«Il capitale è la contraddizione in movimento, in cui esso spinge a ridurre il tempo di lavoro al minimo, mentre, dall’ altro lato, pone il tempo di lavoro come unica misura e fonte di ricchezza.»
- Marx, Grundrisse -
Fra le tante cose che mi è capitato di leggere in rete ultimamente, c'è questa discussione, riportata su Playtipus; "interpretazioni radicali dell'attuale crisi", partecipanti Loren Goldner, David Harvey, Andrew Kliman e Paul Mattick jr.. Fra l'altro, Kliman sembrava essere lì solo allo scopo di promuovere il suo noioso libro a proposito del fallimento della produzione capitalista, in cui insiste sul fatto che la crisi sarebbe il risultato di una caduta del saggio di profitto. Come dire che, considerato che tutte le crisi sono il risultato di una caduta del saggio di profitto, questa è una crisi come un'altra ; e su questo sembra assai contento di continuare ad argomentare. Anche Harvey, da parte sua, sembra preoccupato di promuovere il suo libro, dove ci spiega che le crisi del capitale non si risolvono mai, fondamentalmente, ma semplicemente si spostano. Loren Goldner, invece, ha da dire qualcosa di decisamente interessante a proposito di quello che lui chiama un "processo generale di non-riproduzione"; qualcosa che sembra riferirsi all'espansione del tempo di lavoro superfluo, visto come tratto distintivo della crisi attuale. Ma è Paul Mattick jr., ad aver attratto principalmente la mia attenzione quando, alla domanda "Perché le sofisticate analisi del mondo, fatte dalla sinistra, sembrano incapaci di aiutare il tentativo di cambiarlo?", risponde che i teorici non cambiano il mondo, sono le società a farlo!
"Non è una cosa particolarmente misteriosa" - aggiunge - "Il cambiamento del mondo richiede l'azione collettiva di un numero molto grande di persone.". E poi continua:
"Se la rivoluzione proletaria richiedesse una solida conoscenza del Capitale di Marx insieme, per esempio, ad una corretta comprensione della trasformazione del valore in prezzi, da parte delle suddette grandi masse, sarebbe difficile immaginare come una tale rivoluzione potrebbe mai avere luogo. Per fortuna, non è in questo modo che i movimenti sociali avvengono."
Nessuna società ha mai fatto una rivoluzione in base di una qualche teoria, e non sarà così certamente nemmeno per la rivoluzione proletaria. Al contrario, se una rivoluzione sociale non c'è stata, la responsabilità non è della teoria, ma della società stessa. Il fatto che non ci sia stata una sola rivoluzione vittoriosa, negli ultimo 80 anni, in un qualsiasi paese avanzato, va imputato alla società, non alla "sinistra". La "sinistra" - conclude Mattick - ha un'opinione decisamente troppo elevata di sé stessa, per poter pensare che i suoi fallimenti abbiano potuto impedire la rivoluzione.
I teorici, come Marx, passano la più parte del loro tempo a cercare di stare al passo con i processi di trasformazione sociale. Lungi dall'essere una guida per la società, la teoria attraversa parecchie difficoltà anche solo per rimanere al passo con tutto quanto la società ha già introiettato. Il capitale non è qualcosa di statico, come intende Kliman, dove ci si trova sempre, ed eternamente, a confrontarsi con il medesimo identico ciclo di crescita e crisi. Ma è una relazione sociale vivente, che si è evolve in continuazione, le cui caratteristiche vanno colte in quanto movimento storico continuo della società. Il problema risiede nel fatto che la trasformazione sociale non è un processo cosciente, ed in nessun modo è diretto verso ciò che dovrebbe essere il suo inevitabile risultato: il comunismo. Così come nessun capitalista ha da comprendere quel che Marx ha scritto nel Capitale per poter intraprendere la "missione storica" del suo modo di produzione di incrementare le forze produttive della società. I capitalisti realizzano la loro missione storica senza che abbiano mai compreso il significato delle loro azioni.
"Questo non significa" - spiega Mattick - " che il capitalismo sia un sistema privo di un agente umano". Significa semplicemente che gli scopi reali degli individui non sono in alcun modo quegli scopi che il processo di trasformazione sociale mette loro davanti. In parole povere, la società non decide di creare il comunismo. Il comunismo può essere solo la conseguenza non intenzionale di quelli che sono gli scopi attuali degli individui.
Il comunismo è semplicemente il non-lavoro per i lavoratori, ma lo scopo dei lavoratori non è il tempo fuori dal lavoro: il loro scopo attuale è dato dal fatto che, per loro, la vendita della loro forza lavoro è la premessa per potersi assicurare i mezzi per vivere; e non l'abolizione del lavoro. Anzi, in tal senso, l'abolizione del lavoro è una minaccia per tale scopo, ed appare loro come uno scopo del capitalista per ridurre la spesa, di lavoro vivo, nella produzione. Mentre, invece, l'abolizione del lavoro non è affatto lo scopo del capitale: il capitalista non vorrebbe abolire il lavoro, ma solo il lavoro pagato. La lotta fra capitale e lavoro si è ridotta così alla lotta fra lavoro pagato e lavoro non pagato. Una relazione che riduce continuamente, e sempre più, sia la massa totale di lavoro costituita dal lavoro pagato e da quello non pagato, sia le singole quantità di lavoro pagato e lavoro non pagato. Mentre il rapporto fra lavoro non pagato e quello pagato può cambiare, nel tempo, il totale della loro somma continua a diminuire. Un processo, questo, che non richiede che la società capisca quello che sta facendo. Il lavoro può essere abolito, ed il lavoratore liberato dalla sua schiavitù salariale, anche senza che questo sia l'obiettivo del lavoratore, o del capitalista.
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