sabato 8 febbraio 2014

Elio

vittorini failla

Quando  nel  1922  in  Italia  ebbe  inizio  la  dittatura  fascista,  a  Siracusa la resistenza più decisa ed intransigente andò costituendosi intorno ai gruppi anarchici locali. Composti di artigiani, contadini,operai, studenti, in gran parte giovani e adolescenti, raccolsero quanti, dopo l’esperienza dolorosa della guerra del 1915-’18, cercavano una soluzione  radicale del problema sociale e delle guerre ricorrenti a scadenza sempre più ravvicinata.
In uno di  questi  gruppi  avemmo  con  noi  il  quattordicenne  Elio  Vittorini. Frequentava  allora  l’Istituto  Tecnico  siracusano  in cui  un  agguerrito gruppo  di  giovani  anarchici, Archimede  Grasso, Turiddu  Amenta, Michele  Gallo, Luciano  Miceli, alcune  allieve  della compagna Eva Balleriano che vi insegnava inglese,  ed altri, svolgevano intensa attività ideologica anarchica insieme ad una decisa agitazione antifascista che fronteggiava lo squadrismo che era apparso, come fenomeno concreto, a Siracusa, soltanto dopo che il fascismo era al governo.
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Elio Vittorini non ebbe bisogno di sforzi iniziatori perché la sua maturazione in  senso rivoluzionario e libertario era  avvenuta in lui attraverso l’esperienza della guerra che da noi si osservava quotidianamente sul mare prospiciente l’isola di Ortigia, con gli attacchi da parte dei sottomarini austro-tedeschi ai convogli di navi  alleate;  lo spettacolo dei naufraghi delle navi affondate e dei cadaveri alla deriva sospinti sugli scogli e sulle spiagge circostanti, confrontato con la retorica patriottarda  degli eroi dell’«armiamoci e partite» fecero  maturare precocemente molti di noi, allora meno che adolescenti. Elio ha descritto l’affondamento di una nave da lui osservato quando  aveva meno di dieci anni. Di famiglia tendente alla borghesia per la condizione del padre, capostazione, Elio scelse decisamente il suo posto tra i lavoratori con i quali aveva vissuto durante le peregrinazioni all’interno della Sicilia e che amava di amore spontaneo perché la sua famiglia, come le nostre, affondava le sue origini nel popolo lavoratore isolano. Lo spettacolo indecente, vile ed abietto di popolani, e studenti figli di popolani, in camicia nera al servizio degli ultimi rampolli della nobiltà (oggi estinta nel siracusano) e della borghesia, che si davano da fare, con la protezione governativa contro le sedi operaie e contadine, contro gli oppositori del fascismo, ci empiva di sdegno e volgevamo le spalle agli antifascisti, più o meno elettorali della vigilia, che ci  raccomandavano la rassegnazione. Intorno ai gruppi anarchici si strinsero tutti coloro che non volevano piegarsi al fascismo.
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Tra i ricordi di Vittorini che si affollano alla mia mente la gioia provata al confino, a Ventotene, durante l’ultima guerra, nell’avere tra le mani la copia  di   Conversazione in Sicilia meriterebbe  uno scritto particolare. Intorno a quest’opera si accanì il conformismo paludato di pseudo rivoluzionarismo  con  il  quale Elio dovrà ancora scontrarsi in avvenire. Però vi fu un’eccezione illustre. La maggior parte dei lavoratori che costituivano la collettività dei confinati ed internati politici di Ventotene sentirono subito che Elio era uno di loro, che esprimeva le loro stesse insofferenze e soprattutto non era «passatempo piccolo borghese» quel genere di letteratura. Conversazione in Sicilia fu certamente il romanzo più letto dai confinati di Ventotene negli anni 1940-’45.

- da: Alfonso Failla,  "Elio Vittorini con gli anarchici di Siracusa", in «Il Ponte», luglio-agosto 1973 -

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