Cimitero di Paterna, una località vicino Valencia, tranquilla e accogliente. Un monumento ricorda come nella fossa comune siano sepolti i 2.237 uomini che i fascisti fucilarono nella capitale del Levante e nelle piazze dei tanti ‘pueblos’ che le facevano corona. Le tombe sono di marmo o in ceramica, decorate a volte con conchiglie marine. Alcune tra di esse sono soltanto segnate da un piccolo monticello di terra con un numero e qualche fiore, o una piccola scultura. I nomi dei defunti, a volte sono scritti a mano, sulla croce, in una cornice di ceramica decorata a colori vivaci. E’ un cimitero pieno di leggende come quella che ancora oggi si racconta di ‘El manco della Pesquera’. Un maquisard che in realtà si chiamava Basilio Serrano, fucilato nel 1955 perché faceva parte della ‘Agrupacion Guerrillera de Levante e Aragona’ e che le ballate popolari volevano che per anni avesse rubato ai ricchi per dare ai poveri. Nella parte nuova del cimitero, una scritta sul marmo di una tomba ricorda che: "Solo l’azione tenace per la ricerca della verità nobilita l’esistenza", mentre un uomo dall’espressione ironica ed intelligente con sottili baffetti neri perfettamente curati, la fronte alta - un po’ troppo forse per un uomo di neanche trenta anni - ed una camicia bianca sbottonata sul collo, guarda diritto davanti a sé da una fotografia.
E’ questa una delle due foto che di lui si conosce, la prima a sinistra. L’altra immagine, quella in mezzo, è un dipinto che la figlia Coral ospita in un appartamento stracolmo di libri, ritagli di giornali, foto, fotocopie di documenti, e lettere che le arrivano da ogni parte del mondo. Chiunque le scrive, sempre sottolinea il coraggio e la dirittura morale di suo padre. Nel quadro che campeggia su un muro, con un passpartout bianco e una sottile cornice nera, l’uomo porta la barba , è elegante in giacca, camicia e cravatta di seta. Guarda verso sinistra e nell’insieme assomiglia a un grande di Spagna di un dipinto di Velazquez. L’uomo parlava quattro lingue, compreso l’esperanto, aveva vissuto a Parigi, in Marocco ed in Belgio. Ferito due volte in combattimento, incarcerato dai comunisti, era stato tante cose: disertore, intellettuale, anarchico, uomo ‘d’azione’, liberatore di prigionieri e sindacalista. Soprattutto era stato il fondatore della ‘Columna de Hierro’, la più denigrata e maledetta tra tutte le colonne anarchiche che parteciparono alla rivoluzione di Spagna tra il 1936 e il 1939 e che arrivò a contare più di 20.000 tra uomini e donne. José Pellicer Gandia - così si chiamava l’uomo - era nato a Grao de Valencia nel 1912, da una famiglia appartenente all’alta borghesia valenciana. Suo nonno Vicente aveva infatti fondato la Bodega Castillo de Liria ,una delle più importanti aziende della città, all’interno della quale, lui appena adolescente, aveva scatenato uno sciopero. Responsabile ad appena diciannove anni dell’Ateneo Libertario di Valencia, disertore a Parigi, appena rientrato in Spagna viene incarcerato nel penale di Llieda e poi trasferito ad un reggimento. Nel 1934, nella caserma del Carmen a Marnresa, organizza un gruppo di soldati che si solleva durante lo sciopero insurrezionale di ottobre. Giudicato da un tribunale militare e condannato alla deportazione, viene letteralmente strappato via, dall’avvocato Antonio Reina Gandia, dalla nave che lo doveva portare a Villa Cisneros. Fino al 19 luglio non fa altro che entrare e uscire dalla prigione. Forse partecipa a delle rapine in banca, sicuramente progetta e scava un tunnel che fa scappare molti compagni dal carcere dove sono stati rinchiusi. Non appena l’esercito si solleva, con appena un centinaio di uomini armati dei pochi fucili rinvenuti all’interno della caserma Alameda di Valencia, e assieme a Rafael ‘Pancho Villa’, Rodilla, Segarra, Paco Mares, Elias Manzanera e Joaquin Canet dà battaglia a Sarrion, Puerto Escandon, e respinge i soldati fin quasi alla periferia di Teruel. E’ a partire da questo momento che il suo nome, come quello di Maximo Franco e di Francisco Maroto, comincia a circolare all’interno del movimento, come uno di quelli tra i più conosciuti e stimati comandanti delle milizie che si battono contro l’esercito di Franco. Quasi sempre Pellicer viene chiamato il ‘Durruti di Valencia’. Ma Pellicer non aveva nulla dell’"eroe proletario". Altri della Colonna di Ferro avrebbero potuto esserlo. Lui era colto, teoricamente preparato, aveva idee molto chiare cui era in grado di dare un’espressione coerente ed incisiva. Aiutato dalla sua alta statura - era praticamente un gigante per quei tempi - quando parlava usava uno stile secco ed incisivo, tanto diverso dall’enfasi retorica che spesso caratterizza gli spagnoli, specie quando parlano in pubblico. Non è certo un caso che il carattere che i due impressero alle rispettive colonne che ebbero in sorte di comandare sia stato quasi opposto. La democrazia combattente era in secondo piano a Bujaraloz, mentre era la cosa più importante nella Puebla de Valverde, e nella ‘Linea del Fuego’ la visione anarchica è molto più accentuata di quanto lo sia negli articoli che appaiono su ‘El Frente’.
La Columna de Hierro fu infatti allo stesso tempo reparto da combattimento e organizzazione rivoluzionaria. Pubblicò un giornale, distribuì manifesti,lanciò comunicati per spiegare agli operai e ai contadini tutto quello che faceva. Fu questa la sua particolarità. Le parole di José Pellicer sulla inscindibilità tra la guerra e la rivoluzione sono affilate come il rasoio, il suo disprezzo per l’entrata degli anarchici nella Generalitat catalana prima, e nel governo di Largo Caballero subito dopo, era assoluto e totale. La storia della vita e delle azioni degli uomini e delle donne che come Pellicer lottarono per la liberazione integrale dell’uomo, sono state dimenticate anche da coloro che le avrebbero dovute tener presenti come parte integrante della memoria. Come scrive Miguel Amoros, "I libertari di oggi hanno una scarsa attenzione per i loro eroi, ad eccezione della deplorevole santificazione di Durruti. Impegnati a fare di lui un mito, finirono per uccidere il rivoluzionario". Tutti coloro che conobbero Pellicer, e condivisero le sue idee e i suoi obiettivi, gli hanno riconosciuto una dimensione umana inusuale, unita ad un disinteresse personale e ad una profonda umiltà: altrimenti quegli uomini che non riconoscevano autorità alcuna, non sarebbero mai andati assieme a lui. La Columna de Hierro insegnò la dignità ai galeotti che aveva liberato dal Penal di San Miguel de los Reyes, e mostrò loro cosa significasse essere uomini liberi. La prima esperienza di comunismo libertario ebbe luogo nel fuoco dei combattimenti e nelle immediate retrovie che la Columna de Hierro controllava. Il fatto che José Pellicer risulti ancora oggi indigesto a molti anarchici proviene dal fatto che la sua integrità e il suo sacrifico rendono ancora più sconcertanti le ambizioni, e più vergognosa ancora la capitolazione, di molti. La tendenza rivoluzionaria dei tanti Pellicer si dissanguò sui vari fronti, con sempre poche armi e poche munizioni a disposizione. Le spedizioni della Columna de Hierro in cerca di armi nelle caserme della Guardia Civil e della nuova Guardia Popular, per non parlare degli archivi bruciati, o degli assalti ai tribunali, erano un pugno nell’occhio dei dirigenti della CNT. E le critiche di Pellicer e Segarra contro il vergognoso abbandono di Madrid assediata, e la fuga del governo a Valencia, bruciavano come sale sulle ferite. La Colonna non accettò la militarizzazione, e di conseguenze le cominciarono subito a mancare munizioni, fucili ed artiglieria, per non parlare della copertura aerea che mai ricevette durante gli assalti. Così José andò a Parigi prima e a Bruxelles poi, alla disperata ricerca di armi e di munizioni per la colonna. A complicare le cose, un centinaio di miliziani, proprio mentre si stabilizzava il fronte di Teruel, lasciò la colonna e se ne andò nelle retrovie. Il comitato di guerra li considerò disertori, mentre Pellicer si rifiutò di andare al di là della loro espulsione pubblica dal reparto. Per lui infatti un anarchico non poteva mai esercitare, per nessuna ragione, violenza alcuna su un compagno. I dirigenti della CNT decisero allora di "lasciare soli i rivoluzionari davanti alla legalità repubblicana ricostruita e armata." Il risultato fu il massacro del 30 dicembre a Vinalesa, in Plaza de Tetuan, dove anche Pellicer rimase ferito; prefigurazione di quello che sarebbe successo nel maggio del 1937 nelle strade e nelle piazze di Barcellona: trenta anarchici vennero assassinati, ed ottanta rimasero feriti, nel corso di una manifestazione di protesta. Fucilati dal ricostituito esercito repubblicano, senza che i rappresentati ‘ufficiali’ della CNT muovessero un dito per aiutarli. Anzi, i rivoluzionari si videro sottoposti dai loro stessi compagni a un vero e proprio linciaggio morale, quando in tanti sostennero che se essi avessero abbandonato il fronte per vendicarsi, avrebbero scatenato una guerra civile nel campo repubblicano, ed a quel punto i fascisti avrebbero vinto facilmente.
Fu in un plenum delle colonne confederali convocato dalla Columna de Hierro, Pellicer ed i suoi si resero conto che contrari alle militarizzazione, oltre a loro stessi, erano soltanto la ‘Tierra y Libertad’ e la 4° ‘Agrupacion della Durruti’, mentre tutte le altre colonne si erano piegate alle ‘circostanze’; la formula che avevano inventato Garcia Oliver, Federica Montseny e molti altri dirigenti della CNT, per cercare di spiegare il loro cedimento, ponendo agli uomini che combattevano sui vari fonti il consueto ricatto: ‘adeguarsi o scomparire’. In una tumultuosa riunione, alla fine Pellicer sostenne che la decisione doveva essere presa da un’assemblea. Per parteciparvi, la colonna venne sostituita sulla linea del fronte da altre unità confederali. A Valencia, in una grande assemblea, fu accettato di convertirsi in una brigata dell’Esercito Popolare, questa decisione fu presa mentre 92 membri della Columna de Hierro, fra cui il fratello di Pellicer, Pedro, erano ancora in carcere per i fatti di Vinalesa. Con la cassa della colonna venne fondato un settimanale, ‘Nosotros’, dotando così gli anarchici di Valencia di un organo di stampa proprio che poi divenne il punto di riferimento per tutti quei compagni che criticavano la svolta ‘ministerialista’ della CNT, gli opportunismi, i cedimenti, ed anche i tradimenti, di tanti che per molto tempo erano stati accanto a loro. Il gruppo ‘Nosotros’ fu disconosciuto dai vertici della FAI. Malgrado le enormi pressioni, non divenne mai un giornale filogovernativo, neanche di un governo dove sedevano dei compagni conosciuti. Con un processo rapidissimo di degenerazione, i rivoluzionari vennero sostituiti dai burocrati, e vennero così costretti a 'rifugiarsi' nei sindacati e nelle unità da combattimento in attesa di giorni migliori. Giorni che non vennero mai. Pellicer, malgrado l’opposizione di molti, fu nominato comandante della 83.a Brigata, quella che era stata l’antica colonna di Ferro. Ferito alla fine di luglio sul fronte di Teruel, mentre si curava nelle retrovie venne arrestato dai comunisti con le solite infamanti accuse. Venne trasferito prima nella Checa di Valmajor, a Barcellona, poi sulla nave prigione Uruguay, ed infine rinchiuso nel castello del Montjuic. Uscì dal carcere nel 1938 per essere relegato al comando di un battaglione della 129.a Brigata. Dopo la caduta della Catalogna, invece di attraversare assieme a tanti altri i Pirenei, passò nella regione del Centro alla ricerca dei fratelli. Negli ultimi giorni di guerra, divise i mille dollari che aveva rinvenuto nella cassa del sindacato fra gli operai rimasti, affinché questi potessero riuscire a fuggire, e non tenne per sé nemmeno un centesimo. Poi arrivò ad Alicante, dove attese assieme a tanti altri l’arrivo delle navi che avrebbero dovuto portare in salvo quelle migliaia di uomini e di donne in agonica attesa, e che non arrivarono mai. Alla fine riuscì a rintracciare i suoi due fratelli, ma era ormai troppo tardi per cercare di fuggire. Preso prigioniero dagli italiani, venne selvaggiamente torturato dai falangisti nelle segrete del castello di Santa Barbara. Varie volte lo misero al muro e fecero finta di fucilarlo. Non gli potevano perdonare di essere stato il comandante della ‘Columna de Hierro’, così decisero di ammazzarlo. Era l’8 di luglio del 1942, e quel giorno i fascisti lo portarono fin dentro al cimitero e lo misero contro il muro. Veniva fucilato assieme al fratello Pedro a cui era legato da un profondo affetto e con il quale aveva condiviso tutta quanta la sua avventura politica e umana e che non era riuscito a salvare. La raffica del plotone di esecuzione lo lasciò in piedi, e lui continuò a guardare fisso gli uomini che lo dovevano ammazzare, mentre il fratello agonizzava steso per terra. Allora l’ufficiale che aveva ordinato il fuoco si portò a pochi passi da José e gli sparò un solo colpo in piena fronte. Pellicer cadde al suolo e solo a quel punto l’ufficiale gli vuotò un intero caricatore nella schiena. Poi fu sepolto, mentre continuava a risuonare le scariche dei fucili dei plotoni di esecuzione che ammazzavano i tanti che, come lui, avevano osato ribellarsi.
fonte: di anarchici e anarchia
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