grandi passi quest'assurdità. Ciò che Marx aveva colto solo come un'astratta, e remotamente distante, "fine logica" appare nella realtà sociale nella forma di nuovi potenziali per la razionalizzazione e l'automazione, che cominciano ad aver effetto dopo un lungo periodo di incubazione (il primo dibattito su questo tema ha avuto luogo negli anni 1950 e 1960), sebbene non siano stati sfruttati ancora per molto tempo. La disoccupazione di massa strutturale indica che il movimento espansivo storico di compensazione del capitale è arrivato ad un punto morto.

La ragione per cui questo punto morto appaia solo sul piano sociale (e non come un'implosione della massa del profitto) - che è come dire, la ragione per cui emerge l'illusione che l'accumulazione di capitale sia possibile senza una corrispondente sostanza-lavoro - è che la riproduzione estesa nell'economia reale (ad esempio, la produzione e la vendita di beni nel contesto del dispendio di lavoro socialmente valido), che ha smesso di andare avanti, può essere simulata per mezzo del sistema creditizio e attraverso la disconnessione dei mercati finanziari speculativi per un qualche periodo di tempo. Il credito (vale a dire, la massa dei risparmi della società che vengono raccolti dal sistema bancario e prestati ai fini della produzione o del consumo in cambio di un pagamento di interessi) ve un fenomeno capitalista abbastanza normale, ma la sua importanza è cresciuta con l'accelerazione dello sviluppo espansivo del capitalismo. Il credito implica l'utilizzo di future entrate monetarie (e, quindi, di una futura occupazione di lavoratori e della futura creazione della sostanza del valore) al fine del mantenimento del presente funzionamento. Lo sviluppo del credito fin dall'inizio del 20° secolo, e così pure la "desustanzializzazione" del denaro attraverso la disconnessione dalla sostanza reale del valore (ovvero, la fine del gold standard), aveva già indicato la barriera immanente al processo di valorizzazione, che oggi viene alla superficie.

L'espansione compensativa, e quindi il costante incremento della massa di profitto (di solito accompagnata da una caduta del tasso di profitto), potrebbe comunque continuare fino a quando le corrispondenti entrate monetarie vengono realmente ottenute sulla base della reale sostanza del valore (inclusi i pagamenti degli interessi). Ma questo è stato reso e viene reso sempre più impossibile dalla Terza Rivoluzione Industriale. Come conseguenza, la corsa al credito diventa sempre più e sempre più fortemente un fenomeno comune. Tuttavia, il crollo in una crisi finanziaria generale verrà ad essere più improvviso e più grave se la sostanza reale del valore non potrà essere ottenuta. Il finanziamento del consumo di Stato attraverso il debito è già arrivato (su scala mondiale) al limite della riproduzione simulativa; ma anche il consumo privato di massa finanziato dal debito e dal saccheggio dei risparmi, delle eredità, ecc.; la riduzione delle riserve nascoste nelle imprese, il costante declino della base di capitale - e, soprattutto, la creazione di "capitale fittizio" per mezzo dell'eccezionale ascesa fino alle stelle dei prezzi delle azioni (in relazione alla crescita dell'economia reale)  - mostra come la perpetuazione simulata dell'espansione capitalista cominci a raggiungere i suoi limiti.

L'illusione grottesca di un'eterna forma di processo senza un contenuto sostanziale, che è emersa nell'attuale epoca del "capitalismo da casinò" potrebbe in effetti assumere un'apparenza di plausibilità. Ma tale plausibilità proviene solo dal fatto che il collasso della disconnessa sovrastruttura finanziaria priva di sostanza si materializza solamente dopo un certo periodo di incubazione. Le scadenze del sistema creditizio variano da un giorno a diversi anni o decenni. Inoltre, i debiti possono essere nel frattempo ristrutturati. E la bolla dall'apparente illimitata gonfiabilità dei valori azionari ha bisogno di un innesco esterno per affrontare il suo inevitabile scoppio. Tuttavia, nella misura in cui la realizzazione dell'imminente "svalorizzazione del valore" procede, il fine-in-sé feticistico dell'intero modo di produzione si svela - e la storia rivela la ridicolità dell'attuale riflessione teorica e del comune senso di pensare, così come, la loro forma "relazionale" di una merce di scambio che tutto abbraccia.

Utopia ed economia pianificata
Non è un caso che il positivista, storico movimento operaio non abbia fatto grandi sforzi per liberare la produzione di ricchezza dal restrittivo (e nelle sue conseguenze, assurdo) "lavoro" e dalla sua forma-valore. Lungi da far questo, il Movimento Operaio voleva la "liberazione" putativa della sostanza feticistica stessa ("liberazione del lavoro") e "solo la partecipazione" ai guadagni nell'irrazionale dispendio di energia umana. Questo importante movimento sociale è diventato in tal modo involontariamente il promotore del modo di produzione capitalista: ha promosso l'avanzamento e la generalizzazione di quelle che erano allora le relazioni non sviluppate del capitale contro la resistenza dei suoi gretti rappresentanti. Così la marxiana "Lotta di Classe" si è rivelata essere una forma immanente del movimento stesso del capitalismo e non il movimento trascendente della sua  abolizione [Aufhebung] (come pensava Marx).

Il movimento operaio è diventato il soggetto, e allo stesso tempo, l'idiota, del moderno sistema feticistico della merce. Ha "positivizzato" la sostanza del lavoro astratta, la forma-valore generale della riproduzione sociale, e le altre categorie strutturali della società capitalista, se ne è appropriato, e le ha gonfiate a condizioni umane di esistenza. Proprio come con il mercato del lavoro, il denaro-salario, e lo scambio di merci, le altre istituzioni borghesi - come la macchina statale (amministrazione astratta degli esseri umani), la nazione, l'economia, l'amministrazione aziendale, i servizi segreti, la famiglia, l'automobilizzazione, ecc. - sono state adottate e dotata di una carica "socialista". Personaggi come Blair, Schröder, Clement, o dall'altra parte del mondo, Gorbaciov, Eltsin and co., rappresentano solo l'atto finale di questo equivoco storico. Da questo punto di vista immanente, il concetto di crisi non poteva essere ampliato teoricamente fino a diventare un assoluto, declino senza speranza della produzione sostanziale di "valore", in quanto allora tutto l'intero costrutto positivista auto-esplicativo sarebbe diventato obsoleto. L'ideologia del lavoro era addirittura ingenuamente ottimista riguardo alla perpetuazione della sostanza del lavoro, considerando che quest'ultima avrebbe perfino portato il socialismo nel futuro.

Questa concezione ridotta del capitalismo ha necessariamente influenzato l'immaginazione riguardo una società post-capitalista. Raramente, Marx ha rivelato la sua opinione sul fatto che la sostanza del lavoro e la forma-valore, con l'abolizione del feticismo sociale, dovevano scomparire. A parte questo, egli ha insistito più o meno in tutta la sua opera su una sostanziale ontologia del "lavoro" - in particolare, rispetto al socialismo. L'abolizione della forma-feticcio rimane relativamente oscura, vagamente espressa nell'idea di una "associazione di liberi esseri umani". Il movimento operaio, alla fine, ha totalmente abbandonato quest'ultima idea. È ricaduto nella forma sociale-inconscia ed ha assunto il ruolo di agente di modernizzazione. Il socialismo è stato ridotto all'idea di Stato-pianificatore della quota sociale di lavoro. In tal modo la pianificazione sociale putativa "in anticipo" viene quindi paradossalmente riferita alla categoria-feticcio del processo sociale "a posteriori". È stato precisamente per questa ragione che una moderna burocrazia di Stato ha dovuto eseguire la pianificazione del processo di produzione. Ma nella Teoria Marxiana, la macchina statale è per definizione considerata un'entità a parte rispetto alla società, che quindi può funzionare solamente come uno strumento per l'amministrazione estrinseca degli esseri umani - nel nome della presupposta in sé fine capitalista, e non come un'istituzione di una regolazione sociale consapevole.

In questo senso, la concezione programmatica di socialismo dei Socialdemocratici Occidentali, così come la pratica degli Stati socialisti dell'Est, erano povere "utopie del lavoro", vale a dire, il fenomeno paradossale di una "terra di nessun luogo", originata dal processo paradossale di modernizzazione. In questa "terra di nessun luogo", il feticismo inalterato della sostanza del lavoro come fine-in-sé e la forma-valore erano considerati non solo forieri di liberazione dall'assurde restrizioni capitaliste della produzione di ricchezza, ma anche in grado di realizzare una sorta di paradisiaco stato finale della storia. Le eccessive sollecitazioni metafisiche della fine erano un risultato necessario del presentimento dell'auto-inganno, che stava sempre in agguato in questo laboratorio utopico di un mondo immaginario. Per quanti tentativi venivano fatti per realizzare questa "terra di nessun luogo", assumevano sempre le forme del terrorismo di Stato e, alla fine, fallivano, oppure dovevano portare direttamente (come nel caso della socialdemocrazia occidentale) all'integrazione nell'esistente Stato capitalista e nella macchina amministrativa.

In particolare, quelle che sono presumibilmente le idee più radicali di questa storia sono rimaste intrappolate dentro le apparenze della superficie capitalista e quindi hanno dovuto rendere assolute le categorie soggiacenti che formavano l'altro polo delle medesime dinamiche sociali negative [Vergesellschaftung]. Ma in realtà ciò è avvenuto perché non erano abbastanza radicali. Soprattutto, l'idea di un'improvvisa "abolizione del denaro" (un superficiale radicalismo che ogni tanto si presentava) potrebbe apparire solamente come la distruzione del momento di mediazione nel contesto del non-abolito [unaufgehoben] movimento feticistico della sostanza; possibile solamente nella forma di un immediato terrorismo-di-Stato. In tal senso, il famigerato regime terrorista di Pol Pot dev'essere considerato come un aberrazione di una dittatura di una "modernizzazione di recupero", piuttosto che come un tentativo fallito di superare il sistema produttore di merce. Una "abolizione del denaro" emancipatrice è possibile solamente nel contesto di un'abolizione della sostanza del lavoro, della sua forma-valore, e della complementare, socialmente estrinseca, macchina statale. Non è di certo il Marx "esoterico" anti-feticista che, per così dire, diventa reale in Pol Pot, e di conseguenza dovrebbe essere nettamente condannato con disgusto. Al contrario, è proprio questo Marx a considerare l'abolizione [Aufhebung] della forma-merce (e, di conseguenza, l'abolizione del denaro in quanto medium e fine-in-sé) non solo identica all'obsolescenza del lavoro astratto, ma anche ad una "reintegrazione dello Stato nella società". La Teoria Marxiana (da leggere in maniera non-positivista) identifica il denaro e lo Stato come i due poli della generalità astratta negativa in una società che non possiede la conoscenza ed il potere su sé stessa, poiché i mezzi ed il fine della riproduzione (l'astratto ed il concreto) hanno assunto una relazione rovesciata.

Un tentativo di usare lo Stato per sospendere il movimento del denaro (al posto di un'abolizione emancipatrice della totalità negativa) porta inevitabilmente ad una catastrofe sociale e morale, così come ugualmente avviene con la concezione inversa della "assolutizzazione" del denaro attraverso la regolazione da parte dello Stato. Purtroppo, è l'attuale consenso neoliberista dell'élite globale che porta ad un tentativo speculare a quello di Pol Pot. Il lavoro forzato burocratico per le persone che ricevono assistenza pubblica, le restrizioni nella sanità, e i raid degli skinhead contro le case per disabili sono tutti "oligoelementi polpottiani" nelle società democratico-occidentali, così come lo è l'odio pragmatistico rampante contro la riflessione intellettuale. È la rabbia del denaro scatenato "senza soggetto" che, insieme alla crescente disperazione della crisi della società del lavoro, minaccia di costringere i regimi liberal-democratici occidentali a scavare delle fosse comuni, allo stesso modo in cui lo ha fatto in Asia orientale il summenzionato regime di Stato totalitario inselvaggito.

In Europa, l'attuale, povera nostalgia keynesiana non può comprendere la minaccia storica in quanto il keynesismo é esso stesso il pallido riflesso di un pallido riflesso di un Marxismo-del-Lavoro positivista, che a sua volta è stato pallido fin dall'inizio. Tuttavia, sospetta la minaccia, e quindi vuole riequilibrare i due poli della dinamica sociale negativa [Vergesellschaftung] sul terreno - evocato quasi implorando - della sostanza-lavoro. Ma quando tale sostanza declina in maniera irreversibile - e quindi i due poli della generalità astratta (denaro e Stato) non possono più sostenere la riproduzione sociale - non ha più alcun senso chiedere "alleanze per il lavoro" ed un "ritorno allo Stato regolatore".

Il compito storico ineludibile è la negazione del modo negativo della riproduzione sociale stessa, vale a dire la liberazione della produzione di ricchezza dalle restrizioni del moderno sistema produttore di merci. Nelle condizioni della Terza Rivoluzione industriale, la pianificazione di una "quota di lavoro" è diventata obsoleta e senza senso, così come lo è diventata la distribuzione secondo la "quota di performance" (energia "astrattificata") spesa da isolati individui-lavoro (cioè, in base all'attuale o presunto contributo alla massa sociale di sostanza). Il gradi di interdipendenza sociale ha raggiunto un livello in cui non è più possibile né assegnare "performance" agli individui, né questo ha più alcun significato. Piuttosto, quel che importa ora è la gestione sensata delle unità tecno-scientifiche e del loro impiego pianificato. Una comunicazione sociale consapevole, in questo senso, non è né realizzabile nel contesto della forma-feticcio del valore, né per mezzo di una macchina statale burocratica, ma solo al di là dello Stato e del mercato per mezzo delle decisioni sul flusso di risorse "in anticipo" e con la partecipazione di tutti i membri della società. Lo sviluppo delle forze produttive ha reso abbondantemente disponibile il fondo sociale di tempo, ma nelle condizioni di un sistema produttore di merce, che può solo avvenire in forma negativa, come "disoccupazione di massa".

Il Comunismo Marxiano rimane lo spettro della critica radicale del modo capitalista di produzione. Ma questo spettro è condannato ad essere inoffensivo fino a quando la Teoria Marxiana viene compresa secondo la vecchia, obsoleta lettura del Marxismo-del-Lavoro positivo. La legge oggettivata del collasso della sostanza feticistica si realizza con o senza critica. Nel secondo caso, ovviamente, anche senza speranza.

- Robert Kurz - Pubblicato il 1° febbraio del 1999 (anche come opuscolo di Krisis) -

fonte: Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme

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