Le fotografie della rivoluzione spagnola - va detto - sono oramai immagini, per molti di noi, come impiantate nella memoria, e quasi date per scontate. Figure come quelle di Durruti che annota chissaccosa sul suo taccuino, oppure mentre sorride circondato dai suoi compagni, o Francisco Ascaso, fucile ad armaspalla, mentre chiacchera rilassato, fumando una sigaretta al caldo sole del luglio barcellonese, poco prima di farsi ammazzare. Poi, più di tutto, ci sono le immagini che fermano il proletariato militante spagnolo, le masse. Uomini e donne con berretti rosso e neri, sugli autobus, sui camion, o mentre mettono insieme, frettolosamente, mezzi blindati di fortuna, con scarabocchiate sulle fiancate CNT-FAI. Dopo 80 anni, quelle immagini riescono a comunicare, quasi con leggerezza, un senso di eccitazione, ma anche di spavalderia, di sfrontatezza, che continua ad essere del tutto palpabile. E poi ci sono film, registrazioni di discorsi fatti alla radio, manifesti, interviste, e libri, tanti libri. Sicuramente, la narrativa anarchica storica della Spagna è oramai assolutamente familiare quanto le fotografie: nei primi giorni, l'euforia rivoluzionaria, l'autonomia, poi, gradualmente, la repressione portata avanti dalle forze della sinistra e - la cosa peggiore - il "tradimento", percepito con nettezza, delle conquiste che la rivoluzione aveva ottenuto, a scapito di quegli anarchici che avrebbero dovuto saperlo bene quello che stava succedendo, ma che credettero la priorità fosse la lotta contro il fascismo, e non la rivoluzione sociale. Non ci dovrebbe essere bisogno di sapere altro.
Il fumo della Spagna rimane sospeso, ancora oggi, su quello che continua ad essere chiamato "anarchismo", sulla testa anche di coloro che vorrebbero negare che quanto accadde allora abbia una qualche rilevanza sul mondo di oggi. Per qualcuno, allora, fu la fine di qualcosa, fu l'andare fuori dalla casa comune della sinistra. Senza arrivare a dire quello che George Woodcock ha sostenuto per molti anni, che l'anarchismo è morto nel 1939, molti pensarono che quanto meno un certo tipo di anarchismo lo era. Meno drammaticamente, altri provarono a spiegare, e a spiegarsi, le circostanze in cui la CNT-FAI si era venuta a trovare, cercando di esaminare attentamente ogni decisione presa da quelle organizzazioni. Altri, ancora, si sono ossessivamente fissati su quegli eventi: cosa andò storto? Si poteva agire diversamente? Qualcuno ha speso la sua vita a cercare di rispondere a questo genere di domande. E ancora continua a farlo. Giusto o sbagliato che sia, molti hanno visto quello spagnolo, come l'unico periodo di tempo in cui gli anarchici sono riusciti ad attuare dei cambiamenti nella vita di tutti i giorni di moltissime persone e queste persone - cosa più importante - sostenevano quel cambiamento. In alcune parti della Spagna, ci furono anarchici che affrontarono l'esercito e vinsero, e per molti, quella vittoria portò a dei cambiamenti nelle relazioni personali, e nell'economia, che fino a poco tempo prima erano solo stati sognati. Il capitalismo era stato distrutto, il sogno si era avverato. Discussioni, articoli, assemblee, anni di esilio e di prigione; tutto questo non era stato invano. Eppure, siamo ancora a chiederci cosa andò storto. C'era un qualche difetto intrinseco che, come era successo col bolscevismo, portava ad un vicolo cieco, a perdere tutto, ad anni di esilio, repressione e resistenza?
La CNT-FAI, un paio d'anni prima, nel 1934, non era certo un raggruppamento ingenuo formato da anime belle guidate dalla purezza, dalla rettitudine e dalla convinzione della superiorità morale della loro "missione". Era un'organizzazione tosta, scolpita da quella che era l'esperienza dei suoi militanti in fatto di scioperi, insurrezioni, incarcerazioni, esilio, attività culturali e vite passate nei quartieri operai e nei villaggi contadini della Spagna ed altrove. Aveva una percezione coerente di quello che era il capitalismo in Spagna e nel mondo ed aveva piena consapevolezza della natura delle forze cui si opponeva. Aveva le sue leggende, e le sue storie, che pesavano tremendamente sulle decisioni ed era un gruppo assai complesso che andrebbe visto non come omogeneo, bensì come plurale, in cui i membri decidevano secondo le situazioni in cui l'organizzazione si veniva a trovare e adottando le strategie che ritenevano necessarie. Molti membri, di qualsivoglia tendenza, erano ferocemente leali verso l'organizzazione e verso i compagni che avevano perduto. Una volta, Garcia Oliver, disse che la CNT era "un'enorme tomba che conteneva tutti quei sognatori, in gran parte anonimi, che credevano di stare lottando per la rivoluzione sociale."
Nel 1934, la politica della "ginnastica rivoluzionaria", seguita a partire dal 1932, si era rivelata un fallimento. L'idea che i ripetuti e continui appelli all'insurrezione avrebbero creato una coscienza circa la natura repressiva dello stato, una crescente fiducia nella classe operaia, ed una serie di insurrezioni fallite, avevano lasciato esausta la CNT-FAI, con alcuni dei suoi più coraggiosi militanti in prigione, e con un'organizzazione sostanzialmente disarmata. La tattica in sé, non era nuova per l'anarchismo: Cafiero aveva scritto nel 1860 che "Sono le idee che nascono dai fatti, ed hanno bisogno di azioni, in modo da svilupparsi, al punto che possano ispirare altri atti". Ma questa semplice strategia non aveva funzionato. Bisogna comunque pensare che l'esperienza di quelle insurrezioni fornì, in qualche modo, la fiducia e l'abilità tattica che permise di affrontare l'esercito e vincere, a Barcellona. Ad ogni modo, la mossa di allontanarsi dalla politica insurrezionale fu una decisione pratica, non morale. Ed il passaggio alle Commissioni di Difesa servì ad iniziare e a sostenere la rivoluzione spagnola, in una maniera sorprendentemente ampia. C'era ora un'organizzazione, tutte le cui tendenze, comunque le si vogliano definire, capivano che la loro unica ragione di esistenza era quella di trovare la strada migliore per distruggere il capitalismo e realizzare il comunismo libertario. Agenti coscienti del cambiamento che non aspettavano passivamente che avvenisse, o che si verificassero degli eventi cui reagire. Era assai più di un sindacato! La si poteva trovare in ogni aspetto della vita della classe operaia, nelle attività sociali, nella sua letteratura e nella sua cultura, nella sua educazione e nei suoi rapporti interpersonali. Quando si parla del fatto che i Comitati di Difesa erano l'organizzazione armata della CNT, si sta dicendo che questi gruppi erano i comitati di difesa dei quartieri proletari di cui erano parte. Molti membri dei Comitati di Difesa erano cresciuti nelle aree che rappresentavano, conoscevano gli amici ed i nemici del movimento rivoluzionario e conoscevano lo stato d'animo degli abitanti dei loro quartieri. Avevano partecipato a scioperi dell'affitto, avevano aiutato a resistere agli sfratti, avevano supportato finanziariamente le famiglie nei momenti peggiori ed avevano tenuto bassi i prezzi dei commercianti avidi, insieme a tutta una serie di altre attività. Sapevano le sconfitte le piccole vittorie che costituiscono la vita della classe operaia, e quando arrivò il 19 luglio entrarono subito in azione, con l'aiuto di tutti quegli operai che conoscevano e della cui comunità erano parte. Era una risposta pianificata e preparata, pure nel caos della situazione. Nel giro di una manciata di giorni, le strade erano in mano dei Comitati di Difesa. Ne avevano le competenze, il supporto ed il ... potere!
E' nel 1937 che ormai è chiaro che le tensioni nella CNT si sono risolte ormai in due chiare posizioni, le quali hanno sgombrato il campo da qualsiasi altra eventuale precedente tendenza precedente. Ora, come mai prima, le differenze fra la CNT e la FAI sono del tutto irrilevanti. Il conflitto ideologico dentro l'organizzazione è fra i rivoluzionari e coloro che vogliono collaborare con gli altri gruppi e partiti. C'è una forte tensione fra chi sente che la lotta principale è quella per mantenere ed estendere il comunismo libertario e chi ritiene che la battaglia principale sia invece quella contro il fascismo, e che i cambiamenti rivoluzionari debbano essere posposti fino al momento in cui tale battaglia non verrà vinta. Molti di questi ultimi si ritrovano in quelli che venivano chiamati i "comitati superiori" della CNT. Quando De Santillán parla di essere in una modalità collaborativa, si può forse capire la posizione di gente come lui, come la Montseny ed altri che vedono la lotta contro il fascismo come momento centrale di tutte le azioni e strategie. C'è una certa logica. Quello che rimane difficile da capire, invece, è la loro assoluta incapacità a vedere l'enorme potenziale dei "Comitati di Difesa", come riesce difficile giustificare la loro evidente complicità con gli stalinisti, quando questi ed i loro amici si riferiscono ai Comitati come "banditi e gangster", e quando liquidano come "incontrollabili" tutti quelli che rifiutano di arrendersi alla supremazia della guerra contro il fascismo. Non va però dimenticata, in questo quadro, l'estrema lealtà dei Comitati di Difesa nei confronti della CNT-FAI: i "comitati superiori" continuarono ad esistere perché i Comitati di Difesa lo permisero! Troppo occupati per prendere parte al dibattito strategico sulla guerra, lasciarono il comando ai comitati superiori, i cui membri, cui non mancava un'eccessiva considerazione di sé, videro un vuoto che solo loro potevano riempire, e lo riempirono.
(dalla prefazione all'edizione inglese del libro di Agustín Guillamón, "Ready for Revolution The CNT Defense Committees in Barcelona, 1933–1938")
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