sabato 9 maggio 2015

la lotta per l'acqua del tè e per il potere dello Stato

anti1

Anti-economia ed antipolitica
- Sulla riformulazione dell'emancipazione sociale dopo la fine del "marxismo" -
di Robert Kurz

1 - Il politicismo e la questione della forma embrionale dell'emancipazione
La miseria di una critica radicale del sistema produttore di merci - vale a dire, di un "modo di produzione basato sul valore" (Marx) - sembra risiedere nel suo essere incapace di rappresentare una prassi storica (da non confondere con un mestierucolo praticista qualsiasi), di prendere un'iniziativa, di trovare una via d'uscita, e di comunicarla alla coscienza comune delle masse, rimanendo, così, condannata ad un'esistenza esoterica, domiciliata nei territori socialmente remoti della riflessione puramente teorica, se non addirittura della speculazione filosofica, e dissolvendosi così alla fine in una curiosa esistenza settaria. Se e come sia possibile una socializzazione emancipatrice senza le forme feticistiche della merce e del denaro - questo rimane un libro chiuso.
Rispetto a tutto questo, non è certo esente da colpa il marxismo minoritario, il quale, finora non ha inteso sé stesso come critico del valore, o ha fatto risuonare tale critica del valore soltanto in una forma più o meno vaga. Di fatto, questo genere di critica marxista del "feticismo della merce" - che risale al giovane Lukacs di "Storia e coscienza di classe", alla Teoria Critica di Adorno ed Horkheimer o anche, in parte, ai situazionisti francesi intorno a Guy Debord - delle due l'una, o ha rifiutato, coscientemente, un approfondimento ed una concretizzazione della critica del feticismo nell'economia politica moderna, oppure, soprattutto, ha mostrato, nella sua direzione pratica, tracce esistenzialiste - e questo quando non si è ridotto (come in Lukacs) ad una vergognosa apologia del sistema produttore di merci del socialismo reale. Il nuovo comunismo di sinistra, a sua volta, con i suoi ingredienti, in parte maoisti in parte oriundi dello "operaismo" italiano, non ha mai superato, nella migliore delle ipotesi, una critica platonica delle "relazioni denaro-merce", non fondata in termini filosofici ed antieconomici, e così è rimasto prigioniero di nozioni abbastanza grezze, ridotte, in pratica, ad un mascheramento edonista della vecchia ideologia del movimento operaio.
Quando la questione del potere fosse stata superata, allora si sarebbero facilmente potuto regolare, a beneficio di tutti, le forze produttive scatenate dal capitalismo ("e, poi, tutto funzionerà da solo"). Entrambi i fossili, quelli del radicalismo di sinistra e dell'ex-fondamentalismo verde - in Germania Occidentale, Rainer Trampert e Thomas Ebermarm - potevano così impegnarsi inutilmente, nelle cerimonie, e a redigere il programma  nello spazio di quindici minuti. Ma non è esattamente questo il problema, a fronte del capitalismo che regna senza opposizione alcuna.
E' per tale ragione che non si può pensare un efficace movimento di superamento. Fra capitalismo e non-capitalismo non si frappone solamente una questione di potere o di "forze a disposizione". Il superamento della riproduzione sotto la forma della merce non è un assunto più o meno tecnico ed organizzativo da svolgere dopo "l'esproprio" (politico e giuridico) dei capitalisti, ma bensì è il superamento di tutte le relazioni e di tutte le forme di coscienza sociale strutturate dal valore o dalla "dissociazione-valore" tra i sessi (Roswitha Scholz). E questo non avviene facilmente e senza attrito (una volta che, sia la coscienza delle masse che la coscienza teorica sono state condizionate, in un processo secolare, dalla forma merce) e non avviene neppure come una commutazione post-capitalista di poli. Piuttosto, il movimento di critica radicale e di emancipazione, a partire dal credito capitalista, è pensabile soltanto attraverso un determinato progetto di un "cambiamento volontario" concepibile solo in quanto, diversamente, sarebbe impossibile la negazione e la mediazione sociale. Ed un tale progetto non può, in alcun modo, rimanere nella forma di un'indeterminazione, morale o metaforica, aspettando un qualsivoglia "giorno X", senza entrare nella struttura teorica per mezzo di definizioni concrete.
Questo è tanto più valido quando la riproduzione post-capitalista non deve scendere sotto il livello della socializzazione capitalista, ma, anzi, deve superarla. In una tale prospettiva, è del tutto impossibile dissociare la negazione dal superamento positivo. Se le potenzialità per cui il capitalismo stesso ha fatto sì che la riproduzione apparisse e agisse solamente nel suo aspetto distruttivo, sotto la forma capitalista, bisogna indicare in che maniera tali potenzialità, una volta superate, agiranno in modo diverso e saranno regolate per mezzo di istituzioni di comunicazione sociale diretta, che vadano oltre la socializzazione borghese nei parametri della forma merce. E' questo il presupposto per cui un movimento di superamento possa fare il suo corso.
Di questo fa anche parte tutto quello che, nell'economia borghese, si manifesta come un problema di "allocazione di risorse". Come dovrebbe essere l'aspetto concreto della cooperazione di milioni di persone nella divisione funzionale della sua riproduzione, a partire dal flusso di risorse, dalla metallurgia fino alle miniere, quando tutto questo non può più essere guidato dalla "mano invisibile" della forma feticista del valore? Tali problemi di cosiddetta pianificazione non sono, assolutamente, risolti, in quindici minuti da dei luminari come Trampert o Ebermann.
Ma anche se, in linea generale, la questione della pianificazione viene riformulata e risolta in termini teorici ed analitici al di là delle forme merce e denaro, al fine di poter mettere in pratica esperienze post-capitalistiche, sorge sempre, allo stesso tempo, la questione della transizione, del movimento pratico di trasformazione, della famosa "approssimazione" ad una riproduzione la cui matrice non sia la forma merce, prima che questa riproduzione non sia in grado di svilupparsi sul suo proprio terreno. Da dove e come cominciare, all'interno della forma di socializzazione capitalista esistente e che regna su ogni riproduzione, al fine di trovare in essa, per così dire, una breccia interna che possa essere di essa liberatrice, per compiere il primo passo, per dare un inizio formulabile come emancipazione sociale?
Il filone principale del vecchio marxismo del movimento operaio ha semplicemente costeggiato questo problema e lo ha sostituito con un altro - con un orientamento politicista e statale rivolto alla "questione del potere" (vedi, di Ernst Lohoff, Crisi e liberazione, su Krisis n° 18). In altre parole, non si è organizzato in forma anticapitalista per quel che riguarda la riproduzione e la vita quotidiana, ma lo ha fatto soltanto politicamente, come "espressione della volontà" storica ed astratta, senza peso riproduttivo nella realtà, ossia, come "partito politico" (e, parallelamente, ha combattuto sindacalmente per  delle gratificazioni immanenti al sistema). Si è subordinato tutto all'obiettivo della conquista politica del potere, per poi, attraverso degli interventi statali - e, conseguentemente, "dall'alto" - cercare in un certo modo di "ravvivare" la riproduzione capitalista secondo i modelli socialisti dell'economia pianificata. Il potere politico appare qui come il fulcro di Archimede, e l'apparato statale alternativo ("Stato-lavoratore"), come la leva centrale per il capovolgimento.
Non è un caso, pertanto, la totale sparizione del problema di una riproduzione non più legata al valore e al suo relativo "approccio". La lotta per i bonus immanenti al sistema, che per definizione non abbandona la forma della relazione borghese, viene assunta come "approccio" alla questione politica del potere e, quindi, ugualmente immanente al sistema (come "introduzione" ad esso). Questo è del tutto coerente, giacché la questione del potere come positiva, come questione dell'installazione di una forza statale alternativa, rimane anch'essa ugualmente ristretta alla sfera (politica) della socializzazione borghese.
In tale maniera, il valore non viene spiegato, ma convertito in oggetto neutro, ontologico. Mezzi e fini, riforma e rivoluzione, lotta sindacale per la distribuzione e programma politico possono solo essere racchiusi in una loro unità poiché, come "la lotta per l'acqua del tè e per il potere dello Stato" (Brecht), rimangono incondizionalmente confinati alla forma borghese della riproduzione delle relazioni di merce e monetarie. La critica del valore nel contesto ancora insuperato del marxismo del movimento operaio - critica questa che ha abdicato alla sua concretizzazione - deve necessariamente nuotare, in forma diretta o indiretta, in queste acque politiciste e, proprio per questo, è rimasta esoterica e non mediata come critica del valore.
Di fatto, la condotta del vecchio marxismo nell'uno e nell'altro caso - o che sia esotericamente critico del valore e timidamente politicista o che sia apertamente statalista ed ontologizzante del valore - è essenzialmente lo stesso per quel che riguarda la sua "improprietà", cioè, l'anticapitalismo non appare (anche solo per quanto riguarda soltanto le sue possibilità elaborate teoricamente) come una forma di esistenza e di riproduzione socio-economica formulabile (rappresentabile in embrione) al di là del capitalismo, che lotta per il suo diritto di esistere e si afferma in faccia alla forma dominante di socializzazione, ma, semmai, come semplice mobilitazione indiretta della negazione astratta, che non è, in sé stessa, avversa alla forma di merce, dal momento che si trova rivolta ad un obiettivo astratto superficiale, un presunto punto trascendente di trasformazione.
L'emancipazione sociale dà così seguito ad una semplice promessa di un futuro immaginario. In primo luogo, sarebbe necessario attraversare la valle di lacrime politica, prima di poter avvistare la terra promessa del "socialismo" e poterla occupare nella pratica. In realtà, questo di fatto è stato il programma della riforma sociale, immanente alla forma merce, nelle metropoli e nella "modernizzazione tardiva" della periferia capitalista; in questo lasso di tempo, queste due opposizioni sono state in buona parte distrutte. L'idea di un capovolgimento centrato politicamente - e, per questo, astratto - sul cielo politico, invece che sulla Terra socio-economica, era identica al confino nella forma del feticcio del modo di socializzazione borghese.
Il problema che qui si manifesta è quello della "forma embrionale". Il materialismo storico ha dimostrato ed ha riconosciuto analiticamente che la socializzazione capitalista e borghese, sotto forma di merce, è sorta come forma embrionale in seno alla società feudale. Essa non è cominciata con la rivoluzione politica (come, per esempio, quella francese), ma molto prima, per poi, poco a poco, dopo un lungo sviluppo, farsi valere come forma autocosciente in considerazione della questione politica del potere. Le forme embrionali socio-economiche del capitalismo si sono sviluppate in quanto, per molto tempo, ha persistito un potere feudale "parallelo e superiore". Quando nelle rivoluzioni borghesi, "è stato rotto l'involucro feudale", la socialità borghese, sotto forma di merce,  si è trovata praticamente già presente - non solo indirettamente, come forma politica e negatrice, ma in modo diretto e positivo, come forma reale di riproduzione socio-economica. Il movimento politico non ha preceduto la nuova forma di riproduzione come espressione di volontà astratta e simbolica; al contrario, esso è stato la sua conseguenza secondaria, la sua necessaria forma fenomenica.
Avere presente tale circostanza storica è di grande importanza, dal momento che il materialismo storico "fa acqua", per così dire, non appena si tratta di definire la cosiddetta rivoluzione socialista. Da un lato, si assimila ciecamente alla forma borghese di movimento politico, in tutte le sue manifestazioni (dal concetto di rivoluzione fino a quello di partito politico), il che indica il carattere del vecchio marxismo come semplice transizione secondaria dell'illuminismo borghese e della socializzazione per mezzo della forma merce. Dall'altro lato, un tale impulso, proprio per questo, non può appoggiarsi ad una forma di riproduzione non-borghese e non di mercato già esistente. L'evidente menzogna del marxismo del movimento operaio si rivela in questa carenza di una forma embrionale realmente esistente. La forma in sé stessa borghese dell'azione politica non può corrispondere ad una forma di esistenza sociale non-borghese e non di mercato.
Di necessità è stata fatta virtù, del carattere borghese dell'immobilità politica si è fatto un carattere peculiare della trasformazione politica. Suppostamente, la caratteristica specifica che avrebbe dovuto distinguere la rivoluzione socialista da quella borghese era il fatto che essa non poteva avere una forma embrionale reale. Il potenziale per trasformare lo sviluppo delle forze produttive capitalistiche, grazie al suo carattere "totale" rispetto all'insieme della società, non doveva essere rappresentato e mobilitato secondo il criterio di una forma embrionale sociale e comunicativa, per poi andare oltre la socializzazione per mezzo del valore, ma soltanto secondo il criterio dell'organizzazione direttamente sociale. Ossia, "o tutto o niente", immediatezza totale della forma del valore dominante senza alcun movimento socio-economico intermediario. Invece, solamente il movimento politico - e, quindi, legato positivamente allo Stato - di una contraddizione inerente alla relazione di capitale, che per sua propria essenza doveva rimanere interna al campo delle categorie capitalistiche (valore, merce, denaro, capitale, salario, Stato, democrazia). In termini pratici, e rispetto alla definizione dell'obiettivo, da questo ne risultava una visione burocratica che poteva guadagnare plausibilità solamente nel contesto del feticismo statale socialdemocratico e "comunista" - nell'idea socialista sottomessa dello Stato "buono", dello "Stato-operaio", o, per formularlo in maniera polemica, del "Terzo Reich" escatologico delle "formiche azzurre", sotto il segno delle forze produttive su scala gigantesca.
Quest'idea, sotto molti aspetti più incline al socialismo da cattedra di Lassale che a quello di Marx (ma anche Marx ed Engels non erano del tutto liberi da questo), soffocò grazie alla vigorosa collaborazione dell'apparato sindacale e del partito socialista - la cui tipologia rappresentava, abitualmente, una sala degli orrori dell'uniformità ferroviaria del proletariato, della mentalità prussiana del passo dell'oca e soprattutto della credulità nello Stato e nell'autorità da parte degli "eserciti del lavoro" - tutti i tentativi di una riproduzione "antieconomica" autonoma contro le coercizioni del totalitario sistema produttore di merci. Tutto ciò che poteva corrispondere a questa riproduzione, per quanto immatura fosse la sua forma, appariva come concorrenza nei confronti della strategia della "presa del potere" e del principio del "dall'alto" dell'economia pianificata totale dello Stato-formica (i cui fondamenti erano la forma merce).
Ovviamente, sarebbe ingiusto emettere unilateralmente questo verdetto sugli apparati sindacali e politici del movimento operaio, per quanto grande sia stata la loro parte nell'oscurare e calpestare l'inizio debole, insicuro, ed immaturo della "forma embrionale". Di fatto, il vecchio movimento delle cooperative della fine del XIX secolo, così come anche i cosiddetti movimenti alternativi della Nuova Sinistra della fine degli anni 1970, hanno fatto sorgere tutto quello che secondo il breviario marxista, in esso era sempre stato censurato dai politicastri e dai feticisti della pianificazione statale: piccolo-borghesismo di massa e mentalità meschina, abbandono di ogni prospettiva dell'insieme sociale, ritardo ed auto-sfruttamento tecnologico, abbrutimento della vita nei campi e, infine, regresso in seno alla società borghese per fallimento o per "professionalizzazione" capitalista.
Quello che è rimasto, nel caso delle cooperative più antiche del movimento operaio, sono state soltanto delle imprese dentro la rigida norma capitalista, come la Co-op e la Neue Heimat, note per essersi ricoperte di ridicolo a causa della loro essere peculiarmente suscettibili agli scandali della corruzione. La rimanenza del giovane movimento alternativo, da parte sua, aveva principalmente delle nicchie nel mercato del capitalismo-casinò grazie alla produzione artigianale di lusso per una clientela piacevole ed onorevole, con la gastronomia ricercata o etnografica e con le proprietà culturali (commerciali o statali). Qui si è venuto ad accumulare un potenziale di classe media e di piccola borghesia della specie più sordida, che o sospira perché gli vengano distribuite risorse keynesiane oppure sente parecchio "l'orgoglio" della sua piccola proprietà lavorata ed acquisita "grazie alle sue proprie mani" - una specie questa votata al masochismo protestante del lavoro e politicamente situata fra la mafia del SPD (Partito socialdemocratico tedesco) e i realos del Partito Verde. Da tutti questi può provenire, nel corso di una crisi duratura, un afflusso verso il social-nazionalismo della "destra radicale" o della "sinistra". Mentre esistono, nel resto del movimento alternativo, persone che non hanno dismesso la loro pretesa emancipatrice, né la loro critica radicale della società, ma che non trovano più nel loro ambito un terreno sociale adeguato a questo.
Pertanto, non si può trattare di dissotterrare nuovamente - in maniera indenne e non mediata, contro il socialismo di Stato fallito, e in fondo per niente emancipatore - l'idea del movimento delle cooperative del XIX secolo oppure quella del movimento alternativo dell'inizio del decennio 1980. Al contrario, si tratta di superare criticamente la falsa polarità fra il politicismo economico-statale ed il socialismo piccolo-borghese del pezzettino di terra. La questione è quella di sapere se si riuscirà a far avanzare, dal punto di vista teorico e pratico, la critica radicale del valore fino alla forma socio-economica embrionale di una trasformazione che trovi un'uscita dalle strutture feticiste. Una simile problematica si trova esposta non solo alle difficoltà teoriche e pratiche (soprattutto in una situazione di calma del capitalismo-casinò e della chiara paralisi dei movimenti spontanei), ma si trova esposta anche al momento di indolenza del vecchio pseudo-radicalismo di sinistra e dei suoi resti, che non smettono di rimuginare fra sé e sé.
Di fatto, fino ad oggi tutta la critica dei vari radicalismi di sinistra al filone principale del vecchio movimento operaio ha evitato sistematicamente il problema della forma embrionale di una socializzazione che vada oltre la produzione di merci. Come i loro oppositori (i sostenitori del socialismo di Stato) i vecchi radicali di sinistra ignorano del tutto la questione della determinazione di base della forma, per potersi così rifugiare in un'enfasi illegittima, borghese ed illuminista, del soggetto "classe" o "lotta di classe", e, poi, per mettere in pratica il politicismo rivoluzionario borghese di un giacobinismo polveroso, sotto una forma particolarmente marziale. Il radicalismo di sinistra esplicitamente anti-statale, di estrazione anarchica (come ho scritto anche più volte su Krisis), rimane con molta più ragione prigioniero delle forme non superate di mediazione del sistema produttore di merci, cioè, all'altro polo della soggettività borghese - dal momento che l'aspetto argomentativo legato a Proudhon si apre a formulazioni (tendenzialmente antisemite) di una critica ridotta nei confronti del capitale che produce interessi.
Anche le iniziative della Comune di Parigi del 1970 e degli anarchici sconfitti nella guerra civile spagnola non hanno lasciato nessuna idea legittima di riproduzione non di mercato, sebbene rimanga sempre il compito di ricostruire criticamente quella storia, al fine di affermare per mezzo della riflessione storica un nuovo movimento di emancipazione che vada oltre la forma merce. I meno adatti a farlo sono, evidentemente, i gestori "ortodossi" delle spoglie della Teoria Critica, i quali desiderano rimanere nella situazione di una paralisi che impedisca la mediazione, al fine di lasciare che il problema continui a fluttuare nella riflessione esoterica e così poter fustigare tutti coloro che cercano di superarlo.

- Robert Kurz - Pubblicato sulla rivista KRISIS, nº 19, del 1997 – ( 1 di 5 – continua … ) -

fonte: EXIT!

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