Il denaro come cuore di tenebra
di Daniel Cunha
"La parola d'ordine è rischiare tutto". Così, già nella prefazione, Kurz dice chiaramente che le ambizioni del suo ultimo libro, pubblicato postumo, non sono affatto piccole. Al contrario di quello che si potrebbe pensare, il libro postumo di Kurz non è un frammento incompleto o poco importante nel quadro della sua opera, bensì segna importanti punti di svolta teorici. Nel complesso si tratta di un programma di denaturalizzazione totale delle categorie capitalistiche - denaro, merce, valore, lavoro astratto. A tal fine, Kurz si immerge in problemi complessi della teoria marxiana, quali il rapporto fra il logico e lo storico (il "problema dell'esposizione"), la costituzione storica del capitalismo, il "problema della trasformazione" dei valori in prezzi e la teoria della crisi. E lo fa ricercando, per tutto il tempo, il "nucleo temporale della verità" in Marx. Tutto questo è inserito nel contesto del dibattito tedesco, dove, da un lato la nuova ortodossia, e dall'altro la Nuova Lettura di Marx, tipicamente rappresentati da Wolfgang Fritz Haug e da Michael Heinrich, che gli servono da "sacco da boxe" ai fini dell'esposizione. Si tratta, forse, del libro più "esoterico" di Kurz. Per il lettore de "Il collasso della modernizzazione", avviene un cambio di prospettiva, dal momento che vengono inglobati nel punto di vista della critica, tanto il pre-capitalismo e la costituzione del capitale, quanto i processi di crisi avanzata dopo la caduta del Muro.
Kurz parte dalla determinazione del feticismo pre-capitalista, appoggiandosi ad autori come Le Goff, Lahm, Polanyi e Kantorovsky. Da questa analisi deriva una delle conclusioni più importanti del libro, quella per cui il denaro precede il valore (teoria monetaria del valore). Il denaro nelle formazioni pre-capitalistiche sarebbe denaro senza valore, dal momento che avrebbe determinazioni, del tutto differenti rispetto a quelle del denaro moderno, nelle relazioni di feticcio del rapporto con la divinità (sacrificio) e negli obblighi personali. A rigore, quindi, non si avrebbe denaro prima del capitalismo - Kurz si appoggia a Le Goff, per il quale nel Medioevo non sia avrebbe il concetto di denaro. Il denaro sarebbe sorto soltanto con la "rivoluzione delle armi da fuoco", quando la sete di ricchezza degli Stati nazionali in concorrenza mortale ha dato origine alla ricerca della ricchezza astratta ed al denaro come mezzo di scambio, staccato ed autonomizzato dalle sue antiche funzioni feticistiche e sacrificali. Solo a questo punto, l'attività umana ha cominciato ad essere sfruttata ai fini dell'acquisizione della ricchezza astratta - la costituzione del valore e del lavoro astratto. Pertanto, il "problema di esposizione" in Marx, per quanto riguarda la costituzione storica, implica un'inversione fra il presupposto ed il risultato: per prima cosa si costituisce il denaro, e successivamente il valore e la merce; il che è l'inverso dell'esposizione logica che viene fatta ne "Il Capitale". L'unità del logico e dello storico nel marxismo di taglio engelsiano viene criticata senza pietà.
Un altro punto chiave del libro consiste del concetto di "individualismo metodologico", a partire dal quale Kurz pretende di risolvere il cosiddetto "problema della trasformazione". Qui, il "problema dell'esposizione" (logico) consiste nel fatto per cui, per poter determinare il capitale, bisogna partire dal produttore individuale di merci. Kurz lo riduce ad un pseudo-problema, giacché la massa di valori e la massa di prezzi deve coincidere soltanto a livello di processo globale (Gesamtkapital). Per il produttore individuale, il valore ed il prezzo non coincidono, dal momento che le unità individuali concorrono fra loro per la massa totale di plusvalore. Non si tratta di un errore di Marx, ma semplicemente del fatto che non si può accedere immediatamente alla totalità sistemica senza generare un'incongruenza (reale) che è puramente espositiva, e non essenziale. Allo stesso modo, non esisterebbe circolazione semplice, se non per un periodo molto breve durante la costituzione del capitale, dal momento che il valore presuppone da sempre il lavoro astratto, il plusvalore e l'accumulazione. Qui si rivela la capacità di Kurz di immergersi nel testo marxiano ed estrarne le sue mediazioni e le sue emergenze dialettiche. Forse la cosa più importante relativamente a questa discussione, però, è che Kurz procede dalla critica del valore in direzione della critica del capitale come totalità dialettica. Nella sua esposizione iniziale, Marx parla di "feticcio della merce", ma questo feticcio si dipana dal capitale (plusvalore) fino al feticismo al grado più alto del tasso di interesse (volume III del Capitale) - di modo che il feticcio è la totalità, e non si riferisce solo le merci in quanto coaguli di valore.
Kurz dedica un notevole ed un acutezza argomentativa alla difesa della teoria marxiana della sostanza del valore (il lavoro astratto). Qui si dimostra come la Nuova Lettura di Marx, soprattutto Michael Heinrich, abbandonando la relazione sostanziale, ricada nel postmodernismo. A questo punto si trova la radice della negazione della crisi del capitale - che viene di nuovo descritta come la "contraddizione in processo" della società del lavoro dove il lavoro diventa superfluo a causa del super-sviluppo delle forze produttive (qui non c'è alcuna novità per i vecchi lettori, ma il concetto è fondamentale per i nuovi lettori). L'esposizione dell'ipertrofia del sistema di credito (ancora agli albori ai tempi di Marx) in quanto dialetticamente intrecciata con l'aumento della composizione organica del capitale e, quando raggiunge livelli critici, con la crisi della valorizzazione, è una dimostrazione della capacità dell'autore di "storicizzare la teoria". Allo stesso modo, la revisione delle teorie della crisi che si limitavano, in parte incluso lo stesso Marx, alle crisi di distribuzione (sovrapproduzione, problemi di "realizzo"), mentre quello che è all'ordine del giorno è la crisi della sostanza del valore, il lavoro astratto. Kurz insiste sulla nozione di un "limite assoluto" alla crisi, ed arriva a datarlo: non oltre i prossimi cinquant'anni.
Infine, Kurz utilizza Benjamin ed il suo frammento sul capitalismo come religione per speculare sugli sviluppi della crisi. Il denaro, che nel suo inizio ha cominciato come denaro che ancora non lo era, come denaro senza valore, tornerebbe ad esserlo alla fine del percorso teleologico del capitale. Qui, l'orrore: il sacrificio umano per soddisfare il feticcio dell'accumulazione capitalista - nella forma dello smantellamento sociale, nella guerra di tutti contro tutti e nelle guerre. La domanda che rimane aperta è che cosa esattamente Kurz chiama "limite assoluto", fino al punto di datarlo. Sarebbe la capacità del capitale di valorizzarsi, di generare una massa di plusvalore, grazie all'aumento della composizione organica del capitale? Ma qui parrebbe più il caso di una curva declinante che tocca il suo limite solo all'infinito (quello che in matematica si chiama "asintotica") più che di un limite fisso. Prima che venisse raggiunto questo limite assoluto, ci sarebbe un collasso "politico" del sistema, molto probabilmente regressivo, o anche un collasso ecologico. Oppure potrebbe essere il punto di svolta in cui l'espansione interna ed esterna dei mercati non riesce più a compensare gli aumenti di produttività, ossia, il punto in cui la massa di plusvalore globale comincia a declinare? In tal caso, forse il limite è già stato superato? In qualche maniera, Kurz ha ragione nel problematizzare i limiti interni ed esterni (ecologici) del capitale.
"Denaro senza valore" è un libro sulle tenebre. Nella sua critica puramente negativa, non c'è alcuno spazio per la "mano ribelle del lavoro" e per il non-identico. E' sorprendente che nel disegnare un panorama logico-storico così ampio del capitale - dalla costituzione alla crisi finale - Kurz non citi mai la lotta di classe, nemmeno per liquidarla come puramente immanente, come aveva fatto in occasioni precedenti. Quando, in una rarissima occasione, viene citata una possibilità di trascendenza dal capitalismo, è riferita alla "coscienza". Qui forse c'è qualcosa che rimanda, al di là dell'esposizione negativa kurziana, ad una visione dello sviluppo interno capitalistico come logica inarrestabile assoluta (la feticizzazione del feticcio), tendenza questa che si è intensificata nei suoi scritti nel corso degli anni. Questo sfocia nell'affermazione per cui "il feticcio del capitale mette in marcia un movimento di sacrificio reificato il cui risultato finisce per abrogare tutti gli elementi civilizzanti della storia precedente". Che un tale processo abbia reso il comunismo più possibile che mai (con l'automazione, le telecomunicazioni, l'altissima produttività, ecc.) - di questa emancipazione in quanto "non-ancora" che tuttavia si rafforza nel movimento del capitale, non appare traccia nel modo di esposizione kurziano, che rimanda alla tabula rasa.
Detto ciò, la forza esplicativa del libro - sia per quello che si riferisce al suo progetto di "denaturalizzazione totale" delle categorie capitalistiche, sia per quel che riguarda la fenomenologia della crisi capitalista sempre più globalizzata ed intensa, così come per quel che concerne la concettualizzazione del feticcio - lo rende una lettura obbligatoria. Kurz si riafferma, nella sua ultima pubblicazione, come uno dei pensatori più prolifici della fine del XX secolo e dell'inizio del XXI, che assume l'opera marxiana come un corpo vivo, la cui radicalità dev'essere permanentemente attualizzata, e non come un insieme di dogmi pietrificati.
In questo periodo, in cui molti hanno abbandonato la critica sull'onda della caduta del Muro e della "fine della storia", Kurz ha sempre tentato di spingere questa critica fino al limite, senza alcuna paura di rischiare tutto. I problemi che si incontrano lungo la strada arricchiscono il dibattito, la discussione ed il chiarimento critico in un'epoca in cui predomina la regressione e l'offuscamento.
- Daniel Cunha - Pubblicato sulla Rivista Sinal de Menos – 11/parte 2 - 2015 -
fonte: Sinal de Menos
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