martedì 1 novembre 2016

Tu vendi troppo, io compro poco

ceta

CETA e la crisi del commercio mondiale
- di Michael Roberts -

Alla fine, Unione Europea e Canada hanno firmato l'accordo di libero scambio CETA, dopo che la settimana scorsa c'era stato il rischio che deragliasse per le obiezioni da parte dei belgi francofoni, mostrando così le difficoltà a poter garantire nuovi accordi commerciali globali. Il Trans Pacific Partnershio (TPP), l'accordo fra Asia e Stati Uniti, era stato concordato all'inizio di quest'anno, ma aveva ancora bisogno di essere ratificato dai parlamenti degli Stati firmatari. Ed entrambi i candidati all'elezioni presidenziali degli Stati Uniti sono ora contrari alla ratifica. Il TransAtlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), l'accordo fra Europa e Stati Uniti, rimane al palo con ben poche probabilità di un accordo prevedibile in un futuro ragionevolmente prossimo.

I sostenitori del CETA affermano che l'accordo servirà ad incrementare del 20% il commercio fra Canada ed Unione Europea e a rilanciare l'economia europea per 12 miliardi di euro l'anno, e quella canadese per 12 miliardi di dollari canadesi. Ma si era già sentito parlare di simili benefici provenienti da altri accordi commerciali globali, che hanno sempre poi finito per risultare essere assai meno redditiz , in special modo per il partner più debole in ogni rispettivo accordo.

Inoltre, il CETA è stato firmato, ma solo perché si è convenuto che le sue parti più controverse sarebbero state congelate, in particolare quella che attiene alla riduzione delle tariffe doganali sulle merci agricole canadesi che minacciavano i contadini della Vallonia e quella sui cosiddetti tribunali per la protezione degli investimenti che avrebbe consentito alle corporazioni di perseguire i governi per qualsiasi azione che dovesse minacciare i loro profitti (per mezzo di tribunali con rappresentanti delle corporazioni!). Ora ci vorranno altri due anni prima che possa avvenire una piena ratifica da parte degli Stati di tutti i 28 paesi membri dell'Unione Europea.

Come ho sostenuto in precedenza, questi accordi fra blocchi regionali hanno preso il posto degli accordi mondiali che avvenivano attraverso l'Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO) in quanto gli accordi globali hanno sempre fallito a partire dal crollo finanziario globale del 2008. E la ragione è evidente. Dal momento che la crescita del commercio mondiale ha rallentato fino a fermarsi. Quando una torta diventa sempre più grande, quelli che tagliano le fette sono felici di poter arrivare ad un accordo per la divisione di tale torta. Ma quando una torta comincia a rimpicciolirsi, e a diventare sempre più piccola, le persone non vogliono più rinunciare alla loro fetta e condividere. È questa adesso la situazione. La Lunga Depressione con la sua bassa crescita del PIL reale e con nessuna inflazione dei prezzi delle materie prime ha ridotto la torta.

Recentemente, il WTO ha tagliato le sue previsioni di una crescita del commercio globale in quest'anno, per più di un terzo. Ora ci si aspetta appena una crescita dell'1,7% nel volume degli scambi del 2016, scesa rispetto alla precedente stima del 2,8%. Il WTO, per il 2017, si aspetta una crescita ancora più lenta di quella che c'era nella sua precedente previsione, con un aumento che va dall'1,8 al 3,1%, anziché il 3,6% che aveva stimato in aprile.

Come già sottolineato, dalla fine della Grande Recessione, anziché una crescita del commercio globale che superi il reale PIL globale per un certo margine, ora si verifica il contrario. In media, a partire dal 1945, il commercio mondiale è cresciuto una volta e mezzo più velocemente di quanto sia cresciuto il PIL, ed è arrivato a crescere perfino due volte più velocemente, quando è cominciato il raccolto della globalizzazione negli anni 1990. Secondo le stime del WTO, d'ora in avanti il commercio crescera solo ad una velocità dell'80% rispetto a quella della crescita dell'economia globale, e questa è la prima inversione della globalizzazione dal 2001, e solo la seconda dal 1982.

Le previsioni del WTO sembrano perfino ottimiste. La CPD, agenzia economica del commercio olandese, rileva che nell'agosto del 2016, il volume del commercio globale era piatto. E se guardiamo ai dati della crescita a partire dalla Grande Recessione, la crescita annua media è stata solo del 2% rispetto al 5,6% di prima del 2008.

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Gli Stati Uniti non fanno eccezione alla tendenza più ampia. Il valore totale delle importazioni ed esportazioni americane è sceso di oltre 200 miliardi di dollari lo scorso anno. Nei primi nove mesi del 2016, il commercio ha perso altri 470 miliardi. È la prima volta dalla seconda guerra mondiale che il commercio con gli altri paesi è diminuito nel corso di un periodo di crescita economica.

Tutto questo preoccupa seriamente gli strateghi del capitale, specialmente quelli che rappresentano le maggiori economie. «Frenare il libero scanbio significherebbe mettere in stallo un motore che ha portato un benessere senza precedenti in tutto il mondo per molti decenni», scrive Christine Lagarde, direttore del FMI, in un recente invito alle nazioni a rinnovare il loro impegno per il commercio.

Tutto questo fa sì che le prospettive per il capitale britannico di fare buoni affari con il commercio in Europa, nei prossimi due anni di negoziati, appaiano deprimenti. E come ho sostenuto in precedenza, l'idea che gli esportatori del Regno Unito guadagneranno più quote di mercato dopo la svalutazione della sterlina del 20%, si rivelerà falsa. In seguito al deprezzamento del 25% avvenuto nella sterlina dopo la Grande Recessione del 2008, gli esportatori inglesi non sono riusciti ad ottenere un incremento nelle quote di mercato. Poi con la rivalutazione della valuta nel 2013, le quote di export sono scese ancora dell'altro.

La ragione era duplice. Le compagnie britanniche di esportazione hanno preferito fare più profitti e tenere così alti i prezzi dell'export anche quando la sterlina è caduta. Ma la svalutazione ha significato anche aumento dei prezzi delle importazioni, e gran parte delle merci in ingresso che servono per l'export britannico (automobili o servizi finanziari) sono importate. Per cui prezzi di importazione più alti rendono difficile abbassare i prezzi per l'esportazione.

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Il commercio mondiale ha smesso di crescere. Gli accordi regionali di scambio si trovano in pericolo. La globalizzazione è finita. È un buon momento per Brexit.

- Michael Roberts - pubblicato il 31 ottobre 2016 -

fonte: Michael Roberts Blog

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