Nella terza sezione del suo "L'apoteosi del denaro", Robert Kurz affronta un problema che è stato discusso dai marxisti per quasi 80 anni: "è chiaro che, nel suo complesso, la percentuale di quei lavoratori improduttivi (dal punto di vista della produzione di plusvalore) che rappresentano solo il consumo sociale, cioè ‘un costo generale’, è in costante aumento."
Un altro modo di esprimere lo stesso concetto è quello di dire che una percentuale sempre maggiore del tempo totale di lavoro della società viene sprecata nel lavoro improduttivo; un problema sollevato da David Graeber, in un suo recente articolo sui "lavori-stronzata".
Nello stabilire se il lavoro se ne stia andando via, portando con sé anche il capitalismo, è giusto interrogarsi a proposito dell'esistenza, o meno, del lavoro improduttivo, e come quantificarlo. C'è da dire che definire tale categoria è sempre stato oltremodo difficile, così difficile che molti teorici, dopo un "paio di coltellate", hanno rinunciato a farlo. Nel 2007, Chris Harman ci provò in un suo saggio, “The rate of profit and the world today”, nel quale fa riferimento a numerosi "marxisti" che, prima di lui, si sono posti lo stesso problema:
"Moseley, Shaikh e Tonak, e Simon Mohun hanno tutti notato un'altra caratteristica dello sviluppo più recente del capitalismo - quello evidenziato da Kidron nel 1970. La crescente porzione "non-produttiva dell'economia."
Per gli economisti borghesi, semplicemente il problema non sussiste, dal momento che per loro è produttivo qualsiasi lavoro per cui si viene pagati, mentre per i "marxisti", anche quando riescono a mettersi d'accordo su una definizione dello stesso, al momento in cui devono passare a stimarne la quantità, il risultato varia in modo quasi selvaggio. Leggiamo Harman: "Fred Moseley stima che le cifre nel commercio, negli Stati Uniti, siano cresciute da 8,9 milioni a 21 milioni, fra il 1950 ed il 1980, e che le cifre nella finanza siano cresciute da 1,9 milioni a 5,2 milioni, mentre la forza lavoro produttiva è cresciuta solo da 28 a 40,3 milioni. Shaik e Tonak calcolano che la percentuale produttiva sul lavoro totale, sempre negli USA, sia scesa dal 57 al 36% negli anni fra il 1948 ed il 1989. Simon Mohun ha calcolato che la percentuale di salari improduttivi sia cresciuta del 35% nel 1964, ad oltre il 50% nel 2000. Kildron ha calcolato che, facendo uso della sua definizione ampia, "tre quinti del lavoro effettivamente svolto, negli Stati Uniti, nel 1970, era sprecato da punto di vista del capitale."
I teorici del lavoro sembrano essere tutti d'accordo sul fatto che molto lavoro svolto sia del tutto inutile e, quindi, potrebbe essere eliminato. Quello su cui non sono d'accordo riguarda alcune "piccole cose", come stabilire quale lavoro sia improduttivo, quanto di questo lavoro improduttivo esista nell'economia e in quale parte dell'economia tale lavoro improduttivo viene svolto. Insomma, non riescono a dirci nulla sul lavoro improduttivo, salvo che è un problema.
Kurz, nel 1995, ci ha provato, non a quantificare il problema empiricamente, ma a definirlo concettualmente. E pur fallendo, ha spostato significativamente il "pallino" sul biliardo della discussione: "La perdita d'importanza sociale dei settori industriali potrebbe risultare identica alla crisi e alla perdita d'importanza del mercato e del denaro, come forma generale di riproduzione capitalista." Che è come dire, in altre parole, che il peso crescente, in economia, del settore dei servizi - la proliferazione di quelli che Graeber chiama "lavori-stronzata" - potrebbe star segnalando la fine del capitalismo. Per la prima volta, un teorico del lavoro ha posto la questione del lavoro improduttivo dentro il contesto di una discussione sul crollo imminente del capitalismo! Le discussioni precedenti sul problema si erano sempre collocate all'interno della cosiddetta "tesi della stagnazione" - l'idea che il tasso di crescita capitalista stesse rallentando (divertente constatare come in tale tesi si siano rifugiati gli economisti borghesi, come Larry Summers). Il livello, insomma, era quello che si può leggere sempre in Harman:
"L'intervento statale per mitigare la crisi può solo prolungarla indefinitivamente. Questo non significa che l'economia mondiale è destinata semplicemente al declino. Una tendenza complessiva alla stagnazione può ancora essere accompagnata da piccoli 'boom'. con piccoli ma temporanei incrementi dell'occupazione. Ognuno di questi piccoli 'boom', comunque, riesce solo ad aggravare i problemi di un sistema che nel suo complesso risulta essere in una stagnazione generale, ed una devastazione estrema per settori particolari del sistema stesso."
Mentre Harman ha utilizzato la massa crescente di lavoro improduttivo per rendere conto del rallentamento del tasso di crescita dell'economia capitalista, Kurz lo utilizza per illustrare la sua tesi che il capitalismo è già entrato nella fase finale della sua data di scadenza. Per spiegare il problema posto dalla massa crescente di lavoro improduttivo in economia, Kurz parte dalla discussione sulla nozione di lavoro improduttivo, il quale inizialmente definisce solo l'opposto del lavoro produttivo. Si scopre così che, dal punto di vista del modo di produzione capitalista, tutto il lavoro che veniva svolto all'interno dei precedenti modi di produzione (feudale, ecc.) è improduttivo in senso capitalista. Infatti, dice Kurz, dal punto di vista del capitale, il lavoro svolto nei precedenti modi di produzione non può essere definito lavoro nel senso del termine usato dai teorici del lavoro, oggi. Ciò che noi chiamiamo lavoro è specifico al modo di produzione capitalista e non va confuso con la produzione di oggetti utili. Inoltre, Kurz, seguendo Marx, afferma:
"All'interno di quest'ultimo sistema, tutta l'attività svolta in cambio di denaro, o che si situa all'interno del contesto della valorizzazione del denaro, è formalmente 'lavoro astratto'. Ma questo non significa che lo sia anche in un senso sostanziale. In senso sostanziale, il lavoro astratto, cioè il lavoro il cui dispendio di energie spinge realmente la riproduzione capitalista, è solo lavoro 'produttivo' (produce capitale) che crea effettivamente plusvalore."
Solo che c'è un problema: laffuori esiste un bel po' di lavoro che produce profitto, e non produce necessariamente plusvalore. Ossia, Marx, all'inizio del Capitale, spiega che non tutti gli oggetti che hanno un prezzo, hanno necessariamente un valore, e fa una lista di cose come "i territori vergini", "l'onore di una persona" e così via. Lo stesso avviene per il profitto: non tutto ciò che produce un profitto per il possessore di capitale, produce necessariamente un plusvalore. Prendiamo, per esempio, la "sicurezza" all'interno di una società d'impresa. Il lavoro di una guardia della sicurezza è un "costo generale" e rappresenta una perdita di una porzione di plusvalore. Ma se questo lavoro viene affidato ad una società di servizi di sicurezza, e quella società realizza un profitto vendendo servizi di sicurezza, il lavoro dei servizi di sicurezza, diventa produttivo? Risponde Kurz: "sì, e no!" Produttivo per la società di servizi che realizza un profitto, ma improduttivo per tutta l'economia. L'impresa capitalista può ridurre il costo della sicurezza, appaltandolo ad una società specializzata, e questa può realizzare un profitto riducendo i costi del lavoro (più telecamere e meno guardie), ma il costo totale della sicurezza va sempre sottratto dal volume totale del plusvalore prodotto dal capitale sociale totale. Ovviamente, poi, questo "costo generale" per la sicurezza, a sua volta si riverbera sulle società d'impresa capitalista specializzate in apparecchiature per la sicurezza. Come dire che i rapporti di produzione capitalista sono talmente intricati che è impossibile distinguere fra lavoro produttivo e lavoro improduttivo.
Kurz suggerisce perciò di pensare al capitalismo come ad un completo sistema di circolazione: "Quale, allora, è il criterio decisivo per determinare concettualmente sul piano del capitale complessivo (cioè, dopo aver eliminato la distorsione che tipicamente accompagna il punto di vista del capitale particolare) quale lavoro sia o non sia produttivo? ... Una definizione di lavoro produttivo, in riferimento al processo di mediazione della riproduzione capitalista vista come un intero, può presentarsi, in ultima istanza, solo nei termini della teoria della circolazione. In altre parole: è produttivo solo quel lavoro i cui prodotti (così come i suoi costi di riproduzione) ritornano al processo di accumulazione del capitale. Per capire il problema del lavoro improduttivo in un'economia capitalista, dice Kurz, dobbiamo pensare non solo in termini di produzione di valore, ma anche in che misura questo nuovo valore prodotto, trova la strada per tornare ad esser parte della riproduzione del capitale su larga scala. La circolazione del valore consumato produttivamente non finisce con il suo immediato consumo, ma riappare dentro la circolazione capitalista come lavoro produttivo supplementare" (E' facile qui pensare all'industria dei rifiuti, alla raccolta differenziata, ecc.).
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