Anti-economia ed antipolitica - 5
- Sulla riformulazione dell'emancipazione sociale dopo la fine del "marxismo" -
di Robert Kurz
5. Movimento in rete e sovversione cibernetica
Sarebbe molto ingenuo presumere che un nuovo movimento sociale, nelle condizioni di crisi, iniziasse, immediatamente, con una critica radicale del sistema produttore di merci. Piuttosto, è probabile che una simile prospettiva possa essere mediata solo per mezzo di un dibattito pubblico e di discussioni concettuali nel proprio ambito di conflitto e di lotte sociali. Non si deve, però, partire da zero. Nelle società in crisi, ci sono diverse iniziative di "economia dal basso", le quali, tuttavia, sono ancora in fasce. Difficilmente, faranno gioco per una riproduzione "al di là del mercato e dello Stato", giacché, nella maggioranza dei casi, si basano su sovvenzioni statali (comunali) oppure sviluppano semplici avatar del mercato e dello Stato.
Tuttavia, va notato che tali nessi cooperativi, osservabili in tutto il mondo, sono già diventati oggetto di letteratura sociologica e sono noti attraverso il concetto di "terzo settore". La cosa interessante è che sia stato involontariamente creato un concetto opposto a quello del "settore terziario", che era fino ad ora un attributo del mercato. Se il "settore terziario", nella teoria economica, ha espresso tutte le sfere dei "servizi" che non fanno parte né della I sezione né della II sezione, eppure sono parte integrante della riproduzione capitalista, il "terzo settore", a sua volta, indica le attività di iniziative che non sono né commerciali né statali, e per le quali si usa l'abbreviazione di ONG (Organizzazioni Non Governative) oppure di ONLs (Organizzazioni Non Lucrative).
Sarebbe del tutto sbagliato considerare questo "terzo settore", nella sua immagine attuale, come la forma embrionale di una riproduzione emancipatrice e non di mercato. In generale, le attuali forme di organizzazione e di coscienza di tale sfera sono molto lontane da questo, al di là di non aver adottato, nella maggior parte dei casi, il carattere di un grande movimento sociale. Tuttavia, è estremamente sospetto il fatto per cui i rappresentanti del marxismo "ortodosso" o della Teoria Critica, così come le sinistre postmoderne, non critichino attivamente l'iniziativa del "terzo settore", se non in forma difensiva e passiva: non intendono compromettersi, come se si trattasse di una sorta di mostruosità della teoria. Dietro questa postura illegittima sta il marxismo non elaborato e represso del movimento operaio, le cui categorie sono ancora presenti. E, in queste condizioni, si preferisce preservarsi nel gesto elevato ed olimpico del saggio, senza sporcarsi con i concetti di una realtà modificata.
Per una nuova teoria emancipatrice, però, è necessario intervenire criticamente nel dibattito sul "terzo settore", radicalizzarlo ed unirlo alla prospettiva di un superamento del sistema produttore di merci. Di questo consiste, non solo la discussione con le concezioni neo-piccolo-borghesi o neo-riformiste e la loro mediazione con la teoria della crisi, ma anche la riflessione storica ed il superamento critico del marxismo del movimento operaio, insieme alla sue antiquate categorie della trasformazione. Invece di insistere ad usare in maniera irriflessa ed ignorante, i concetti ciechi ed imprecisi di "socialismo", "rivoluzione mondiale", "abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione", ecc., come se non fosse successo niente, castigando, con essi, le orecchie di attivisti (quasi sempre non socializzati sotto il segno del marxismo) di nuove iniziative, però ancora non cristallizzate, sarebbe meglio, nella ridefinizione di una "società di transizione" con contenuti e forme fondamentalmente alterati, dare risposte a ciò cui il movimento operaio, in un orizzonte di comprensione storica ridotta, è stato a suo modo incapace di rispondere.
Non possiamo dimenticare quanto sia stata difficile la mediazione del "marxismo", come teoria critica, con tutte le altre forme di movimento sociale radicale dei salariati nella vecchia costellazione storica (oggi ormai conclusa) fin dalla metà del XIX secolo. E tanto meno possiamo dimenticare quanto proficuo, in questo contesto, sia stato il dibattito sulle "transizioni", sulla "approssimazione" alla rivoluzione sociale. Non è per caso che i resti della "ortodossia" e della sinistra postmoderna non abbia sollevato il problema della mediazione fra critica radicale e le iniziative socio-economiche, da principio poco radicali, né abbia riflettuto sulla questione di una "transizione" nelle nuove condizioni storiche. L'una e l'altra cosa non possono più, seriamente, sostenere le vecchie concretizzazioni, però vogliono svilupparne altre, di nuove, in quanto questo porterebbe alla rottura con il loro paradigma teorico. Perciò, essi funzionano solamente come un contenitore vuoto delle parole del passato, che vengono utilizzate solamente con una certa vergogna e solo in rare occasioni, come un'argenteria di famiglia ormai opaca, tirata fuori dalla tranquillità di una cassaforte.
Al contrario, il dibattito sulla nuova teoria di trasformazione sociale, che sviluppa il paradigma di uno svincolo in riferimento alla produzione di merci, deve incontrare le sue proprie mediazioni sociali. Questo include, anche, una nuova relazione con i conflitti sociali immanenti al sistema, i quali, nel periodo di crisi e di transizione, sopravvivono a lungo. E' chiaro che le esigenze socio-statali e di salario minimo, che dappertutto mantengono un carattere difensivo in epoca di crisi, non possono più, diversamente da quanto avveniva nella vecchia costellazione, essere il motore decisivo della trasformazione, proprio perché la trascendenza al sistema non porta più ad un nuovo grado di sviluppo del sistema produttore di merci, ma, piuttosto, rompe con la forma stessa di merce. Le lotte per le gratifiche sulla base del "lavoro astratto", pertanto, possono solo essere modelli di un certo "spazio di uscita". Questo non significa, tuttavia, che non siano rilevanti. Uno dei punti deboli dell'attuale movimento alternativo e delle iniziative del "terzo settore" sta nel fatto che esso sono più o meno incapaci di legarsi alle lotte all'interno del lavoro salariato; piuttosto, essi, semplicemente, "mettono da parte" questo contesto, trascurando i problemi sociali della maggioranza, e rinchiudendosi nella propria ottusità microeconomica.
Un movimento sociale che attua uno svincolo riguardo alla produzione di merci, vede l'assunto in modo totalmente diverso. Di fatto, svincolo significa che, da una parte, in un periodo di transizione, la maggior parte dei membri di questo movimento opera ancora, in qualche modo, sul terreno del lavoro salariato e dello Stato sociale, ma che, dall'altra parte, si sottraggono alla relazione capitalista in sfere parziali, per mezzo di forme autonome di riproduzione. Diversamente dalle concezioni di economia duale, questa non è una relazione statica, bensì dinamica, che è volta al pieno superamento della produzione di merci. QUesto può avere un effetto del tutto insospettato sulle lotte sociali immanenti al sistema, ossia, la loro radicalizzazione - e questo proprio perché si tratta di semplici modelli storici in "esaurimento".
Il vecchio radicalismo di sinistra, incapace di pensare qualcosa oltre la forma del valore, aveva immaginato di poter incendiare le lotte per il salario e per le condizioni di lavoro attraverso un aumento semplicemente quantitativo, fino alla "rivoluzione". Tale calcolo, però, venne fatto ad insaputa degli interessati. Infatti, i salariati, che rimanevano prigionieri delle forme di feticismo (feticcio della merce, feticcio del denaro, feticcio del salario) e cercavano il loro benessere solo per mezzo di queste forme, avevano piena coscienza - è chiaro - di essere obbligati a rispettare le modalità ed i limiti del sistema del quale essi sono una parte, e dal quale traggono le loro gratifiche, nella sola forma che pare loro possibile. Per questo, fin dall'inizio, i sindacati non hanno basato le loro rivendicazioni come desiderabili o necessarie alla vita, ma come immanenti al sistema e compatibili con le leggi della forma valore. Nelle condizioni di crisi e di concorrenza agguerrita sul mercato mondiale, questo porta necessariamente al compromesso dei salariati e dei loro sindacati con la "situazione" e con la sopravvivenza del sistema.
In alto mare, quando non si ha un'altra barca, sono tutti disposti, anche nelle condizioni più avverse, a sottomettersi al destino e a fare di tutto perché la barca rimanga intatta. Ma se si ha a disposizione un'altra barca, verso cui, in un modo o nell'altro, tutti vogliono trasferirsi, allora è possibile, con ogni tranquillità, dare fuoco a quella vecchia e appendere al pennone più alto il folle capitano Achab. Mentre se un'altra riproduzione esiste soltanto nell'immaginazione e questa, a sua volta, rimane limitata alla medesima normalità della vecchia forma, sarà impossibile una radicalità all'interno della forma. Ironicamente, la lotta sociale basata sul lavoro salariato e sullo Stato sociale ha potuto essere radicalizzata solo quando l'obiettivo non era più il salario o il denaro. Solamente quando i settori di una riproduzione autonoma ed emancipatrice saranno palpabili, sarà possibile muovere una battaglia sociale immanente al sistema, in forma totalmente incondizionata e nichilista per quel che riguarda il destino della famigerata economia di mercato.
La relazione tra uno svincolo socio-economico rispetto alla produzione di merci ed i conflitti sociali immanenti al sistema non si esaurisce, tuttavia, in questa mera acutezza negativa, ma contiene anche un momento positivo dello svincolo stesso. In tal senso, si ha all'interno di questo nuovo paradigma un qualche contatto fra immanenza e trascendenza al sistema, seppure con un obiettivo modificato. Questo si applica, soprattutto, alla creazione di un fondo di tempo da destinare alle attività nei settori svincolati ed autonomi della riproduzione. Qui, vale il motto: il tempo non è denaro, ma emancipazione dal denaro. La vecchia lotta del movimento operaio per la riduzione della giornata di lavoro può essere ripresa soltanto per un obiettivo nuovo e diverso; nel senso sindacale di oggi, sotto la pressione della crisi e del dibattito "situazionista", essa è già da tempo superata e difficilmente può essere propagandata con serietà.
Se l'obiettivo non è più quello di ottenere "posti di lavoro" nell'economia di mercato, ma la creazione di un fondo di tempo per le forme autonome di riproduzione, allora, nel quadro di questo obiettivo, si possono riunire prospettive di conflitto del tutto diverse, come il problema della riduzione universale della giornata di lavoro e l'abolizione degli straordinari, da un lato, e l'esigenza di un lavoro part-time conveniente ed integralmente remunerato, oppure la lotta contro i tagli dei sussidi di disoccupazione e delle pensioni, dall'altro. Salariati, precari, disoccupati e beneficiari di assistenza sociale potrebbero unirsi nelle lotta comune per un fondo di tempo autonomo e alternativo, che annulli la contraddizione relativa di interessi all'interno della forma valore. Perché questo sia possibile, chiaramente, il nuovo paradigma dev'essere elaborato socialmente e rimanere presente nel dibattito sindacale così come nei movimenti di auto-difesa e dei disoccupati.
La lotta per un fondo di tempo sociale autonomo corrisponde ad un'esigenza di risorse materiali e "naturali". Uno degli aspetti dello svincolo è certamente l'acquisizione collettiva ed autofinanziata dei mezzi di produzione, nel senso più ampio; prima che il vecchio marxista cominci a gemere, si ricordi che il patriarca Karl Marx considerava possibile "l'acquisto totale" del capitale inglese da parte della "classe operaia" inglese associata. Quello che è pensabile su larga scale, è possibile anche su scala ridotta. Questo procedimento, tuttavia, ovviamente non ci basta. Inoltre, è necessario esigere dallo Stato e dal capitale, risorse quali la terra, gli edifici ed i mezzi di produzione, per un utilizzo libero ed autonomo, soprattutto quando, oggi, in mezzo alla crisi, ci sono risorse di ogni genere che rimangono inattive. Il movimento dei centri sociali e delle occupazioni delle case in Germania Occidentale, così come anche il movimento di occupazione delle terre in numerose parti del Terzo Mondo, hanno già sottoscritto in maniera embrionale tali esigenze, a partire da motivazioni del tutto diverse. C'è da stupirsi che, finora, tali movimenti non abbiano agito nella prospettiva di un superamento del sistema produttore di merci. Ma le cose possono cambiare, nella misura in cui questa prospettiva viene messa in atto e le opzioni dell'economia di mercato si rivelano, allo stesso tempo, come illusioni.
Con questo, vediamo che ci potrebbe essere una strada per collegare in rete - sia per il contenuto, sia per l'organizzazione - le esigenze o i conflitti immanenti al sistema in un movimento di svincolo o di superamento. Questa sarà, in corrispondenza allo stadio di sviluppo delle forze produttive microelettroniche, la forma di organizzazione futura della critica radicale della società: al posto del dualismo fra "partito e sindacato", con un corrispondente principio organizzativo statico, gerarchico ed autoritario, ad immagine della relazione mantenuta con lo Stato e col mercato, nascerà una forma flessibile (e, quindi, difficilmente percettibile o "restringibile") di un movimento collegato in rete di iniziative diverse, su piani diversi.
Questo si riferisce sia al contenuto che al carattere "pluridimensionale" delle organizzazioni di base. L'essenziale è che le iniziative di un movimento di svincolo non si lascino restringere unidimensionalmente. Ad un ampio orientamento antieconomico deve sommarsi un rispettivo orientamento antipolitico. La definizione concettuale di politica, nella sinistra, lascia a desiderare. In sostanza, essa comprende l'attività in generale della critica della società, dalla diffusione di contenuti teorici fino all'azione antifascista. Nello stretto senso concettuale, però, "politica" non è altro che attività relazionata positivamente allo Stato, analoga ad "economia" come attività relazionata al sistema produttore di merci del capitale. Perciò, antipolitica sarebbe un'attività di critica autonoma della società, che non ha più come obiettivo positivo lo Stato come forma strutturale, nel senso di una "presa di potere", così come anti-economia, come rudimento di una forma sociale diversa di riproduzione, smette di agire positivamente all'interno delle categorie della forma merce.
Per questo, tutti i piani della critica devono essere occupati, seppure con diversi obiettivi e contenuti. Un movimento di svincolo non può limitarsi alla problematica antieconomica di riproduzione (quella che, nella vecchia terminologia, sarebbe stata la "lotta economica"). Antipolitica significa osservare ed trattare, in termini pratici, tutti i fenomeni sociali - dallo sviluppo culturale fino al razzismo, dalla produzione ideologica borghese fino alla crisi degli Stati nazionali e delle istituzioni internazionali. E, su un piano di base, la relazione fra i sessi è un fatto "antipolitico". Lo scopo di questi interventi non consiste più nel "tradurre" gli interessi di mercato o monetari nel sistema politico, ma dimostrare su tutti i piani che il sistema produttore di merci della modernità, al pari delle sue istituzioni politiche, ha raggiunto storicamente la sua fine ed è in grado di rovinare la vita umana, e deve, quindi, essere sostituito.
Un aspetto importante è quello della "ricerca pratica", l'indagine critica di ogni riproduzione materiale e sensibile della società (anche laddove non si può sviluppare, nel presente, un settore autonomo), con lo scopo di comprovare l'insensatezza e la malsanità del sistema. Si tratta, quindi, seguendo lo slogan ironico "i cittadini osservano la loro propria riproduzione", di decifrare ogni connessione fra i vasi mondialmente comunicanti sul piano materiale, e criticarla radicalmente, di svelare i "segreti imprenditoriali" delle imprese e delle autarchie, di sondare il terreno del flusso di risorse ancora sconosciute alla società (sulla stessa linea della ricostruzione di quel periplo grottesco effettuato da un vasetto di yogurt, per esempio), di concentrarsi sulla rete di trasporti, energia, informazione, impianti idraulici, fognature, ecc. e rappresentarla criticamente - in una parola: di esercitare l'antipolitica come una sorta di "politica socio-ecologica di smascheramento", senza messe misure.
Per fare questo, si può mettere mano al materiale già esistente delle iniziative sociali ed economiche. Tuttavia, dev'essere chiaro che il procedimento descritto qui non è stato ancora messo in atto su grande scala ed in maniera sistematica - e questo semplicemente perché la riproduzione materiale e la sua rispettiva connessione irrazionale per mezzo del sistema produttore di merci non può essere, logicamente, un oggetto né dell'economia né della politica nella società borghese. E mentre i movimenti sociali ed ecologici continuano ad agire in termini economici e politici, nel vecchio senso del termine (o anche perfino con la prospettiva illusoria e regressiva di una "economia di mercato socio-ecologica" e di una "ricostruzione ecologica" della società industriale capitalista), essi sono incapaci di arrivare ad una politica globale e sistematica di superamento e di smascheramento socio-ecologico, e neppure di riuscire a sviluppare un concetto correlato. Anche il materiale messo insieme da questi movimenti ed iniziative si oppone, per il suo contenuto, alle categorie dell'economia e della politica, e può essere solo inteso ed assorbito sistematicamente nel suo carattere, nella misura in cui il paradigma della critica del valore e dello svincolo è ormai un fatto "antipolitico".
A seguito di questo nuovo procedimenti, forse sarebbe possibile utilizzare, in forma modificata, alcune idee degli operaisti e soprattutto dei situazionisti. Il concetto operaista di "inchiesta" si limita, sociologisticamente, ad una sorta di "sociologia pratica" (con argomento la "composizione di classe" e le sue mutazioni), e pertanto dovrebbe essere riformulato come "critica pratica del valore". Il tema situazionista di un'inchiesta sul terreno socio-economico delle città, regioni e "campi" di riproduzione socio-culturali, punta nella stessa direzione. Si può pensare per "campi", come per la produzione di alimenti e la sua storia capitalista, nel sistema di mobilità ("produzione di automobili"), in architettura, nella costruzione di abitazioni e di città, ecc.. Sarebbe eccitante, e forse anche divertente, investigare sistematicamente la struttura materiale della riproduzione e del valore d'uso della relazione capitalistica, svelandola criticamente. Questo procedimento potrebbe essere accompagnato dalle campagne contro l'ideologia e contro la cultura del "lavoro", che predominano nelle società occidentali a partire dal protestantesimo e che, oggi, si estendono a tutto il mondo. La critica e le analisi teoriche della forma valore, del "lavoro astratto" e della crisi potrebbe, con questo, comprendere un vasto campo di attività antipolitiche, accompagnando e preparando il processo socio-economico dello svincolo.
Da questi contenuti conseguono anche le altre strutture organizzative di un "movimento in rete". La connessione in rete può significare che diverse iniziative della sfera teorica e dell'analisi, dello svincolo pratico e socio-economico, della lotta per le esigenze immanenti al sistema, dell'azione e dell'inchieste antipolitiche, ecc., creano una struttura di comunicazione ed una logica comune. La connessione in rete può consistere anche, tuttavia, nel fatto che una certa iniziativa, o un'organizzazione di base, non si restringa ad un progetto unidimensionale, ma, piuttosto, abbia in mente sempre qualcosa di diverso. Di questo possediamo un notevole esempio strutturale. In molti paesi del Terzo Mondo, è cosa comune che unità dell'esercito o della polizia sviluppino, nel contempo, attività economiche, sia per mancanza di denaro per il sostentamento, sia come imprenditoria per il mercato. Si può pensare a qualcosa di simile a questa struttura anche per un movimento antieconomico ed antipolitico di superamento: i dipendenti di un'impresa produttrice di merci possono organizzare, anche, un settore di riproduzione autonoma (dagli asili nido fino alla produzione di alimenti); una cooperativa di costruzione o un'associazione di consumo può promuovere una campagna antirazzista; un'iniziativa teorica può sfociare in un progetto di svincolo; una cooperativa di produzione autonoma di alimenti può girare un film contro il "lavoro" oppure può collaborare ad un progetto antipolitico di inchiesta; e gli organizzatori di un asilo nido posso perfino dare vita ad un'impresa sovversiva di spedizioni.
Un simile movimento pluridimensionale in rete darà origine anche, ad un certo grado del suo sviluppo, ad istituzioni concentrate, dal piano locale a quello transnazionale, ad esempio sotto forma di "consigli". Tali consigli sarebbero organizzati sul piano territoriale, ma non come espressione politica ed astratta della volontà, ma come organismi di rappresentanza e comprensione di una contro-società pratica, che allo stesso tempo non rappresentano un terreno superficiale e delimitato di "esclusione", ma, nelle condizioni di un contro-sistema flessibile, appaiono come un ostacolo sul cammino del capitalismo. Questo movimento in rete, come forma embrionale e di sviluppo di una società, verrà identificato e simboleggiato dalle istituzioni capitaliste, ed esso stesso, nella sua postura di rifiuto del sistema produttore di merci, si identificherà come tale. Questa "identità negativa", però, non installa un nuovo principio "feticista", ed in tal senso, può estinguersi e diventare storico, in quanto solo "società", in cui il capitalismo viene superato.
Come movimento di negazione, è, anche, una rete sociale che, nella sua intenzione, dev'essere soprattutto transnazionale. Si può paragonare una struttura del genere, ad esempio, alla rete (informale) all'estero dei migranti cinesi oppure alle reti transnazionali delle sette religiose, solo che il contenuto sarebbe del tutto diverso ed emancipatore. Ogni membro di questo movimento in reta dovrebbe essere in grado di muoversi in tutto il mondo, a beneficio di quest'impulso di negazione, e allo stesso tempo sempre "stare a casa" da dove questa rete si ramifica. Il teorico dell'amministrazione, John Naisbitt, di Kong-Kong, considera le analoghe reti dei cinesi all'estero come il modello di organizzazione del XXI secolo, che andrà a sostituire lo Stato nazionale. Nel contesto del sistema produttore di merci, che Neisbitt non desidera abbandonare neanche in sogno, questa forma di organizzazione, tuttavia, fallirà oppure assumerà tratti barbari. Ma nel contesto di un movimento di svincolo e di superamento, però, si può parlare, effettivamente, di un tale modello di organizzazione del futuro.
E la questione del potere? Il marxismo del movimento operaio era, per natura, legato a questo tema, giacché, nella sua visione, sarebbe venuto a sostituire il superamento della produzione di merci. Se esiste qualcosa che un movimento critico del valore può utilizzare delle idee postmoderne, questo qualcosa può essere solamente il rifiuto della questione del potere nel vecchio, e positivo, senso - come strategia della cosiddetta presa del potere. Il potere è una forma fenomenica del feticismo. In questo senso, si deve criticare la stessa Hannah Arendt, che ha ontologizzato il concetto di potere e lo ha rappresentato come un semplice momento della sociabilità, in quanto non è mai arrivata ad un'analisi e ad una critica della forma del feticcio. Non è un caso che i teorici liberali e marxisti, indistintamente, falliscono su tale questione.
Il potere, ovviamente, esiste, dal momento che esiste ancora il feticismo e struttura la crisi storica. Ora, l'obiettivo di emancipazione non può essere più quello di conquistare il potere, ma soltanto quello di spossessare il potere, cosa che coincide con il superamento della forma merce. Certo, sarebbe ingenuo supporre che il potere si lascerà spossessare senza conflitti. Il capitalismo non uscirà di scena ex abrupto come ha fatto il suo derivato, il socialismo di Stato. Perciò, una relazione negativa con il potere non significa un rifiuto di ottenere i propri obiettivi. Un pacifismo astratto è altrettanto fuori luogo che una minaccia di intervento militare. Nella costituzione feticistica, la violenza è sempre in agguato, e, nella crisi, più che mai. Non mi riferisco soltanto alla violenza statale, ma anche alla violenza delle bande criminali e dei prodotti della frammentazione dello Stato, come, ad esempio, i selvaggi apparati di "sicurezza", che non risparmiano nemmeno più i cittadini onesti e che esigono una specie di quota di saccheggio. Ma sarebbe sbagliato concentrarsi sul problema di spossessarsi dal potere da dentro la camicia di forza della questione della violenza.
Lo scontro di un movimento sociale (ed è proprio di questo che si tratta) con le istituzioni dominanti comincia e si svolge, in generale, sotto la soglia della violenza. Questo scontro avrà inizio in una fase abbastanza precoce ed in una dimensione locale. Sebbene la crisi possa comportare tutti i compromessi possibili con l'apparato - compresi quelli un tempo ritenuti impensabili - questo non dev'essere considerato ingenuamente come se fosse una regola. Piuttosto, sarà più spesso vero il contrario. Quando, tempo fa, venni invitato, da un gruppo di membri critici del SPD, a tenere una conferenza sul tema "crisi della società del lavoro", notai che tutti scuotevano il capo riguardo all'idea di svincolo e di riproduzione autonoma, vista come una conseguenza possibile. Ma questo, sorprendentemente, non perché i bravi ragazzi la considerassero una prospettiva utopica ed irrealizzabile in termini pratici, L'argomento, quasi all'unisono, era che questo non sarebbe mai stato permesso da un'amministrazione comunale! Il suo principale interesse, infatti, era quello di permettere soltanto le attività che potessero venir tassate, che potessero creare più "posti di lavoro" nell'economia di mercato, ecc.. E possiamo star certi che un'associazione locale di membri del SPD conosce un simile argomento come il palmo della loro mano. Un movimento di svincolo e di superamento condurrà, fin dall'inizio, una lotta per la sopravvivenza contro la propensione "spontanea" della burocrazia capitalista (contro, appunto, la feroce "mafia" socialdemocratica ed il suo seguito negli apparati di amministrazione), che non è in grado di aprire, volontariamente, uno spazio sociale "extraterritoriale".
Bisogna, pertanto, esercitare la pressione sociale e fare sì che il potere sia messo in ginocchio. Nel vecchio movimento operaio, il mezzo principale di pressione non era la "lotta armata", ma, com'è noto, lo sciopero. Illegale nelle sue origini, "l'arma dello sciopero" è diventato, poco a poco, un espediente legale e, alla fine, è stato ritualizzato dal dibattito sociale immanente al sistema. Lo sciopero di certo non sparirà nel contesto di un nuovo periodo di trasformazione, sebbene già oggi abbia perduto rilevanza. Le forze produttive microelettroniche hanno contribuito ad ammorbidire l'effetto dell'arma dello sciopero. "Se il tuo braccio è abbastanza forte / Tutti gli ingranaggi si fermeranno" - questo vecchio slogan del movimento operaio non è più in vigore. Negli scioperi, in molti casi, la produzione razionalizzata viene mantenuto quasi indisturbata per mezzo dei servizi di urgenza; a volte, nel corso degli scioperi vengono perfino scoperti nuovi potenziali di razionalizzazione.
Così come un movimento critico del valore, o di svincolo e superamento, non può, per le ragioni citate, concentrarsi sul fare impresa o semplicemente duplicare, in termini di organizzazione, la struttura capitalista di riproduzione, bisognerà anche inventare un altro mezzo di pressione di lotta sociale. Questo nasce, quasi di per sé, dalla struttura della rete e di concerto con le forze produttive microelettroniche, le quali, di fatto, insieme all'ecologia, sono state le prime a definire il concetto di rete. Un movimento sociale di emancipazione non si muoverà per mezzo di strutture cibernetiche, poiché il contesto di una rete sociale può essere costruito soltanto sulla comunicazione cosciente e sulla libera decisioni, ma non a partire da un codice incosciente. Ora, con il nuovo pensiero delle nuove forze produttive, lo stesso capitalismo, specialmente nella sua configurazione microelettronica, può essere concepito ed attaccato come se fosse un codice cibernetico feticista. Il mezzo sociale della lotta del futuro sarà, pertanto, la sovversione cibernetica, che può imporre le sue esigenze legittime anche senza il supporto della legalità ufficiale (in un certo qual modo, in una forma analoga a quella della storia dello sciopero).
Sovversione cibernetica significa, semplicemente, paralizzare il sistema nervoso della riproduzione capitalista (traporti e traffico, energia, informazione) per mezzo di "interruzioni". Diversamente dallo sciopero, l'interruzione è possibile ovunque. Il blocco dei nodi stradali da parte degli attivisti dei sindacati o dei camionisti francesi, il blocco delle vie ferroviarie dei trasporti Castor da parte degli oppositori all'energia nucleare o il collasso del traffico a Belgrado, provocato coscientemente per mezzo di azioni di opposizione, dimostrano che questo genere di interruzioni fa scuola. Questo vale a maggior ragione per le strade di accesso dell'energia e, soprattutto, dell'informazione. Un movimento che fa inchiesta e che svela l'interconnessione materiale della struttura capitalista di riproduzione può acquisire rapidamente, ed universalizzare il know-how, di modo da poter paralizzare, a volontà, il sistema nervoso capitalista.
E' impossibile prevedere teoricamente, con certezza, un movimento sociale di emancipazione. Ma è possibile e necessario concretizzare teoricamente ed analiticamente le questioni di un superamento della forma valore, ed ampliare il dibattito pubblico su tale tema. La messa a fuoco teorica della critica del valore deve sviluppare la teoria critica del feticismo e della forma valore, ma tale messa a fuoco, in riferimento alla questione del superamento, non è obbligata ad un silenzio irriducibile nella pura astrazione, e ancor meno necessita di guardare al movimento sociale delle masse come i cristiani escatologici guardavano al Giudizio Finale. La questione della mediazione si impone fina dall'inizio, ed un'iniziativa teorica della critica del valore può generare la sua propria "prassi teorica", secondo i criteri dello svincolo, al contrario dell'impresa accademica borghese. Le possibilità ancora inesplorate che qui si trovano, devono essere riflesse e promosse nella pratica.
- Robert Kurz - Pubblicato sulla rivista KRISIS, nº 19, del 1997 – ( 5 di 5 – fine. )
fonte: EXIT!
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