mercoledì 3 luglio 2024

Rivoluzionari !!

Mi sto facendo sempre più persuaso che – a partire dal fatto che proprio in quanto, riferiti ai due, esistano sia più "marxismi" che più "bordighismi" - anche per Amedeo Bordiga, come per Karl Marx, si possa parlare di un suo pensiero esoterico, e di uno essoterico in contraddizione al primo.

martedì 2 luglio 2024

Il “Bullo del Quartiere” !!

Dal 1983 al 1986, Dylan si riavvicina alla religione ebraica, frequentando saltuariamente gli incontri della Chabad Lubavitch, una setta hassidica ortodossa con sede a Brooklyn, nel quartiere di Crown Heights. Nel mese di settembre del 1983 compie un viaggio in Israele in occasione del bar mitzvah di suo figlio Jesse (la copertina di "Infidels" include una fotografia, scattata da Sara Dylan, che vede Bob Dylan su una delle colline di Gerusalemme.). Il ”bullo del quartiere”, naturalmente, vuole essere Israele vista dagli occhi degli stati arabi confinanti. La distruzione della ”fabbrica di bombe” si riferisce al bombardamento dell’impianto nucleare iracheno di Osirak da parte dell’aviazione israeliana il 7 giugno 1981.

Neighborhood Bully
- di Bob Dylan -

Il bullo del quartiere è solo un uomo, i suoi nemici dicono che si trova sul loro territorio.
In proporzione lo sovrastano di un milione a uno, non ha nessun posto dove scappare, non ha dove andare.

È il bullo del quartiere.

Il bullo del quartiere vive solo per sopravvivere. Viene criticato, e condannato, per il solo fatto che è vivo. Loro ritengono che non dovrebbe reagire e che la sua pelle sia abbastanza dura per poterlo fare. E che quando gli buttano giù a calci , farebbe bene a sdraiarsi e a morire.

Lui è il bullo del quartiere.

Il bullo del quartiere è stato scacciato da ogni e qualsiasi terra. E ora gironzola come un esiliato.
Ha visto dispersa e sparpagliata la propria famiglia, e il suo popolo braccato e massacrato.
Per metterlo sotto processo, è sempre bastata l'accusa di essere nato.

È il bullo del quartiere.

Be', quando ha sbaragliato una folla che lo voleva linciare, è stato criticato.
Alcune vecchie signore lo hanno disapprovato, dicendo che avrebbe dovuto scusarsi.
Allora lui ha distrutto una fabbrica di bombe, e la cosa non è piaciuta a nessuno.
Le bombe erano destinate a lui. Avrebbe dovuto sentirsi in colpa.

È il bullo del quartiere.

Bisogna dire che ha ben poche chance e le probabilità sono contro di lui.
Anche se accettasse di vivere con le regole che il mondo gli impone,
al suo collo c’è un cappio, e un fucile è puntato alla sua schiena.
E la licenza di ucciderlo è già stata concessa a qualsiasi pazzo e a ogni maniaco.

È il bullo del quartiere.

Tuttavia, non ha alcun alleato con con cui possa davvero parlare.
Tutto ciò  che riceve deve pagarlo, non lo ottiene per amore.
Compra vecchie armi obsolete che non gli vengono negate.
Ma nessuno gli manda carne e sangue per combattere al suo fianco.

È il bullo del quartiere.

Tutt'intorno a lui, pacifisti che vogliono la pace.
Ogni notte, pregano perché lo spargimento di sangue abbia subito fine.
Non farebbero male a una mosca, per ottenerlo, e piangerebbero se ciò avvenisse.
Così, restano nascosti e aspettano che questo bullo cada addormentato.

È il bullo del quartiere.

Ogni impero che l’ha reso schiavo è caduto ed è scomparso.
L'Egitto e Roma, e anche la grande Babilonia.
Nelle sabbie del deserto, lui ha creato un giardino paradisiaco.
Lui non trama con nessuno, non obbedisce a nessuno.

È il bullo del quartiere.

Ora, tutti i suoi libri più sacri sono stati calpestati.
Nessuno dei contratti che ha firmato, valeva per quello che c’era scritto.
Ha raccolto le briciole del mondo e le le ha tramutate in ricchezza.
Ha contratto malattie e infermità, e trasformandole in salute.

È il bullo del quartiere.

Quale debito, qualcuno avrebbe con lui? Nessun debito, dicono.
A lui piace solo scatenare guerre. Anzi, orgoglio e pregiudizio, e superstizione.
Aspettano tutti questo bullo, come fa un cane che aspetta il cibo.

È il bullo del quartiere.

Cosa mai ha fatto per sfoggiare così tante cicatrici?
Ha modificato il corso dei fiumi? Ha contaminato la luna e le stelle?
Bullo del quartiere, dritto in piedi sulla collina.
Il tempo sta per scadere, il tempo si è fermato.

Bullo del quartiere.

- Bob Dylan - "Neighborhood Bull", in "Infidels" , 1983 -

Tutti i futuri possibili…

«Sono incappato per la prima volta nella frase che uso come epigrafe» - scrive Ben Lerner nella sezione "Ringraziamenti" del suo romanzo del 2014, "10:04: A Novel" (in italiano, "Nel mondo a venire". Sellerio,2018) - «leggendo "Coming Community", di Giorgio Agamben, tradotto in italiano da Michael Hardt. Citazione che viene generalmente attribuita a Walter Benjamin». Il testo dell'epigrafe di Lerner è il seguente: «Fra gli chassidim si racconta una storia sul mondo a venire, che dice: là tutto sarà proprio come è qui. Come ora è la nostra stanza, così sarà nel mondo a venire; dove ora dorme il nostro bambino, là dormirà anche nell’altro mondo. E quello che indossiamo in questo mondo, lo porteremo addosso anche là. Tutto sarà com’è ora, solo un po’ diverso». Fin dall'inizio del suo libro del 1990, "La Comunità che viene" - già nella seconda sezione, dal titolo "Dal Limbo" - Agamben parla di bambini a partire da Tommaso d'Aquino, commentando che «secondo il teologo, infatti, la pena degli infanti non battezzati, che sono morti senz’altra colpa che il peccato originale, non può essere una pena afflittiva, come quella dell’inferno, ma unicamente una pena privativa, che consiste nella perpetua carenza della visione di Dio». Una "carenza", o "vuoto" che si espande all'infinito per tutta l'eternità. Questi bambini senza battesimo rimangono come sospesi, congelati in un'ambivalenza: come se fossero delle lettere rimaste senza destinatario - scrive Agamben - questi risorti sono rimasti a loro volta senza destino. Né beati come gli eletti, né disperati come i dannati, essi sono carichi di una letizia per sempre inesitabile: né eletti né condannati, essi sono carichi di una gioia che non finisce mai, che non si esaurisce mai (detta in termini più letterali, che non può essere venduta). Come commento alla parola "risorti", usata da Agamben per riferirsi ai bambini nel limbo: essa non è solo legata ai "risorti", ma mantiene anche un legame etimologico con l'idea di coloro che dipendono da una certa giurisdizione, o che cercano rifugio o asilo (ressort, ressortum, resortire).

Alla fine del suo romanzo, "Nel mondo a venire", Ben Lerner ritorna sull'inizio e spiega il testo che compariva in apertura, in epigrafe - una specie di performance ermeneutica che ripete il tema principale del libro: l' affermazione secondo cui il senso non ci viene mai offerto del tutto e, quando lo si fa (anche se in modo provvisorio e incompleto), ciò avviene sempre retrospettivamente ("comprendere" è giocare con il tempo: stare nel futuro che si è fatto presente e, da questa posizione impossibile, ripescare dal passato tutti i "futuri possibili", tutte le proiezioni e tutti i tentativi che sono stati pianificati/elaborati, promuovendo una comparazione con questo futuro che si è trasformato in presente). Tramite una rapida ricostruzione della genealogia dell'epigrafe (un racconto trovato in un libro di Agamben, solitamente attribuito a Walter Benjamin), Lerner costringe il lettore a rileggere l'epigrafe e forse, perché no, tutto il romanzo. Ovviamente Lerner non offre una versione completa della storia - egli si limita a mettere in campo questi due riferimenti – Agamben & Benjamin - omettendo però gli altri due nomi citati da Agamben in "La comunità che viene": Walter Benjamin aveva appreso da Gershom Scholem una "parabola sul regno messianico" , e l'aveva raccontata a Ernst Bloch; e quest'ultimo aveva poi incorporato la storia nel suo libro del 1930 "Spuren" ("tracce", "tracciati", "indizi", in italiano "Tracce", Garzanti 2006).

Ancora una volta, la cronologia viene rimescolata, e così attraverso la manifestazione di un esempio (una storia, a proposito della creazione discorsiva di un mondo possibile) ecco che viene veicolata una sorta di versione riassuntiva dell'argomento: il passato è ciò che accade - quando narriamo, nella posizione impossibile del presente - i vari futuri immaginati un tempo: «Tutto sarà com’è ora, solo un po’ diverso». Così facendo, Lerner utilizza per tutto il romanzo la frase finale del racconto in epigrafe, e lo fa tornando alla fonte (Walter Benjamin - anche se non si tratta esattamente di un "ritorno", dal momento che, per quanto non venga nominato, solo alla fine (nei "Ringraziamenti") veniamo a sapere che quello in epigrafe è Benjamin: nel momento in cui nell'indice delle illustrazioni cita l'Angelus Novus di Klee dalle Tesi sul concetto di storia - «Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle (Walter Benjamin).» - un'immagine questa che nel suo romanzo viene avvicinata, da Lerner, al personaggio di Marty McFly, nel film "Ritorno al futuro": l'angelo di Benjamin, spinto in avanti dai venti del progresso si trasforma, così, in una figura del cinema, in qualcosa che riguarda direttamente la traiettoria del narratore (un film dell'adolescenza...)

fonte: Um túnel no fim da luz

lunedì 1 luglio 2024

JOSEPH GABEL E L'«ANTISIONISMO» COME FALSA COSCIENZA

Joseph Gabel (1912-2004) è stato uno psichiatra, sociologo e filosofo francese di origine ungherese appartenente al campo del marxismo tradizionale eterodosso. Ammirato da Guy Debord, il suo capolavoro, "La Fausse Conscience" ["La falsa coscienza. Saggio sulla reificazione", Dedalo, 1967] , è stato una delle principali fonti di ispirazione della sinistra rivoluzionaria degli anni 1960-1970. I principali lavori di Gabel hanno sviluppato le sue idee sulla coscienza reificata, sulle false identificazioni e sulla causalità "pre-dialettica", applicandole a un'ampia varietà di questioni, che vanno dalle riflessioni sulle opere di Swift e Kafka al totalitarismo, al maccartismo, alla sociologia della conoscenza, alla "sociologia della religione" di Max Weber, al rapporto tra Althusser e lo stalinismo, e così via. Finora non c'è stato alcun lavoro che abbia messo a confronto il paradigma della coscienza reificata di Gabel con la Critica della dissociazione del valore e con la sua nuova teoria critica della forma del soggetto moderno; in particolare con i saggi di Robert Kurz, "Grigio è l'albero d'oro della vita, e la teoria è verde", e con quelli di Sandrine Aumercier e Frank Grohmann, "Quel sujet pour la théorie critique? Aiguiser Marx et Freud"
Quello che segue, invece, qui pubblicato, è un testo apparso nel 1988 sulla rivista "Prétentaine", diretta da Jean-Marie Brohm; e ora è qui come un fulmine nel cielo troppo sereno dell'antisionismo (falsa coscienza).
    

L'antisionismo come ideologia nel senso marxista del termine
- di Joseph Gabel -

Questo articolo non è una difesa politica in favore dell'idea sionista. Il suo fine (più scientifico che politico) è quello di mostrare come l'antisionismo comporti una dimensione "ideologica", intesa nel senso marxista (vale a dire, critico) del termine. Il concetto di ideologia possiede un significato un po' ambiguo. A volte si riferisce, pur senza averne la minima intenzione critica, all'insieme delle teorie di un movimento politico, quando invece per i marxisti questo concetto rimane innanzitutto critico. Secondo Friedrich Engels, «L'ideologia è un processo che il cosiddetto pensatore compie senza dubbio con coscienza, ma con una coscienza falsa.» [*1]. I due aspetti principali di tale falsa coscienza sono, per alcuni teorici marxisti, l'anti-storicismo e la falsa identificazione. Sotto la firma del giovane Marx, si può leggere che «quasi tutta l'ideologia si riduce, o a una concezione falsata di questa storia o a un'astrazione completa da essa. L'ideologia stessa, è soltanto uno dei lati di questa storia» [*2]. Questo punto di vista storicista, fa di Marx un precursore del geniale romanzo "1984" di George Orwell. Per quel che riguarda «la falsa identificazione ideologica», il filosofo marxista ungherese Bèla Fogarasi ha riservato un capitolo del suo libro "Marxismo e Logica" [*3], pubblicato a Budapest nel 1946.

Secondo questo marxista ungherese [*4], «la falsa identificazione, vale a dire l'identificazione arbitraria delle opposizioni e delle differenze, costituisce uno dei principali strumenti di un'ideologia anti-dialettica». Questo punto di vista verrà successivamente adottato da Theodor W. Adorno. Béla Fogarasi cita come esempio (pag.74 del suo libro) quello di una «falsa identificazione» messa in atto dalla stampa di destra a quell'epoca: « comunismo = fascismo ». Il teorico francese Alain Dieckhoff, autore di una tesi che criticava l'accusa di razzismo formulata contro il sionismo, utilizza come sinonimo il termine più seducente di «equazione perversa». Questo concetto di equiparazione perversa comporta un'importanza filosofica. Secondo Theodor W. Adorno, che ha fatto sua la principale idea di Bèla Fogarasi, «la dialettica rappresenta la coscienza rigorosa della non-identità» [*5]. Queste conclusioni di Bèla Fogarasi e di Theodor W.Adorno evidenziano i coefficienti di de-dialettizzazione della (falsa) coscienza totalitaria. In un libro del professor Jacques d'Hondt - uno dei grandi specialisti francesi dl pensiero di G. W. F. Hegel - si può leggere che «la dialettica, nella sua battaglia [...], entra in conflitto con i pregiudizi, le abitudini e la parzialità» [*6]. La dialettica era dunque, già per Hegel, uno strumento di demistificazione. In psicopatologia, lo psichiatra americano Silvano Arieti (e anche l'autore di queste righe) ha sottolineato quello che, nella logica schizofrenica (nel «razionalismo morbido», secondo la terminologia suggerita dal dottor Eugéne Minkowski [*7]), è il ruolo svolto dall'abuso di identificazione. In un vecchio testo di Alfred Korzybski, si può leggere che «psichiatria ed esperienza comune ci insegnano che nei casi gravi di dementia precox troviamo l'identificazione più sviluppata» [*8].

Abbiamo qui uno dei denominatori comuni alla "logica" schizofrenica e a quella della falsa coscienza politica. L'anti-storicismo ne costituisce un altro comun denominatore, poiché secondo lo psichiatra sudamericano Honorio Delgado possiamo vedere che anche tra gli schizofrenici esista un anti-storicismo morboso [*9]. Tuttavia, questi due elementi comuni sia alla falsa coscienza che al razionalismo morboso - tanto all'equiparazione perversa quanto all'anti-storicismo - sono entrambi presenti nell'ideologia antisionista. Per alcuni antisionisti, il sionismo sarebbe una forma di colonialismo. Quanto alla negazione del genocidio (il revisionismo), anche questo fa parte dell'anti-storicismo ideologico denunciato dal passo di Marx citato all'inizio. Questa negazione del genocidio mette in discussione "I miti fondanti della politica israeliana", così come fa, in un suo recente libro, Roger Garaudy [*10]. L'antisionismo, in quanto ideologia, è pertanto anti-storicista e lo è nella misura in cui mette in dubbio i «miti fondatori dello Stato ebraico» (il genocidio), così come anche l'importante passato ebraico dello Stato di Israele [*11]. Come ideologia, ciò comporta anche quelle che sono delle equiparazioni perverse. Come, per esempio, l'equazione «sionismo=colonialismo», visto che il concetto di una «colonia senza metropoli» è un concetto ideologico assurdo. Tanto meno si può immaginare la rivendicazione della patria dei nostri antenati - da parte di una minoranza spesso discriminata - come se si trattasse della conquista, attuata da uno Stato potente, di un paese lontano sul quale non si ha alcun diritto storico. Si possono criticare entrambe le due cose, ma è assurdo identificarle. Non si può applicare lo stesso giudizio morale, sia nei confronti di un israelita che si è rifugiato nel paese dei suoi avi per sfuggire alla discriminazione, che nei confronti di un inglese vittoriano stabilitosi in India per dominare i nativi di quel paese. Probabilmente, l'equazione « sionismo= colonialismo » rappresenta il più tipico esempio della falsa identificazione ideologica denunciata da Béla Fogarasi e da Alain Dieckhoff.

La stessa cosa vale anche per la falsa equazione « sionismo=razzismo» [*12]. Un ebreo sionista non è affatto un razzista che si crede biologicamente superiore agi arabi e ai neri; egli ha semplicemente la pretesa di essere a loro uguale. Il fatto che nel 1822 sia stato fondato in Africa uno Stato nero indipendente, la cosa non è mai stata criticata come se si trattasse di un'impresa razzista. Così, la creazione, nel 1948, di uno stato ebraico avrebbe dovuto beneficiare della medesima tolleranza, visto che se il razzismo nei confronti dei neri è stato forse, ma non sempre, più duro di quello nei confronti degli ebrei, la minoranza nera, per fortuna, non è mai stata vittima di un genocidio, come lo sono stati gli ebrei. Avendo avuto, la minoranza nera, il diritto indiscusso di avere i propri Stati autonomi, la minoranza ebraica avrebbe dovuto anch’essa normalmente beneficiare di un simile diritto, la cui negazione prevede quindi una discreta dimensione razzista, dal momento che si basa su una concezione "manichea" dell'etnicità, secondo la quale invece esistono due tipi di gruppi etnici, quelli che hanno diritto a un'esistenza statale e quelli che devono accontentarsi di uno status di minoranza.

La teoria della falsa coscienza, costituisce forse il più importante contributo marxista alla sociologia; con ogni probabilità, un simile contributo è in grado di sopravvivere persino all'attuale naufragio del marxismo in ambito economico e politico. Secondo quest'aspetto (lukacciano e mannheimiano) della teoria marxista, il pensiero politico partigiano potrebbe includere una dimensione egocentrica [*13] e perfino delirante (schizofrenica)[*14], più o meno accentuato a seconda dei casi e che raggiunge il suo punto culminante nelle mentalità totalitarie. Alcune opere dedicate al problema del fanatismo politico -  tra le altre, quella di un autore greco come Gregoire Oikonomakos [*15] - sono a volte (senza usare questo termine) dei veri e propri saggi di falsa coscienza politica.

- Joseph Gabel -

NOTE:

[1] - Friedrich Engels, "Lettera a Franz Mehring del 4 luglio 1893", Marx ed Engels, "Opere scelte, Secondo Volume, Mosca.
[2] - Karl Marx e Friedrich Engels, "L'ideologia tedesca", Editori Riuniti
[3] - Béla (Adalbert) Fogarasi, "Marxzismus ès Logika", Budapest, Szikra, 1946. Capitolo sulla falsa identificazione, pp.70-75
[4] - Il problema della falsa coscienza è stato centrale in più di un marxista ungherese, come Béla Fogarasi, Georg Lukàcs e Paul Szende. In quest'ambito, il marxismo ungherese è parecchio vicino all'austro-marxismo. Avevo suggerito a tal proposito, il termine di  "ungaro-marxismo" (un marxismo dialettico e de-stalinizzante) Cfr.: gli articoli di questi tre autori nella seconda edizione del "Dictionnaire des Philosophes" (sotto la direzione di Denis Huismans), Pris, PUF, 1984.
[5] - Theodor W. Adorno, Dialettica negativa, Einaudi.
[6] - Jacques d'Ondt, Hegel et l'hégélianisme, Paris, PUF, serie « Que sais-je? », 1982.
[7] - Cfr.: Silvano Arieti, "Interpretazion of Schizophrenia", International Psychotherapy Institute, p.232 («orgia di identificazioni»). Cfr.: Joseph Gabel, "Exemple clinique de logique réifiée", in Ètudes dialectiques, Paris 1990, pp.89-99. L'originale spagnolo di questo articolo è stato pubblicato in Actos Luso-Espanolas de Neurologia e Psiquiatria, nel 1949.
[8] - Alfred Korzybski, "Science and Sanity", Lakeville (Connecticut). The International Non-Aristotelian Library Publishing Company, 1932, p.568.
[9] - Honorio Delgado, "Anormalidades de la cosciencia del tiempo", in Revista de Psiquatria y Psicologia Media de Europa y America Latinas, Barcellona gennaio-marzo 1953, pp. 14 e 17. In questo articolo, Honorio Delgado indica un'invalidazione retroattiva delle strutture del passato («invalidazion de lo acaecido» ["invalidità del procedimento"]) insieme a una reificazione della temporalità negli schizofrenici. Le sue idee sono assai vicine a quelle di Eugène Minkovski e anche a quelle di Silvano Arieti.
[10] - Roger Garaudy, "Les Mythes fondateurs del politique israélienne", Paris, Samiszdat, 1996. Il punto di vista difeso in questo libro è anti-storicista, e pertanto anti-marxista. All'inizio della sua carriera, Roger Garaudy è stato un notevole teorico marxista. Nei suoi libri ("Théorie matérialiste de la connaissance", Paris, PUF, 1953, p.263), possiamo trovare una brillante critica della falsa identificazione anti-dialetttica: «Rispetto alle cose, l'identità non è altro che un momento astratto. Elevare una simile astrazione ad assoluto, a realtà metafisica, significa allontanarsi dalla logica». Ma in quella che sarà poi la sua opera post-marxista, si può già trovare qualche esempio della «falsa identificazione». Lì, vi si può leggere la perla secondo cui i Crociati sarebbero stati un «sionismo cristiano», e il sionismo una «crociata ebraica» (Roger Garaudy, "L'Affaire Israël. Le sionisme politique", Paris, Papyrus, 1983, p.138).
[11] - Gli antisionisti sono addirittura arrivati a criticare gli scavi archeologici di Gerusalemme. Tali critiche «revisioniste» sono finalizzate a vanificare il passato glorioso dello Stato ebraico,a favore di un passato recente fatto di umiliazioni e di sofferenze. Paradossalmente, questi due passaggi ideologici (anti-storicisti) convergono su un unico fine: fare dell'Ebreo un essere «unidimensionale!» castrato della sua storicità, che pertanto non sarebbe un vero e proprio popolo che possa pretendere a un'esistenza statale.
[12] - In un'opera collettiva, "Sionisme et racisme" (Paris, Impression spéciale le Sycimore, 1979), un capitolo di Stefan Goron ha per titolo: "Le racism: un principe de base du sionisme" (pp.47-58) A pag. 51, vi si può leggere l'assurdo seguente passaggio: «In pratica, tuttavia, il "preteso razzismo dei non-ebrei" viene contrastato per mezzo del razzismo attivo dei sionisti. Il credo del sionismo si basa sul mito che fa degli Ebrei una super-nazione, e "assegna loro un ruolo di dirigenza sugli altri popoli". A partire da posizioni di quello che appare come un altezzoso etnocentrismo, i sionisti attribuiscono agli ebrei un certo numero di priorità razziali che mancano alle altre nazioni. Il fatto di essere Ebrei diventa così oggetto di un culto, e gli Ebrei si ditinguono dagli altri popoli che sono ritenuti essere meno capaci e più passivi negli ambiti intellettuali e morali. Su tale questione, Ahad Ha'am ne ha scritto con franchezza nicciana.»
[13] - A questo proposito l'articolo di Jean Piaget, "Pnesée ègocentrique e pensée sociocentrique", in "Cahiers Internationaux de Sociologie" volume 10, 1951. pp. 34-39.
[14] - Ecco qui 3 esempi: Louis Pawels, "La Schizophrénie nationale" in Le Figaro, 11 marzo 1978; Emmanuel Leroy-Ladurie, "Totalitarisme et Schizophrénie", in Le Figaro, 20 febbraio 1979, e l'articolo di Maurice Duverger in Le Monde del 14 febbraio 1957, in cui quest'autore usa espressamente il termine «schizofrenia politica». Tutti questi esempi attestano, nel dibattito attuale, la presenza agente del pensiero di Eugéne Minkovski.
[15] - Gregoire Oikonomakos, "Le Fanatisme". Tesi di dottorato sostenuto alla Sorbona il 16 luglio 1951 e pubblicato in francese ad Atene nel 1961.