giovedì 21 maggio 2015

La superiorità della classe operaia

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Nel suo libro, "La dignité des travailleurs", Michèle Lamont confronta il razzismo in Francia e negli Stati Uniti, riferendosi ai "lavoratori" di questi due paesi. Il suo lavoro parte da un'ipotesi interessante: il razzismo (e, più generalmente, l'ideologia reazionaria) sarebbe, in qualche modo, un di più, un elemento ideologico importante per i lavoratori, in quanto permetterebbe loro di rafforzare:

- La loro identità di proletari che hanno poche possibilità di uscire dalla loro classe, e raggiungere i ranghi della piccola borghesia, e ancor meno quelli della borghesia; essi sono condannati a "sopravvivere" per tutta la loro esistenza. ed hanno quindi bisogno di un rafforzamento ideologico; hanno bisogno di sentirsi superiori non solo rispetto ai più poveri fra loro, e del loro stesso colore, ma anche rispetto a quelli che sono di un altro colore e che lavorano con loro fianco a fianco; e tale superiorità non viene considerata semplicemente come superiorità biologica, ma anche come superiorità morale. Una dimensione etica, di cui alcuni elementi permettono loro anche di sentirsi alla pari con le classi superiori, o addirittura superiori ai dominanti.

- la loro identità di classe: i proletari lavorano attivamente per delimitare i contorni della loro classe, a partire da idee reazionarie (di solito, i marxisti pensano che sia il Partito, o i gruppi rivoluzionari, o la lotta di classe, a creare la coscienza di classe). Possono aver coscienza di essere relativamente sfruttati, pur essendo reazionari. Chiaramente, la loro coscienza di classe non li rende affatto rivoluzionari. Interessante paradosso, il quale depone anche contro ogni teoria situazionista, post-situazionista, o ogni teoria sulla società dei consumi che pretende che la classe operaia adotti le idee ed i valori della piccola borghesia o della classe media. Lamont stabilisce una differenza fra i loro desideri finanziari (piccola borghesia) ed i loro valori (proletari reazionari). Tali valori proletari reazionari riguardano sia il lavoro che la vita familiare, la sessualità, la morale personale, i rapporti uomo-donna, la sicurezza e l'ordine nelle città, ecc..

- la loro identità nazionale: il razzismo permetto loro di identificarsi con la politica estera del loro Stato. Sono perciò "cresciuti" con le prestazioni del loro esercito, con le guerre combattute dal loro Stato. L'autore avrebbe potuto aggiungere le imprese sportive delle squadre nazionali, ecc..

Lamont non cerca affatto di dimostrare che gli argomenti razzisti sono falsi (tranne, qua e là, in qualche nota); cerca solo di mostrare quanto siano efficaci e che hanno un'utilità per coloro che li diffondono, al di là di qualsiasi adesione ad un gruppo politico razzista (almeno fra gli operai intervistati negli Stati Uniti). Queste ipotesi aprono delle prospettive molto utili per il lavoro di militanza, che sia antirazzista o meno. Dovrebbero portare a chiederci non solo se, semplicemente, l'altro abbia "torto" (in questo caso preciso, cosa del tutto evidente) ma anche a domandarci quale sia l'utilità, per lui o per lei, in quanto membri della classe operaia, di difendere questa o quell'idea reazionaria. Michèle Lamont cerca perciò di stabilire quali siano i punti in comune, e quali le differenze, che strutturano le due componenti della classe operaia: neri/bianchi negli Stati Uniti; francesi/nordafricani in Francia, nei loro rapporti con le altre classi.

Detto questo, il saggio soffre di alcuni limiti.

1. Lamont analizza il razzismo sempre in funzione delle opinioni degli operai, ma non delle conseguenze istituzionali di questo razzismo individuale o collettivo. Non analizza mai il legame fra queste opinioni individuali ed i privilegi concessi, teorizzati, difesi dalle istituzioni, sia che esse siano apertamente razziste o meno. Eppure c'è un contributo importante degli americani (a cominciare dalle Black Panthers) che ha posto l'accento sul razzismo istituzionale. Oppure, quando parla (senza nominarlo come tale) del razzismo istituzionale, stabilisce dei paragoni assurdi comparando le leggi segregazioniste negli USA, che hanno avuto corso per tutti gli anni 1960, con il Code noir francese, scomparso da ormai due secoli.

2. Per quanto riguarda la Francia, confonde sistematicamente immigrati, musulmani, arabi e nordafricani. Tuttavia indica che una forte minoranza di nordafricani non si dichiara di alcuna religione, e che una maggioranza di coloro che si definiscono musulmani non è affatto praticante.

3. Confonde razzismo anti-arabo (o anti-berbero, che non è affatto la stessa cosa) e razzismo antimusulmano.

4. Dimentica di menzionare la caccia ai rossi ed agli anarchici negli Stati Uniti (accusati soprattutto di essere degli stranieri) subito prima, durante e dopo la prima guerra mondiale. E' questo che spiega lo sbaragliamento del movimento anarchico, dell'IWW e del socialismo americano, all'epoca. Gran parte dei dirigenti o dei teorici erano degli immigrati tedeschi, italiani, ecc.. Vennero vilipesi, imprigionati, eliminati fisicamente a partire dal fatto di essere stranieri, "anti-americani", indegni di vivere e lavorare in America. Così, allo stesso modo, dimentica di menzionare l'anticomunismo ed il maccartismo, fino ai nostri giorni.

Malgrado queste ultime riserve secondarie, bisognerebbe leggere questo libro:

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Michèle Lamont - La dignité des travailleurs, Exclusion, race, classe et immigration en France et aux Etats-Unis, - Presses de Sciences Po, 2002 -

fonte: Mondialisme.org

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