A quanto pare, alla fine ci siamo arrivati all'abolizione del lavoro. Progressivamente, a poco a poco, travestita da disoccupazione sempre più crescente, sempre più di massa. E' questo l'unico modo in cui il capitalismo riesce a prendere atto dell'inutilità crescente del lavoro, al fine della produzione di valore. E se il lavoro non può essere più usato proficuamente, allora bisogna che, per salvare i profitti, una massa crescente di lavoratori venga restituita all'ozio. Solo che il capitale non ha alcuna intenzione di sopportare il peso di una tale massa; assai più vantaggioso, fare uso della competizione e della concorrenza, già sperimentata grazie alla progressiva diminuzione del lavoro, e grazie al suo incrementato potere produttivo. Così davanti ai nostri occhi si offre il paradosso per cui l'abolizione del lavoro, l'emancipazione dal lavoro, finisce per apparire come il suo contrario. L'emancipazione dal lavoro, il tempo a disposizione per il proprio libero sviluppo e per la propria libera attività, il tempo libero dal lavoro appare sotto forma di un'esistenza arida ed impoverita.
Un paradosso, e un circolo vizioso, per cui non sarebbe possibile emanciparsi dal lavoro, proprio perché non ci sono abbastanza posti di lavoro e salari:
"In primo luogo, dobbiamo aumentare i posti di lavoro ed aumentare i salari, di modo che così ci potremo sbarazzare poi dei posti di lavoro e dei salari. Dobbiamo aumentare la spesa dello Stato, di modo che così potremo poi abolire lo Stato. La gente non può pensare di liberarsi dal lavoro finché non avrà un salario sufficiente ad allontanare lo spettro della povertà. Abbiamo bisogno di più posti di lavoro, a salari più alti, prima che la gente possa considerare di farla finita con i posti di lavoro e con i salari." - Così recita l'ideologia di sinistra, e la coscienza dei lavoratori!
Un'esistenza arida ed impoverita, frutto della competizione e della concorrenza fra le classi, ha prodotto la sua ideologia necessaria al perpetuarsi della concorrenza, non solo fra le classi, ma anche all'interno di ciascuna classe. L'aumentata capacità produttiva del lavoro non porta solo molti capitalisti alla bancarotta ma fa sì che dove prima ci volevano cento lavoratori, ora ne basta uno. Gli altri novantanove devono competere, offrendo sé stessi alle condizioni più miserabili possibili, facendo abbassare sempre più il salario di quell'unico occupato. L'effetto è anche quello della dissoluzione e della disintegrazione delle associazioni di lavoratori, incapaci di ridurre la competizione, che invece continua ad aumentare, fino a coinvolgere le classi lavoratrici di tutte le nazioni dentro un unico mercato mondiale, in un quadro in cui la produttività del lavoro continua a crescere insieme alla competizione fra lavoratori. Il fatto per cui ora le classi lavoratrici di tutte le nazioni competano fra di loro, non fa altro che incrementare l'aumento della produttività e l'espulsione di milioni di lavoratori dal ciclo produttivo, e facendo altresì crescere la competizione per trovare un posto nel processo produttivo. Se non metteranno fine alla competizione, sarà la loro sopravvivenza fisica ad essere messa in discussione, e questa competizione può finire solo se si mette la parola fine al lavoro!
Solo un blog (qualunque cosa esso possa voler dire). Niente di più, niente di meno!
mercoledì 29 gennaio 2014
Riposatevi! (ovvero: la fine dell’eternità)
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