Anti-economia ed antipolitica - 2
- Sulla riformulazione dell'emancipazione sociale dopo la fine del "marxismo" -
di Robert Kurz
2. Il concetto di forze produttive e la rivoluzione microelettronica
Invece di lasciarci perseguitare dai fantasmi del passato, dovremmo cercare di elaborare definizioni socio-economiche di una forma embrionale, oltre la produzione di merci, al livello dell'attuale grado di socializzazione, senza cadere in un grezzo pragmatismo. Non si tratta assolutamente, quindi, di indicazioni dirette di azione (che infatti possono essere sviluppate soltanto dentro il contesto di un movimento sociale), ma di riflessioni teoriche ed analitiche al fine di concretizzare la critica del valore. La questione della forma embrionale di una riproduzione non più mediata dalle relazioni monetarie e di mercato dev'essere affrontata in modo storico, analitico e teorico.
Possiamo partire da una famosa problematica marxista: dalla questione delle forze produttive e dal loro rapporto con le relazioni di produzione. Non è affatto necessario, tuttavia, accettare una sequenza determinista di formazioni sociali "ogni volta sempre più progressive", il cui coronamento dev'essere, alla fine, il "socialismo". In un certo qual modo, si può dire che le forze produttive si sviluppano sempre, poiché lo spirito umano non riposa mai; solo che questo sviluppo, è ovvio, può prendere direzioni totalmente diverse (e allontanarsi, per esempio, dalla produzione stessa, nel grezzo senso economico o materiale, quando si intende la riproduzione sociale, e le sue "forze", in un senso complessivo e, quindi, anche culturale). Il corso del processo di sviluppo si decide nel confronto sociale. Quanto a questo, si può dire che, nel basso Medioevo, dopo la peste, non è stato assolutamente deciso, e nemmeno determinato, che "arrivava il tempo" del capitalismo. In quell'epoca, erano ancora possibili direzioni di sviluppo del tutto diverse, che non necessariamente portavano al capitalismo (né, sicuramente, all'emancipazione diretta dalle forme di relazione feticiste). E' una questione storica che varrebbe la pena investigare, poiché ci può fornire un mezzo di contrasto del rigido determinismo storico del vecchio marxismo. Con un'altra direzione ed un'altra forma di sviluppo, la stessa questione dell'emancipazione sociale verrebbe formulata, ovviamente, in termini diversi.
Ma dopo che a metà del XIX secolo, il capitalismo si è imposto, con la sua forma specifica di sviluppo delle forze produttive, la questione dell'emancipazione sociale e del superamento di una socialità cieca e incosciente ha potuto essere formulata solo nella forma di un superamento del feticismo specificamente capitalista e del suo modo di socializzazione. Tuttavia, d'altra parte, le forme feticiste di produzione e di coscienza, installate dalla merce capitalista, sono state predominanti nella sua lunga storia di affermazione, ed hanno determinato lo stesso pensiero della critica sociale (il marxismo del movimento operaio fornisce una chiara testimonianza di questo). Questa formulazione di emancipazione deve, in un primo momento, rimanere occulta in seno alla storia e deve patire un lungo periodo d'incubazione. Per tutta un'epoca, si è potuto soltanto investigare il divario storico all'interno dell'involucro del moderno sistema produttore di merci, ossia, la questione dell'emancipazione ha potuto essere posta solamente in un senso ridotto ed immanente alla formazione capitalistica - senso, che ha visto la luce come emancipazione borghese della classe operaia, cioè come cittadinanza o come riforma sociale, oppure, ancora, come emancipazione borghese di una "modernizzazione tardiva" in società della periferia capitalista assunte come ritardatarie storiche .
Questa costellazione, della cui eredità oggi sopportiamo il peso, non è in alcun modo dovuta ad una predeterminazione ontologica, ma è essa stessa il risultato di una storia originariamente aperta e controversa. Dopo che il sistema produttore di merci si è imposto brutalmente, ed è diventato la forma generale della coscienza, è avvenuto quello che aveva detto Marx, in termini generali, a proposito del processo sociale: una volta installato storicamente un sistema, non si può tornare indietro - esso deve, per così dire, percorrere tutto il suo ciclo vitale, finché non si esaurisce e raggiunge i suoi limiti interni. Tali limiti vengono raggiunti quando lo sviluppo della forze produttive porta ad un punto in cui le forze produttive stesse diventano incompatibili con le relazioni di produzione. L'involucro pietrificato delle forme sociali oggettivate, allora si rompe brutalmente per mezzo di eruzioni catastrofiche, e così può essere attraversato in modo da arrivare a delle forme rinnovate e superiori di socialità che siano compatibili con le nuove forze produttive.
In questo schema da "materialismo storico", c'è da criticare il fatto che esso generalizza precipitosamente, in forma sovra-storica, quello che è probabilmente valido soltanto per la storia specifica del capitalismo. Considerato però che abbiamo ancora a che fare con esso, non possiamo scartare semplicemente lo schema di Marx. In realtà, esso non è in alcun modo "oggettivista", come hanno sempre supposto gli stessi critici di sinistra, ma tiene soltanto conto delle effettive oggettività del feticismo, che allo stesso tempo vengono riconosciute come fondamentalmente superabili. Se tale superamento presenta ancora un momento di condizionamento storico, questo è il momento necessario di un movimento che passa dal capitalismo al non-capitalismo, dal feticismo al non-feticismo. Un superamento immediato del condizionamento sarebbe un contraddizione in sé. Il marxismo del movimento operaio è rimasto nell'ottica della società borghese, non perché avesse riconosciuto il momento di condizionamento, ma perché il suo progresso non è stato in grado di superare la forma feticista del valore.
Lo schema di Marx circa il ruolo delle forze produttive, è stato mobilitato dal marxismo storico soltanto in relazione alla storia interna del sistema produttore di merci, ma non per quel che si riferisce al superamento di questo sistema stesso. In realtà, la contraddizione tra forze produttive e relazioni di produzione porta solo alla crisi assoluta, alla fine della storia sistemica dello sviluppo e sporta ulla soglia del superamento. Ma fin dall'inizio questa contraddizione è stata anche il motore interno dello sviluppo capitalistico, ha portato a crisi relative ("crisi di affermazione") ed ha superato le formazioni storiche obsolete del sistema produttore di merci, senza che esso venisse toccato nella sua forma di base. Solo in questa versione "debole", il marxismo è stato capace di comprendere il concetto di trasformazione di Marx, cioè quando era prigioniero della storia ancora non conclusa dello sviluppo della modernità. Per questo, il socialismo ha preso possesso dell'eredità del liberalismo, così come il liberalismo aveva preso possesso dell'eredità dell'assolutismo: Riforma protestante o calvinista e centralizzazione assolutista, Rivoluzione francese e americana, rivoluzione russa di ottobre e movimenti nazionali ed anti-colonialisti di liberazione formano una rete unica nella storia dell'affermazione della socialità per mezzo della forma merce, nella quale ogni momento di emancipazione rispetto ad una situazione precedente rappresentava una nuova tappa di repressione e di interdizione.
Il socialismo di Stato dell'Est ed il nazionalismo liberatore del Sud, si trovano oggi così fondamentalmente screditati, in quanto paradigmi di emancipazione sociale, cui soltanto degli idioti storici possono aggrapparsi, insieme ai concetti "deboli" di trasformazione che da essi derivano. Se comprendiamo il collasso di questi paradigmi, secondo la loro classificazione storica, non come "vittoria" del capitalismo occidentale, ma come inizio di una crisi assoluta del sistema produttore di merci, in cui alla fine si spezzano tutte le catene storiche evolutive della forma valore, allora ecco che entra in scena la versione "forte" dello schema di trasformazione di Marx. Sul piano delle forze produttive, è senza dubbio la microelettronica, in quanto tecnologia universale di razionalizzazione e di comunicazione, che ha portato sulla soglia di un tipo di trasformazione non più immanente al sistema. Nella stessa misuta in cui la rivoluzione microelettronica diventa forza produttiva di crisi per il sistema produttore di merci, allora essa può anche diventare forza produttiva di emancipazione sociale dalle forme feticiste del valore.
Con questo già si stabilisce una differenza fondamentale con i movimenti alternativi degli anni 70 e 80. Dal momento che i vecchi concetti di una "forma di vita e di produzione diversa" erano in gran parte vincolate ad una "critica reazionaria delle forze produttive". La microelettronica, i computer ed il potenziale di automazione nella produzione industriale venivano scomunicati. Questa critica delle forze produttive non poteva, né voleva, vincolare la questione dell'emancipazione sociale al superamento del "lavoro astratto", ma, al contrario, la voleva vincolare al ritorno di un livello storico inferiore. In questo modo, il movimento alternativo si manteneva prigioniero dei "posti di lavoro" - assumeva il partito del "lavoro" (da perfezionare in maniera suppostamente alternativa e socialmente soddisfacente) contro le forze produttive originate dal capitalismo. In questa forma, si rendeva compatibile perfino con le ideologie conservatrici e culturalmente pessimiste, che dalla fine del XVIII secolo - per esempio, nella figura del romanticismo letterario, politico e socio-economico - cercavano di far girare all'indietro la ruota della storia (anche se il romanticismo non si esaurisce affatto in questo semplice impulso). Nella maggioranza dei casi, alcuni stadi precedenti dello sviluppo, dentro la storia di affermazione del capitalismo, venivano trasfigurati fantasmagoricamente e venivano trasformati in un'utopia "nera" reazionaria. Il movimento alternativo non era identico al conservatorismo politico e culturale, ma, nella misura in cui cercava di risolvere la questione dell'emancipazione sociale in termini retrogradi, contro le forze produttive, esso diventava la porta di accesso per idee politicamente conservatrici dentro i "nuovi movimenti sociali". Nel Partito Verde, quello che è rimasto del dibattito sui principi del decennio 1980 è stato quasi esclusivamente il flirt della coalizione politica con una conventicola, "conservatrice per quel che riguarda il valore", come con la CDU (Unione Democratico-Cristiana), il partito di governo.
In opposizione a questo, si deve tornare, a questo punto, al movimento radicale di emancipazione proposto da Marx, cioè, al senso "forte" di trasformazione, al prendere partito per le forze produttive microelettroniche contro le relazioni di produzione del capitale. Ma questo non può essere un prolungamento del vecchio marxismo e della sua feticizzazione delle forze produttive - prolungamento questo, irriflesso e dotato di una semplice critica superficiale del valore. Ciò si applica tanto al concetto di forze produttive quanto alla questione dello loro rilevanza in una forma embrionale che trasformi le relazioni sociali senza fondarle sulla forma merce. Bisogna che avvenga, pertanto, un ritorno "superatore" del concetto di trasformazione in Marx, e non una semplice ripetizione.
E' proprio questo problema che la maggioranza dei rappresentanti di quel che è rimasto del marxismo "ortodosso" e della Teoria critica non vogliono né possono comprendere. Si immaginano capaci di ribattere alla critica della forza produttiva del movimento alternativo, con una semplice ripetizione dei fondamenti marxisti a proposito del rapporto tra forze produttive e relazioni di produzione. In tal modo, essi ignorano un momento decisivo, che ha sempre costituito il punto debole del marxismo: il fatto che la critica alla scienza naturale, alla tecnica ed all'industrialismo non è soltanto reazionaria ed irrazionale, ma essa mette anche in guardia - e non senza ragione - circa il carattere distruttivo e repressivo dello sviluppo capitalistico delle forze produttive. Il marxismo voleva assolvere dall'accusa di repressione l'aspetto scientifico e tecnologico della modernizzazione e fare, di tale repressione, solo un prodotto esclusivo della proprietà e del lucro capitalista (che riusciva a concepire solo in forma sociologisticamente ridotta). Scienza naturale, tecnica e industria dovevano essere assimilate al "socialismo", senza alcuna modifica.
Ora, questo corrisponde, precisamente, alla versione "debole" di una semplice trasformazione della storia interna, in cui si assegna involontariamente al marxismo/socialismo - ad esempio, col suo cugino keynesiano ancora più debole, in una determinata epoca - il compito di rappresentare le forze produttive (fordiste) più progressive del momento, al fine di una nuova ondata di sviluppo del sistema produttore di merci. Così, il lato distruttivo e repressivo del valore d'uso capitalista - nella produzione e nel consumo - era altrettanto insuscettibile della forma feticista di base del valore, di essere incluso nella critica. Ne risultava, necessariamente, una duplice correlazione: una critica ristretta solo alla storia interna degli stadi di sviluppo diventati obsoleti del sistema produttore di merci ancora non esaurito, ed un'affermazione cieca dell'ultima, e più nuova, figura tecnico-materiale del capitale, andavano a comporre un'unità tanto indissolubile quanto lo era, inversamente, quella fra la critica radicale della forma di base del valore e la corrispondente critica della struttura tecnica e del valore d'uso capitalista. Poiché il marxismo non intendeva e non poteva criticare "l'astratto reale" del valore, era fatale che gli sfuggisse anche l'intima correlazione logica e storica fra la forma merce liberata e le astrazioni scientifiche. In tal modo, un aspetto della critica del capitalismo è rimasto offuscato (anche nello stesso Marx), il che ha permesso la sua adozione irrazionale da parte del romanticismo reazionario, il quale ha accompagnato come un'ombra l'avanzamento della modernizzazione sotto forma di merce.
A partire dagli anni 1970, quando diventava sempre più chiaro che la crisi del modello fordista di sviluppo comportava anche una crisi ecologica, e quando la devastante distruzione dei fondamenti naturali negli Stati del socialismo reale venne resa pubblica, il movimento alternativo dei Verdi, successori della rivolta del 1968, abbandonò in buona parte il marxismo e cominciò a fare uso dei motivi anti-industriali e della critica della scienza. L'allora ascendente critica ecologica dell'enfatico concetto marxista di forze produttive può essere qualificata - nel senso della logica hegeliana del superamento - come pura e semplice negazione. Tale negazione era doppiamente insufficiente: al pari dei suoi momenti distruttivi e repressivi della storia della modernizzazione, lo sviluppo delle forze produttive veniva negato in generale, ossia si gettava via il bambino insieme all'acqua sporca. Di conseguenza, questa critica delle forze produttive portava ancor meno ad una critica della forma valore e del suo feticismo, ma portava soltanto ad idee diverse di produzione piccolo-borghese di merci, per poi tornare, nella "politica economica verde", a modelli keynesiani. Il marxismo del movimento operaio ed il suo deficit ecologico non venivano, in questo modo, superati, ma venivano soltanto repressi ideologicamente.
Nella stessa misura in cui la crisi assoluta del sistema produttore di merci e, quindi, la trasformazione "forte" entravano nel campo visivo, si rendeva necessaria, nella questione delle forze produttive, la seconda negazione, la "negazione della negazione", che, com'è noto, non riporta al punto di partenza originario, ma, invece, supera gli antagonismi non mediati. Si tratta, pertanto, di prendere partito per le forze produttive microelettroniche, contro le relazioni di produzione capitaliste, ma, allo stesso tempo, si tratta di superare il distruttivo valore d'uso della struttura di produzione e di consumo capitalista. Questa critica superatrice deve distinguere fra essenza ed apparenza della rivoluzione microelettronica. L'essenza di queste nuove forze produttive è un potenziale, ossia, una possibilità che il capitalismo non ha prodotto a proprio beneficio, ma solo per il suo astratto fine in sé della valorizzazione. La realtà apparente di questo potenziale non può smettere di essere influenzata da un simile fatto. Secondo la sua configurazione materiale, l'apparenza concreta delle forze produttive microelettroniche è anche capitalista, e quindi dev'essere superata insieme alla sua forma sociale.
Questa negazione della negazione è tanto più necessaria quanto, ironicamente, la sinistra postmoderna - come reazione non mediata alla semplice negazione insufficiente del marxismo - oggi sembra ritornare al grezzo feticismo del vecchio movimento operaio, tramite la critica della forza produttiva del movimento alternativo verde. Senza una qualche riflessione sull'insieme (globale e strutturale) delle condizioni di riproduzione nell'ambito sociale ed ecologico, "l'ultima parola" della tecnica del consumo capitalistico diventa un "must", senza che nemmeno si percepiscano i limiti della sofferenza, dell'imbecillità e della pubblica minaccia.
La stessa inversione feticista fra relazione sociale e relazione materiale, che si manifesta anche sotto l'aspetto del valore d'uso capitalista, viene acclamata come visione positiva del futuro. Una cosa simile si fa beffe di ogni pretesa emancipatrice. Non a caso, tale tendenza postmoderna va a braccetto con un'indifferenza riguardo le forme di mediazione, tacitamente presupposte, del denaro, il cui superamento non costituirebbe un tema serio. Il vecchio marxismo del movimento operaio, la critica alternativa delle forze produttive portata avanti dal Partito Verde e dalla sinistra postmoderna, rappresentano solo delle varianti della medesima incapacità (e della stessa cattiva volontà) di superare il sistema produttore di merci. Contro tutto ciò, bisogna invocare un superamento della forma valore feticista, che includa in una negazione superatrice tanto la forma apparente della mediazione del denaro quanto la forma fenomenica del valore d'uso capitalista, sfruttando le potenzialità della rivoluzione microelettronica proprio grazie al fatto che permette di scegliere criticamente gli artefatti capitalisti, invece di sottomettersi, senza alcuna critica, alla logica repressiva del valore d'uso.
Questa discussione peggiora rispetto alla questione della forma embrionale. Con la paura di ricadere ad un livello inferiore rispetto alle forze produttive capitaliste, lo stesso marxismo critico, insieme a parte della sinistra postmoderna, insiste su una rivoluzione immediata della società come un tutto, anche se dall'altro lato (almeno in parte), critica lo statalismo ed il politicismo. Qui si evidenzia una certa oscurità ed incoerenza, in quanto il ripudio di una forma embrionale di riproduzione socio-economica che vada oltre il valore è legato, forzatamente, ad una concezione statalista di rivoluzione fatta "dall'alto", ossia, a partire dai un fulcro archimedeano.
Il riferimento ai consigli come organi di rappresentazione sociale rimane insufficiente, poiché i consigli devono, dopo tutto, rappresentare qualcosa, ossia, devono essere composti di elementi. La miseria dei movimenti storici dei consigli è consistita proprio nel fatto che poteva rappresentare solamente le forme capitaliste del "lavoro" (imprese o società che mediavano fra la casa ed il mercato), ma non le forme embrionali di una riproduzione indipendente dalla socializzazione per mezzo dell'astrazione reale del valore. Proprio per questo, la forma di organizzazione dei consigli è ricaduta nella forma borghese del partito politico di orientamento statale, ed è stata da questo comandata ed assorbita.
E' chiaro che la povertà ha qualcosa a che vedere con il carattere delle forze produttive giunte al punto culminante dello sviluppo capitalista, In un certo qual modo, il vecchio marxismo del movimento operaio poteva addurre, a favore del suo concetto statale e centralista di trasformazione, la situazione stessa delle forze produttive: dai tempi del vapore e delle ferrovie fino al fiorire delle industrie fordiste, gli aggregati di potenziali tecno-scientifici erano di fatto rappresentabili soltanto per mezzo di una misura sociale relativamente grande, Ciò si applicava, letteralmente, alle macchine, agli edifici e alle tecniche di fornitura di energia. Di fronte al macchinario mostruoso, l'individuo era piccolo. E "grande" invece era sinonimo di progresso. Da qui, anche il risultato, per così dire, di una certa megalomania puerile: imprese e nazioni competevano al fine di costruire la più grande turbina del mondo, l'edificio più alto del mondo. la più grande petroliera o la nave da guerra più grande del mondo.
Di conseguenza, era grande anche la misura dell'organizzazione per poter realizzare e mobilitare tali forze produttive. Questo costituiva già un fattore di generazione spontanea del capitalismo. Di fatto, la più antica forma embrionale della modernità, in quel che si riferisce alle forze produttive, è stata, in realtà, una forza distruttiva: l'innovazione delle armi da fuoco. I potenti cannoni dell'inizio dell'era moderna, e le fortificazioni megalomani a tali cannoni legate, non potevano più venire rappresentati nella forma decentralizzata ed autoctona delle vecchie società agrarie, ma esigevano la mobilitazione dell'industria degli armamenti, degli eserciti permanenti, dell'economia monetaria e della centralizzazione sociale.
Le forme embrionali del modo di produzione capitalista potevano svilupparsi soltanto su questa base. E tutti i partigiani di altri focolai di sviluppo del sistema produttore di merci, ivi incluso il socialismo ed i suoi partiti, sono rimasti prigionieri dell'idea di una forma di socializzazione iper-centralizzata e strutturata sotto forma di piramide. Non solo le dittature della "modernizzazione tardiva", ma anche le più sviluppate democrazie occidentali sono "Stati del Sole" negativamente utopici e, sotto tutti gli aspetti, costruttori di piramidi. Gli apparati burocratici ed i mercati a grandezza nazionale o continentale corrispondono a forze produttive o distruttive, i cui aggregati possono essere posti in movimento solo attraverso enormi "eserciti del lavoro" e attraverso la guerra.
In rapporto a tutto questo, la rivoluzione microelettronica non solo spinge fino all'assurdo la sostanza viva del capitale, il "lavoro" astratto, ma abbassa anche la centralizzazione promossa dagli Stati e dai mercati ad una forma arcaica e sconveniente di organizzazione, rendendo ridicola la megalomania della modernità. Nella stessa misura in cui il capitalismo è tecnologicamente spinto ad una gara per la miniaturizzazione, attraverso le forze produttive da esso stesso create, si disintegra non solo la sua sostanza, ma anche la sua forma esterna. Se, fino a pochi decenni fa, i vecchi computer occupavano ancora saloni interi ed esigevano la forza del capitale delle grandi imprese, oggi apparecchi portatili nascondono potenziali molto maggiori e possono essere acquistati dall'individuo medio.
La socializzazione non risiede più nella grandezza, ma, al contrario, nella piccolezza della tecnologia. La potenza più sviluppata delle macchine operative, delle tecnologie di controllo e dei mezzi di comunicazione possono ora essere mobilitati su piccola scala e non necessitano più di alcun "esercito del lavoro" o di una centralizzazione sociale. La riproduzione può tornare ad una forma decentralizzata, ma non alle forme della riproduzione decentralizzata e relativamente isolate fra di loro della società agraria, che erano collegate solo superficialmente attraverso strutture di dominio; a stadi superiori di sviluppo, dovrà evolvere una struttura decentralizzata, collegata in una rete comunicativa. A proposito, questo non vale solo per la microelettronica, ma, almeno in prospettiva, vale anche per la sostituzione dell'energia fossile da parte dell'energia solare. Se i sistemi energetici a combustibile fossile esigono grandi tecnologie e forme organizzative centralizzate, la tecnica solare, da parte sua, è tanto decentralizzata ed utilizzabile su piccola scala quanto lo è la microelettronica. Forse i rappresentanti del capitale sono spaventati dallo sviluppo forzato dell'energia solare, in virtù del fatto che presentono che, con esso, il capitalismo e le sue forme centralizzate di dominio possono andare giù per lo sciacquone.
Il legame fra microelettronica ed energia solare apre per l'uomo la possibilità di poter sfuggire (in parte, passo dopo passo) al capitalismo, e spezzare la sua pretesa totalitaria, cosa che, in passato, era possibile soltanto con una migrazione verso regioni inesplorate dal capitalismo (nell'epoca dei pionieri negli Stati Uniti, per esempio, questo avveniva con l'esodo verso il lontano ovest, cosa che era anche, spesso, una fuga dalle richieste capitaliste). Solo che questa possibilità di fuga, oggi in maniera totalmente nuova e diversa, risiede nello sviluppo delle stesse forze produttive. Lo spazio di fuga non è più esterno, territoriale, ma interno e sociale. E non si tratta nemmeno di un ritorno alla socializzazione allo stato primitivo, come prevedeva il movimento alternativo alla fine degli anni 70 e all'inizio degli 80 - movimento che criticava le forze produttive ed era, nel peggior senso possibile, "romantico". Al contrario, nei pori e sopra le rovine della socializzazione capitalista sempre più arcaica possono fiorire le forme embrionali di una riproduzione non più dettata dalla forma merce, una riproduzione che entra in discussione ed in interscambio col capitale, affermando il suo diritto all'esistenza e, alla fine, supererà, del tutto, la riproduzione capitalista.
L'analisi del rapporto fra forze produttive e relazioni di produzione sotto i presupposti della microelettronica chiariscono anche che per la trasformazione "forte" non esiste più necessità di una leva centrale, con un appoggio immediato nella società considerata come un tutto. Questo pensiero paga ancora un tributo alla vecchia concezione del mondo delle forze produttive moderne pre-elettroniche. Oggi, il carattere della società nel suo insieme appare, innanzitutto, come mediato in prospettiva, come forma di movimento, e non come atto centrale della rivoluzione. Allo stesso modo in cui pionieri nordamericani sfuggivano temporaneamente al capitalismo, seppure portassero con sé utensili (oltre che generi di prima necessità) prodotti dal capitalismo, oggi possiamo, ad uno stadio molto superiore di sviluppo, sfuggire alle richieste capitaliste anche in mezzo al territorio capitalista, utilizzando la microelettronica e l'energia solare a beneficio di forme di riproduzione non-capitalista.
Ma questo significa anche che una forma embrionale di riproduzione sociale al di là del valore non comincerà con la produzione, ma con l'utilizzo dei chip. Infatti, la produzione dell'elemento di base della microelettronica richiede un importo di capitale maggiore delle vecchie forze produttive fordiste, seppure non richieda "eserciti del lavoro". I costi si concentrano, innanzitutto, nella complessità delle condizioni di produzione dei chip, che oggi arrivano persino ad obbligare imprese internazionali a firmare "alleanze strategiche" per lo sviluppo della futura generazione di chip.
La Germania Orientale, almeno in parte, è caduta in rovina per aver voluto, ad ogni costo, sviluppare e produrre il suo proprio chip, cosa che ha consumato molte risorse, invece di comprarlo ad un prezzo più modico sul mercato mondiale. Ma quest'errore di calcolo non è stato casuale. E' derivato dalla coscienza radicata del socialismo centralizzato, i cui soggetti metafisici "partito e classe" devono esercitare, fin dall'inizio, il controllo assoluto su tutta la produzione, dove diventa decisiva, pertanto, soprattutto l'industria di base. Per questo l'attenzione socialista si è concentrata, al principio, sulle imprese di carbone, ferro ed acciaio, i cui occupati vennero qualificati come "nucleo di classe". Un simile ragionamento venne trasposto sulle forze produttive microelettroniche. Il movimento di superamento della forma del valore metterà sotto scacco il sistema di riproduzione da una prospettiva totalmente inversa. Le industrie e la produzione di base della stessa microelettronica non saranno il banco di prova, ma la chiusura del ciclo di trasformazione. Non si tratta di controllo centralista, ma di costituzione e di sviluppo degli spazi sociali di emancipazione.
Con l'utilizzo della microelettronica a fini emancipatori avviene qualcosa di completamento diverso. Se la tecnologia di produzione deve rimanere, per ora, nelle mani del capitale, l'utilizzo, a sua volta, non deve corrispondere ai modelli dettati dal capitalismo. Proprio qui risiede il primo punto di partenza verso una critica della struttura capitalista del valore d'uso. Le forme apparenti di utilizzo delle forze produttive microelettroniche sono assolutamente volte ai fini capitalistici di produzione e di consumo, nei quali si manifesta il fine in sé del valore e la reificazione feticista della merce.
Mentre la sinistra postmoderna vede di buon occhio il comunismo reificato e, nei suoi effetti, altamente distruttivo, essa sarà deviata verso il campo di azione capitalista e verrà inserita nei meccanismi socio-psicologici dello status consumista e dentro le lotte auto-affermative della concorrenza. L'affermazione per cui il potenziale critico di questa società dev'essere abolito proprio (oppure unicamente ed esclusivamente) per il fatto che il capitalismo non è più capace di sopperire alle necessità che esso stesso ha prodotto, è molto semplicistica. In quanto la struttura delle necessità risulta dalla struttura del valore d'uso specificamente capitalista, essa diventa parte integrante dell'astrazione feticista del valore e, pertanto, della tutela degli uomini da parte delle forme sociali senza soggetto. Perciò, appellarsi a queste necessità, per le quali non verrà mai prodotta una rendita monetaria sufficiente, non porterà mai ad un movimento di emancipazione. La contraddizione fra il capitalismo ed i potenziali che esso stesso ha prodotto si trova su un piano del tutto diverso e non si lascia mobilitare in maniera così semplice.
I potenziali dell'utilizzo di una forma emancipatrice embrionale non si trovano nei giochi del Nintendo. Inoltre, gli stessi esperti discutono se la transizione dal disco di vinile al CD, per esempio, abbia rappresentato un progresso sul piano del valore d'uso (riferendosi alla qualità del suono). Un tale sviluppo aveva come obiettivo soltanto quello di arrivare a nuovi livelli di produzione, al fine di mantenere la macchina del lavoro in movimento. Questo è solo uno fra i tanti esempi del fatto che il fine in sé della valorizzazione attanaglia da tempo la struttura del consumo. In opposizione a questo, un movimento sociale contro il sistema produttore di merci dovrà indirizzare il proprio potenziale microelettronico verso un fine emancipatore di riproduzione. Se gli apparecchi microelettronici consistono sempre più di moduli che si sottraggono all'assalto trasformatore degli utenti o che perfino impediscono la semplice riparazione, questa tendenza non si riferisce soltanto a ragioni economiche ("usura pianificata"), ma al tentativo di controllo sociale: il rapporto delle persone con i prodotti non può esser neutro, ma le persone devono attenersi, come idioti feticisti del consumo e del lavoro, alla struttura predeterminata del valore d'uso capitalista.
Perciò, lo stesso utilizzo emancipatore della microelettronica dovrà essere riformulato e sperimentato, ossia, si deve sviluppare una combinazione propria di hardware e software, determinata da obiettivi che devono essere propriamente definiti. Per questo c'è bisogno, non c'è dubbio, della conoscenza corrispondente e della partecipazione di persone capaci di far fronte ai potenziali della microelettronica. Infine, è necessario anche un ampliamento cosciente di questa conoscenza, come, ad esempio, nella figura di una "formazione politecnica" in microelettronica ed in energia solare, che possa tanto essere organizzata per conto proprio quanto formulata come esigenza del sistema di insegnamento. Le vecchie idee socialiste, quindi, sono pienamente ricostruibili in forme analoghe ed adattate ai nuovi compiti. L'obiettivo dell'emancipazione non può essere lo sciocco automatizzato al cento per cento, ma la persona auto-riflessiva, che regola coscientemente il suo contesto vitale e non è dominato dalle cose morte. Un tale obiettivo deve figurare nelle forme embrionali di riproduzione, poiché, diversamente, esse non meriterebbero questo nome.
- Robert Kurz - Pubblicato sulla rivista KRISIS, nº 19, del 1997 – (2 di 5, continua …) -
fonte: EXIT!
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