La biologizzazione del sociale
- Il mondo soffre di un nuovo 'disincantamento' -
di Robert Kurz
Il mondo moderno definisce la relazione che le società antiche intrattenevano con la natura, come irrazionale. L'idea secondo la quale montagne e fiumi, animali e piante possiedono un'anima, appare alla coscienza moderna altrettanto fantasiosa quanto la possibilità che qualcuno possa essere stregato dalla magia. Max Weber, com'è noto, a proposito di questo ha parlato di "disincantamento del mondo" operato dalla ragione illuminista, attraverso la razionalità della scienza e della tecnica.
Ora, questa opposizione fra razionalità moderna ed irrazionalità premoderna è quanto meno semplicistica. In primo luogo, le società antiche non erano del tutto irrazionali nel loro "processo di scambio materiale con la natura" (Marx), in quanto alla fine dovevano pur provvedere al loro sostentamento. Inoltre, hanno creato degli ammirevoli artefatti ed hanno tramandato conoscenze di cui gli stessi moderni ancora si avvalgono. In secondo luogo, la società moderna, rispetto agli oggetti naturali, non si basa, dall'altro lato, su una rigida razionalità. La scala su cui l'attuale modo di produzione distrugge le sue proprie basi naturali ci fa seriamente dubitare circa l'affermazione di Max Weber.
La società moderna dovrebbe riferirsi ad un "secondo disincantamento" del mondo. Un tale disincantamento, di fatto, deve superare tutti quelli precedenti, dal momento che la pretesa magica della società moderna è totale e sconsiderata. La scissione dei sentimenti, delle esperienze sensibili e dei sogni, attuata dalla ragione astratta, ha dato origine ad una sfera di "irrazionalismo" che ha divorziato dagli scopi e dalle idee razionali - e questo non solo negli individui, ma anche nella società in generale. La ragione astratta autonomizzata è razionale solamente nei suoi mezzi, non nel suo fine. Questo fine è la "economicizzazione" dell'uomo e della natura sotto i dettami della moneta, che a sua volta non ha un'origine razionale, bensì magica. Non sono solo le relazioni sociali delle modernità ad essere pietrificate dalla moderna magia del denaro e dal suo irrazionale fine in sé, ma anche la scienza e la tecnica moderne. La razionalità strumentale della coscienza economicizzata, pertanto, corre l'eterno rischio di trasformarsi in emozione irrazionale.
Tale irrazionalismo moderno non si rivela sotto la mera apparenza di movimenti religiosi, ma assai spesso sotto la cifra razionale di apparenti idee politiche e perfino come presunta conoscenza scientifica.
Questa correlazione si esprime in maniera più chiara quando la società umana e la storia sono ridotti ad oggetti semi-naturali. Ora, se la natura è di per sé più di quanto appaia allo sguardo oggettivante dello scienziato naturale, anche l'uomo, a sua volta, è più che semplice natura, in quanto altrimenti non sarebbe in grado di concepirlo.
Il riduzionismo delle scienze naturali può conoscere la natura soltanto unilateralmente; ma la società umana viene da esso del tutto ignorata. L'apparente oggettività della razionalità scientifica si dimostra irrazionalismo selvaggio, non appena cerca di dissolvere le relazioni umane in fattori semi-fisici o semi-biologici.
Ma è proprio a questo riduzionismo che tende la scienza moderna. Incapace di offrire una soluzione alle questioni "metafisiche", ha gettato la filosofia nella pattumiera della storia delle idee. Il filosofico e rivoluzionario 18° secolo costruiva ancora una riflessione critica temeraria, con l'obiettivo di conferire una certa legittimazione alla nascente società capitalistica. Già il 19° secolo, in quanto "secolo delle scienze naturali", cercava viceversa di tagliare le unghie della teoria sociale e placare la loro aggressività per mezzo di dottrine pseudo-scientifiche. In un'epoca di miseria ostinata e di massa, era urgente attribuire al capitalismo dignità di legge naturale per poterlo rendere invulnerabile e strapparlo dal contesto storico. Così, l'economia diventò la "fisica" del mercato totale e le sue leggi supposte come eterne, e la sociologia cominciò a concepire sé stessa come la "biologia" delle relazioni sociali, al fine di coprire le contraddizioni sociali della modernità sotto il manto delle necessità naturali.
La concorrenza universale fra individui, gruppi sociali e nazioni, come risultato del capitalismo, guadagnò sempre più un'interpretazione biologica grazie al supporto di tali ideologie "scientifiche". Il conte di Gobineau, diplomatico francese, creò le cosiddette "razze" dell'umanità ed elaborò una teoria sulle loro "naturali" disuguaglianze - chiaramente, una legittimazione pseudo-scientifica del colonialismo europeo, il cui impero sulla popolazione di colore doveva avere come base una pretesa superiorità biologica della "razza bianca".
Quando Darwin scoprì la storia dell'evoluzione biologica, la sua teoria della selezione naturale nella "lotta per l'esistenza" venne ben presto trasposta alla società umana. Lo stesso Darwin non mancò di prendere posizione. In alcune delle sue lettere, recriminava sull'allora nascente movimento sindacale, dal momento che le esigenze di solidarietà intralciavano il processo di selezione naturale ed oberavano la società con esemplari esangui ed inadatti alla concorrenza.
Questo darwinismo sociale manteneva un legame osceno con la "fisica" del mercato. Alla fine del 19° secolo, a tutto questo si aggiungerà l'eugenetica o "igiene razziale" che proclamava la trasmissione ereditaria delle qualità sociali. Gli strati sociali inferiori dei criminali e degli squalificati si videro imposto il marchio di "ereditariamente inferiori", cui doveva essere impedito di riprodursi. Il rovescio della medaglia mostrava l'acclamato "tipo del vincente", bello, forte ed "ereditariamente sano".
Nelle esposizioni eugenetiche che si tenevano in Germania, in Inghilterra e negli Stati Uniti, sfilavano intere famiglie, a mo' di animali da allevamento, di buon ceppo e "purosangue". Nemmeno il movimento operaio sfuggì ad una simile follia. Karl Kautsky, il teorico socialdemocratico, si pronunciava con grande candore a favore della "igiene sociale", e si trovavano operai specializzati che si pronunciavano contro il "sottoproletariato straccione" mediante argomenti biologici ed eugenetici.
In quest'imbroglio pseudo-scientifico di ideologie che pervadevano tutta la società occidentale al volgere del secolo, assumevano sempre più rilievo due immagini socio-biologiche distinte. Da una parte, si sviluppava un razzismo sociale che infamava le persone di colore, gli infermi, i criminali, i disabili, gli straccioni, ecc. in quanto "uomini inferiori". La costruzione della società industriale riguardava esclusivamente i lavoratori bianchi e forti, ed ogni zavorra superflua doveva essere buttata via. Quest'irrazionalismo malevolo andava di pari passo con il disprezzo e la degradazione delle donne, alle quali veniva attribuita una certa "imbecillità fisiologica".
Dall'altro lato, cominciò a fiorire un nuovo antisemitismo, spogliato delle sue basi religiose. "Il giudeo" veniva immaginato come il "superuomo negativo", come una sorta di principe delle tenebre ed agli antipodi del lavoro.
Tale concezione manichea riduceva la perniciosità e le catastrofi dell'economia monetaria alla costituzione biologica del "capitale finanziario giudeo", contro il quale doveva fare fronte il denaro "buono" del venerabile lavoro bianco. Le leggi anonime ed a-soggettive del mercato mondiale in espansione venivano pertanto tradotte nell'insensatezza della presunta congiura globale di una "razza straniera". Con'è noto, il nazional-socialismo portò la duplice ideologia biologica del "uomo inferiore" e del "superuomo negativo" fino alle estreme conseguenze dell'annichilimento su scala industriale. Dopo gli orrori di Auschwitz, nessuno voleva più compromettersi con simili idee. Nel periodo della grande prosperità che fece seguito alla seconda guerra mondiale, esse lampeggiavano soltanto come spettri di un passato infausto, che veniva creduto bandito per sempre. Le scienze economiche e sociali, tuttavia, sono state depurate solo superficialmente dalle scorie concettuali del biologismo e del darwinismo sociale. L'economia politica ha fatto uso più che mai di un genere di scienza sociale contraria alle "mezze-luci", assumendosi come scienza semi-naturale "rigorosa".
Mentre la crescita e l'evoluzione sventolavano una prospettiva globale di benessere, i lemuri del biologismo sociale rimanevano rinchiusi nel mondo inferiore. Da questo punto di vista, il fiorire della sociologia critica e del neo-marxismo degli 1960 e 70 è stato solo illusorio, poiché ripeteva solamente le idee emancipatrici del passato ed era del tutto incapace di sopravvivere ai periodi di boom economico. Quando la crisi dell'economia ha fatto il suo ritorno, la critica sociale di sinistra era significativamente sparita dai grandi palchi pubblici dei paesi occidentali. In quel momento, quel che si trovava in prima pagina era la teoria del decostruttivismo postmoderno fondato su Foucault, che ben si adattava alle speculazioni del capitalismo-casinò dell'era di Reagan e della Tatcher. Il mondo - ivi incluso il sistema di mercato - sembrava dissolversi nei "testi" con i quali si poteva giocare a volontà.
Ma nel rifugio della gioviale e nevrastenica "società del rischio", come l'aveva battezzata il sociologo tedesco Ulrich Beck - riferendosi allo sviluppo degli anni 1980 - si erano riaccese le turbolenze di un nuovo razzismo. Da allora, il potere razzista aveva cominciato a diffondersi per tutto il mondo, in un torrente di eccessi sanguinosi. Anche in Germania, immigranti e rifugiati erano stati uccisi freddamente da bande di radicali di destra nel corso di attentati incendiari. Fino ad oggi, la sfera pubblica ha minimizzato tali crimini come opera di pochi giovani disadattati. In realtà, però, il potere razzista a piede libero per le strade è il preannuncio di una svolta nelle condizioni atmosferiche mondiali.
Nelle stesse fabbriche di idee soffiano altri venti. L'ultimo decennio ha visto il biologismo di una nuova "scienza naturale" insinuarsi a passi felpati nel discorso accademico, il quale riflette sempre più l'eredità ludica e "post-sociologica" del decostruttivismo. A prima vista, tutto sembrava indicare che la ricerca genetica avrebbe potuto mettere fuori gioco le assurdità razziste, per mezzo di argomenti scientifici. Ricercatori, come il genetista molecolare svedese Svante Pããbo, avevano provato che gli uomini dei paesi più diversi, in virtù delle loro sequenze di DNA, potevano essere geneticamente "imparentati" tra di loro di quanto lo fossero con i loro parenti vicini. Ma tali constatazioni, oggi si curvano sempre più sotto il peso di una nuova "biologizzazione" della condotta sociale, la quale, fra l'altro, gli stessi genetisti si apprestano a rifornire di munizioni. Il neurologo nordamericano Steven Pinker afferma che la lingua è "congenita all'uomo come la proboscide lo è all'elefante", e che perciò deve esistere un "gene grammaticale". Per il vincitore del Premio Nobel Francis Crick, di San Diego, lo stesso libero arbitrio è solo un prodotto di "relazioni neurologiche". Scienziati dell'Istituto Robert Koch, a Berlino, dicono di aver trovato un virus che presumibilmente provoca la malinconia e viene trasmesso dai gatti. E Dean Hammer, biologo molecolare nordamericano, riduce ancora una volta l'omosessualità al gene Xq28, situato all'estremità del cromosoma sessuale X.
Si tratta sempre, come spesso accade, di ipotesi non dimostrate che dicono assai meno della natura di quanto dicano delle preferenze ideologiche degli scienziati. Questi studiosi sono assai spesso ingenui dal punto di vista dell'ottica sociale e talvolta non si rendono nemmeno conto come le loro ricerche "puramente oggettive" soffrano dell'influenza di correnti psicologiche che investono la società. Inutile osservare che la riduzione della cultura e della socialità umana al modello della biologia molecolare porta argomenti alla legittimazione di una nuova barbarie. Gli scienziati sociali nordamericani Richard Herrnstein e Charles Murray, in uno studio dal titolo "La curva di Bell", avevano già creato una correlazione fra "razza, geni, e Quoziente Intellettivo" che escludeva, in maniera pseudo-biologica, i neri americani dalla "élite cognitiva". Presto brinderemo agli scellerati scienziati per aver trovato un "gene della criminalità" o un "gene della povertà".
La scoperta di un destino sociale geneticamente condizionato si adatta come un guanto alla politica neoliberista della riduzione dei costi. La nuova disciplina accademica della "economia medica" fornisce a pochi la carta bianca per mezzo della quale - per motivi di costo - i poveri, i malati e i disabili dei paesi occidentali possono essere graziati con "l'aiuto a morire". Dibattiti sul tema, vengono svolti alla luce del giorno in Germania, in Olanda e sul suolo scandinavo. Il filosofo australiano Peter Singer, i cui nonni sono morti nei campi di concentramento tedeschi, oggi propugna la tesi nazionalsocialista per cui i neonati difettosi devono essere immolati in quanto "indegni di vivere". Nella Cina odierna, è stato cancellato un progetto di legge a favore della legalizzazione dell'eutanasia. Ad una simile brutalità socio-darwinista su scala mondiale, corrisponde una nuova ondata di antisemitismo in tutti i quadranti del pianeta. Mezzo secolo dopo Auschwitz, in Germania si torna a bruciare le sinagoghe; dall'Atlantico agli Urali e fino in Giappone, prospera la campagna diffamatoria contro le comunità ebraiche; e, per concludere, Louis Farrakhan, il leader dei "Black Muslims" negli Stati Uniti, si esercita in materia di diffamazione facendo delle tirate antisemitiche. Tutti i gruppi sociali, inclusi i movimenti per i diritti civili, soccombono sempre più ad argomenti biologici nella battaglia cruenta della concorrenza, col proposito di differenziarsi dall'umanità. Sotto l'influenza della globalizzazione del capitale e sulla base delle argomentazioni accademiche dei genetisti, si staglia su di noi la minaccia di un biologismo "universalista" che considera tutte le persone inadatte alla concorrenza nella società monetaria, come se fossero degli "individui inferiori" e che, simultaneamente, imputa le future catastrofi dell'economia di mercato ad un "complotto giudaico".
Il neoliberismo, con la sua pseudo-fisica ideologica delle leggi di mercato, a sciolto i lacci a tutti i demoni della barbarie moderna e, così, è ritornato all'irrazionalità dello "scientismo sociale" del 19° secolo. La naturalizzazione dell'economia, però, comporta come conseguenza logica l'abbrutimento delle relazioni sociali. I mentori neoliberisti non rispondono solo dell'avvento del fondamentalismo, ma anche dell'attuale regresso al darwinismo sociale ed all'antisemitismo.
- Robert Kurz - 7 Luglio 1996 -
fonte: EXIT!
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