Bordiga e Gramsci di fronte alla tattica del fronte unico, il processo di bolscevizzazione e il caso Matteotti (1924)
- di Agustín Guillamón -
Dopo il V Congresso dell'Internazionale Comunista, tenutosi nel giugno-luglio 1924, due fenomeni dominarono la vita politica del PCd'I: la tattica parlamentare aventiniana e la bolscevizzazione del partito. Allo stesso tempo, parallelamente all'emarginazione della sinistra, c'era stato un notevole aumento numerico del numero dei militanti. La tattica parlamentare del PCd'I, che consisteva nell'isolare i fascisti in Parlamento per unire i partiti liberali e socialdemocratici in un'opposizione democratica antifascista, si era conclusa con un fallimento. Il 10 giugno 1924, Matteotti, segretario del PSU che si era distinto nel denunciare la violenza fascista usata nella campagna elettorale di aprile, venne rapito da una squadra fascista e assassinato. Il 14 giugno tutta l'opposizione parlamentare ai fascisti, dai Popolari ai comunisti, lasciò il Parlamento per creare un comitato chiamato Aventino. L'opposizione sperava in un'azione giudiziaria che denunciasse la brutalità del regime fascista e ottenesse la rimozione di Mussolini. Ma sia il re che la magistratura divennero tacitamente complici del regime mussoliniano. Gramsci e Scoccimarro, che, vista la gravità delle vicende italiane, avevano annullato il loro viaggio a Mosca compresero la difficoltà del momento e le ampie prospettive politiche che si stavano aprendo. Gramsci ne scrisse: «A giugno, subito dopo il delitto Matteotti, il colpo subito dal regime era stato così forte che un intervento decisivo da parte di una forza rivoluzionaria lo avrebbe messo in pericolo. L'intervento non è stato possibile, e questo perché la maggioranza delle masse non era in grado di muoversi, o era sotto l'influenza dei democratici e dei socialdemocratici» [*1]. Le masse non erano pronte all'azione contro il fascismo perché nessun partito antifascista, tranne il PCd'I, era disposto a fare quel salto nel vuoto che avrebbe portato a una situazione simile a quella che era seguita allo sciopero generale dell'agosto 1922. La CGL, fin dall'inizio si è opposta a qualsiasi appello alla protesta che potesse sfociare in uno sciopero. Le trattative con Mussolini, per l'inserimento di un sindacalista nel governo fascista, da parte di D'Aragona e di altri importanti dirigenti della CGL, oppure l'idea di un partito operaio basato sull'organizzazione della CGL, finirono per avvicinare al regime fascista quella che era l'unica organizzazione sindacale a livello nazionale, allontanandola così dall'opposizione antifascista e dall'influenza comunista. Gramsci e Scoccimarro, imprigionati nella tattica del fronte unico, non potevano fare da soli ciò che il resto dei partiti liberali, democratici e socialdemocratici dell'Aventino non voleva. Così, dopo aver denunciato su L'Unità l'assassinio di Matteotti da parte dei fascisti, il 14 giugno si associarono alla decisione di astenersi dai lavori parlamentari. Il PCd'I si unì al resto dei partiti antifascisti dell'Aventino. La proposta di sciopero generale, avanzata dal PCd'I all'Aventino, venne respinta da tutto il resto dei partiti antifascisti, i quali temevano la prospettiva rivoluzionaria delle masse più della violenza del fascismo.
Bordiga non era d'accordo con la tattica del fronte unico proposta dalla nuova direzione del PCd'I. Così spesso descritto come un astensionista, Bordiga proponeva invece, nella più pura ortodossia del parlamentarismo rivoluzionario, l'uso della Camera per denunciare da essa il carattere criminale del governo fascista. Il PCd'I convocò uno sciopero generale per il 27 giugno, il quale fu un fallimento assoluto. L'isolamento dei comunisti era ora un dato di fatto. Allo stesso tempo, d'altra parte, l'idillio nelle relazioni diplomatiche tra il regime fascista e il regime sovietico raggiunse il suo apice proprio nel pieno della crisi Matteotti. Così, il 7 novembre, Mussolini fu invitato dall'ambasciata sovietica a celebrare l'anniversario della rivoluzione russa. Il banchetto, che non fu certo un aneddoto poco interessante, quanto piuttosto il culmine delle buone relazioni economiche tra Russia e Italia, contribuì ad alimentare la leggenda di una collaborazione italo-russa e, attraverso i due governi, di una collaborazione tra fascismo e comunismo che non mancò di danneggiare il PCd'I e accentuarne l'isolamento.
L'Aventino respinse la tattica dell'Anti-parlamento che era stata approvata dal Comitato Centrale del PCd'I il 15 ottobre. Solo le fortissime pressioni provenienti dalla base e dalla sinistra - favorevoli al ritorno dei comunisti nel Parlamento fascista - riuscirono a far accettare all'Internazionale Comunista una formula intermedia. All'apertura delle sessioni parlamentari, venne inviato dapprima un solo parlamentare comunista, per poi, via via, progressivamente, nella Camera dei deputati sarebbe stato integrato l'intero gruppo parlamentare. Il deputato scelto per il ritorno in Parlamento, era il militante di spicco della sinistra ed ex membro del Comitato esecutivo nominato a Livorno, Luigi Repossi. Il suo coraggioso intervento parlamentare, davanti a 300 deputati fascisti, trovò ampia eco nel paese, e accrebbe notevolmente il prestigio del PCd'I tra le masse. Repossi iniziò il suo intervento accusando direttamente Cesare Rossi e Marinelli di essere gli assassini di Matteotti. Per poi negare ai parlamentari fascisti, complici dell'omicidio, il diritto di commemorare il deputato assassinato: «Dacché mondo è mondo, agli assassini e ai complici degli assassini non è mai stato permesso di commemorare le loro vittime» [*2]. Malgrado i fascisti avessero l'evidente consegna di non attaccare l'unico deputato comunista presente in Aula, il clima di tensione prodotto dalle aspre accuse di Repossi era evidente nelle minacce verbali lanciate contro Repossi, quando fu a metà del suo discorso: «Non ti tocco perché mi fai schifo!» (Capanni) Repossi aveva incluso nella sua breve dichiarazione un elenco dei punti essenziali proposti dal PCd'I per risolvere la crisi: «Fuori il governo degli assassini e di tutti coloro che vivono alle spalle del popolo. Disarmare le camicie nere. Armare il proletariato. Istituire un governo operaio e contadino. Alla base di questo governo e della dittatura della classe operaia, ci saranno i comitati operai e contadini». L'intervento di Repossi si concludeva rivolgendo ai parlamentari fascisti il grido accusatore di «assassini!»: «E ora commemorate pure Giacomo Matteotti, ma ricordatevi del grido della madre del Martire, che ora è diventato anche il grido di milioni di lavoratori: "Assassini! Assassini!"». L'intervento di Repossi in Parlamento, il 12 novembre, non rappresentava una vittoria delle tesi di Bordiga a proposito del parlamentarismo rivoluzionario, quanto piuttosto una tipica oscillazione della tattica del fronte unico che era stata adottata a partire dalla direttiva gramsciana. Il 3 gennaio del 1925, in concomitanza con l'approvazione delle leggi straordinarie che mettevano fine alla "crisi Matteotti", avvenne la reintegrazione in parlamento dell'intero gruppo parlamentare comunista. Nella seduta parlamentare del 3 gennaio 1925, Mussolini si assumeva la piena responsabilità dell'assassinio di Matteotti: «Dichiaro alla presenza di questa Assemblea e alla presenza dell'intero popolo italiano che io, e solo io, mi assumo la responsabilità politica, morale e storica di quanto è accaduto. […] Se il fascismo è un'associazione di criminali, il capo di questa associazione di criminali sono io!» [*3]. Si concludeva in questo modo la crisi Matteotti: con il rafforzamento del fascismo e di Mussolini, con la sconfitta assoluta dell'opposizione antifascista e con la fine dell'Aventino. Dopo il discorso di Mussolini, l'esistenza di un'opposizione parlamentare diveniva praticamente impossibile. Di fatto, i partiti entravano ora in una fase di semi-legalità, a seconda di qual era il grado di tolleranza del regime. La crisi Matteotti si era aperta il 12 giugno 1924 con l'assassinio di Matteotti e si concludeva il 3 gennaio 1925 con la vittoria politica del fascismo e la sconfitta di tutti i partiti antifascisti. L'Aventino fu, pertanto, un fallimento totale che finì per rafforzare il fascismo. In coincidenza cronologica con la crisi Matteotti e con la tattica parlamentare - guidata da Gramsci - di un'alleanza antifascista con i partiti liberali e socialdemocratici, ebbe inizio la bolscevizzazione del Partito Comunista.
La bolscevizzazione del PCd'I significherà una feroce lotta contro Bordiga e la sinistra del partito. Questo sincronismo tra tattica antifascista e bolscevizzazione non fu una semplice casualità, bensì una dimostrazione del fatto che la lotta di Gramsci e del Centro contro Bordiga e la sinistra implicava un totale cambiamento nella strategia, nell'organizzazione e nella funzione storica del partito comunista. La lotta tra la nuova leadership, sostenuta dal Komintern, e la sinistra del PCd'I non si svolse solo sul terreno della tattica, ma fu assai più profonda. Il partito che emerse dal processo di bolscevizzazione non era più il partito di Livorno. Le prime risoluzioni sulla bolscevizzazione dei partiti comunisti vennero approvate nel corso del V Congresso dell'IC. Anche la sinistra del PCd'I votò a favore delle risoluzioni sulla bolscevizzazione dei partiti, in quanto favorevoli alla centralizzazione e alla disciplina organizzativa. Fu a partire dal V Esecutivo allargato - che si riunì nel marzo 1925 e al quale Bordiga non partecipò, sostituito da Scoccimarro - che cominciarono a prendere forma le misure pratiche di che cosa l'Internazionale, nella sua nuova svolta tattica, ora intendesse per «bolscevizzazione dei partiti comunisti». Il documento più importante che venne prodotto dal V Esecutivo Allargato fu le "Tesi sulla bolscevizzazione dei partiti comunisti" [*4], le quali sostenevano un inasprimento della disciplina e la centralizzazione dei partiti. Teorizzava l'allontanamento dalla prospettiva rivoluzionaria immediata, il consolidamento della rivoluzione russa e l'assunzione del partito russo come modello da imitare per tutti i partiti comunisti.
Il prestigio del Partito bolscevico si trasformava ora nel predominio del partito russo su tutti gli altri partiti, e il Komintern diventava solo uno strumento al servizio della politica estera dello Stato russo. Fu il primo passo verso la teoria del socialismo in un solo Paese, e in questo senso fu esattamente il contrario di quanto sostenuto da Bordiga al Quinto Congresso, secondo cui il Komintern avrebbe dovuto essere il fulcro per risolvere i disaccordi in seno al Partito bolscevico. La bolscevizzazione rappresentava anche l' allargamento a livello internazionale della lotta contro il trotskismo. In pratica, la centralizzazione e la disciplina, teorizzate nelle tesi sulla bolscevizzazione si tradussero nella manipolazione dei partiti comunisti, e nella totale sottomissione agli orientamenti imposti dal partito russo. La bolscevizzazione diventava lo strumento usato dall'esecutivo del partito bolscevico per risolvere, attraverso misure organizzative e disciplinari, qualsiasi discrepanza ideologica. La lotta anti-trotskista - così come quella contro le deviazioni di destra o di sinistra - divenne come una formula vuota che consentiva di schiacciare qualsiasi opposizione all'interno dei partiti comunisti, o dell'Internazionale, attraverso rigide misure disciplinari, di natura arbitraria, che evitavano sia il confronto ideologico che il dibattito politico. Il processo di bolscevizzazione implicò una riorganizzazione dei partiti fondata su cellule operative, le quali avrebbero sostituito la vecchia organizzazione territoriale, giudicata di stampo socialdemocratico. Questa riorganizzazione del partito - unitamente a dei cambiamenti di leadership e a massicce campagne di reclutamento di nuovi militanti, come avvenne nel caso italiano - portò all' avvento di nuovi quadri dirigenti fedeli a Mosca, che dovettero la loro nomina, e il loro dominio sull'opposizione interna, al sostegno del Komintern e alle misure disciplinari e organizzative volute dal partito russo. La riorganizzazione del partito divenne in tal modo uno strumento di quella lotta politica che avrebbe consentito alla direzione imposta da Mosca, e assuefatta alla direzione stalinista dominante nel partito russo, di schiacciare tutte le correnti interne di opposizione. Questi due elementi - la riorganizzazione del partito sulla base delle cellule e il rinnovamento del gruppo dirigente, che doveva le sue posizioni e il suo dominio sul partito proprio all'appoggio di Mosca - ricevettero una copertura ideologica e teorica grazie al leninismo, inteso come interpretazione ortodossa del marxismo e come fede cieca nel partito. Qualsiasi disaccordo o contrarietà alla bolscevizzazione veniva bollata come deviazione eterodossa, che fosse di destra o di sinistra.
Storicamente, la bolscevizzazione è stata un fenomeno complesso che ha avuto un'influenza decisiva sulla Terza Internazionale dal 1925 fino alla sua dissoluzione nel 1943, riflettendosi nella dipendenza, dal modello sovietico, di tutti i partiti comunisti, e nella loro totale subordinazione economica, politica e ideologica alle esigenze e alle necessità dello Stato russo. Ideologicamente, significherà anche l'esistenza di un sistema chiuso di valori che subordinerà ogni principio e giustificherà ogni brusco cambiamento di tattica in nome di una rigida disciplina e della centralizzazione. Il dibattito e la discussione erano fuori luogo, l'unica cosa importante era il partito e la difesa della rivoluzione russa.
La bolscevizzazione, le cui caratteristiche generali internazionali sono già state descritte, non mancò di avere delle applicazioni nazionali diverse e con una certa autonomia, giustificata dalle specifiche situazioni nazionali di ciascun Paese. Nel caso italiano, la nuova dirigenza imposta da Mosca: Gramsci, Togliatti, Scoccimarro, Maffi, Terracini, Tasca, ecc., dovette ingaggiare una lunga lotta contro la sinistra del PCd'I, che dominava numerosi e importanti sezioni del partito: Milano, Torino, Novara, Genova, Alessandria, Pavia, Bergamo, Cremona, Bologna, Ferrara, Parma, Ravenna, Reggio Emilia, Vicenza, Treviso, Trento, Pesaro, Napoli, Salerno, Caserna, Bari, Taranto, Lecce, Cosenza, Messina, ecc. [*5] La tattica usata dalla direzione gramsciana per controllare progressivamente le diverse federazioni del partito, che erano ancora in gran parte bordighiste, si confuse con il processo di bolscevizzazione del partito italiano. Da un lato, la sinistra del PCd'I, che su sua richiesta non aveva alcun rappresentante nel Comitato centrale o nel Comitato esecutivo, venne privata del suo organo di espressione teorica: Prometeo. Tutti gli articoli, o le prese di posizione da parte dei membri della sinistra, apparivano insieme a dei commenti aspramente critici, i quali distorcevano o contraddicevano gli argomenti presentati. E a volte non venivano nemmeno pubblicati, come avvenne con quello di Bordiga sulla questione Trotsky. I rappresentanti del Comitato centrale partecipavano a tutti i congressi e assemblee delle varie federazioni di partito, in cui si contendevano con la sinistra il controllo della sezione del partito, e se prevedevano che i voti potevano essere a favore della sinistra, rinviavano sine die la votazione. Parallelamente a questa manipolazione e censura della stampa e delle assemblee di federazione, la campagna di reclutamento di massa dei nuovi militanti comunisti assumeva grande importanza. Tra maggio e dicembre 1924, il numero dei militanti raddoppiò, e quasi triplicò, passando da 12.000 a 30.000. Le ragioni di un simile incremento erano riconducibili tanto alla fusione con i cosiddetti "Terzini" [N.d.T.: ossia i socialisti favorevoli alla fusione con il Pcd’I e, quindi, all’ingresso nell’Internazionale], che finì per rappresentare un incremento di circa il 35%; quanto alla campagna del mese di settembre in cui venne abolito il periodo di candidatura obbligatoria; e infine al ritorno degli ex militanti, temporaneamente allontanati dal partito dopo l'ondata di repressione che era seguito allo sciopero generale dell'agosto 1922. I nuovi iscritti - per lo più giovani e contadini - non conoscevano la tradizione del partito livornese e, essendo entrati nel partito in un periodo successivo all'assassinio di Matteotti, erano estranei alla lotta frazionistica del partito. L'ingresso di questi nuovi militanti significò un significativo aumento numerico del PCd'I, in una relazione inversamente proporzionale rispetto a quello che era stato finora il livello politico medio del militante. Un tale massiccio afflusso di nuovi militanti - privi di tradizione politica e con un basso livello teorico - sarebbe stata una delle ragioni che, al Congresso di Lione, solo 18 mesi dopo la Conferenza di Como, dove aveva ottenuto un sostegno minoritario, addirittura inferiore a quello della destra, avrebbe permesso alla leadership gramsciana di ottenere il 90% dei voti. Alla fine del 1924, secondo le parole dello stesso Togliatti, nella sua relazione sull'organizzazione del partito alla fine del 1924, il nuovo militante viene così definito: «La suddivisione in varie tendenze, così come si è manifestata negli organi dirigenti del partito, ha avuto uno scarso effetto sulla grande massa dei membri del partito. Infatti, il partito è animato da un profondo spirito di unità ed è particolarmente resistente alle fazioni. Tra la grande massa dei militanti, il senso di disciplina nei confronti degli organi dirigenti nazionali e internazionali è molto forte; d'altra parte, il grado di maturità e di capacità politica è piuttosto basso» [*6]. Fu grazie a un tale basso livello di maturità e di capacità politica che così una grande massa di nuovi membri del partito poté essere facilmente influenzata dal gruppo che dominava l'apparato organizzativo e propagandistico del partito. Tuttavia va detto che, in questa stessa relazione Togliatti ha dato anche un' ulteriore chiave di lettura riguardo il progressivo isolamento della sinistra, e della relativa influenza all'interno del partito: la passività di Bordiga. Infatti, nella sua analisi sulle varie fazioni esistenti, Togliatti constatava tanto la mancanza sia di un' incidenza che di una base militante della Destra quanto l'integrazione della fazione di Terzini nel partito, assorbita a tal punto da non potersi costituire come fazione all'interno del Pcd'I. In questo modo, i due poli attorno ai quali si raggrupparono i militanti furono il Centro e la Sinistra. E così Togliatti, dopo aver proposto una tattica di progressiva conquista delle diverse federazioni - attraverso l'approvazione delle tesi del V Congresso, dichiarata incompatibile con la posizione di Bordiga nello stesso Congresso - sottolinea quale sia stata la grande debolezza della sinistra: «la solidarietà, ancora possibile, di una frazione del partito nei confronti del compagno Bordiga, è di importanza relativa, poiché non significa affatto un'adesione al suo pensiero e alla sua posizione politica, ma piuttosto l'effetto dell'influenza personale esercitata da Bordiga, influenza che è inevitabilmente destinata a diminuire, tanto più dato l'atteggiamento passivo assunto da Bordiga». L'argomentazione di Togliatti, pur potendo avere una certa validità, rimane personalista e non contempla nemmeno la possibilità che la sinistra si potesse organizzare in una frazione, in modo da poter così difendere le proprie posizioni politiche e la tradizione livornese. Invece, ciò che veniva contemplato e valutato, tuttavia, era l'opera di discredito, e il progressivo isolamento di Bordiga all'interno del Partito Comunista: «Nel prossimo congresso nazionale del partito, l'attuale maggioranza di cui dispone il Comitato centrale potrà garantirsi tale maggioranza solo se il congresso in questione verrà preceduto da un'adeguata opera di purificazione e di educazione politica dei ranghi del partito».
Lavoro questo, che è stato svolto metodicamente, impedendo la libera espressione delle posizioni politiche della sinistra e denunciando come faziosa la formazione del Comitato d'Intesa cui avevano aderito i militanti della sinistra. Secondo Togliatti, Bordiga è responsabile per la disciplina ferrea adottata dalla nuova dirigenza del partito. Ma tale disciplina, che esigeva la totale passività politica di Bordiga, era fastidiosa e dannosa per il partito: «All'interno del partito, Bordiga mostra la massima sottomissione alla disciplina e alle direttive politiche che provengono dagli organi centrali. A dispetto di ciò, però, questo atteggiamento determina un malessere nei ranghi del partito che è necessario eliminare, [...] nelle forme e nei modi più utili al partito e all'Internazionale». Nel testo di Togliatti, la parola chiave è «eliminare». Ecco il proposito e l'obiettivo del gruppo del Centro, un passaggio preliminare e necessario per il dominio totale del partito che esso si proponeva di realizzare nel prossimo congresso del partito, il quale sarebbe stato convocato nel momento più favorevole, nel momento in cui sarebbe stato possibile spezzare l'influenza di Bordiga nel partito. L'occasione propizia per la finale battaglia diffamatoria contro Bordiga e la Sinistra si presentò nel giugno 1925, allorché L'Unità, svelando l'esistenza di un Comitato d'Intesa, denunciò l'operato fazioso della Sinistra, e di Bordiga [*7]. La critica di Bordiga nei confronti dell'analisi che Gramsci faceva della situazione italiana durante la crisi Matteotti, sottolineava quegli errori di interpretazione che si manifestavano nel credere in un estremo indebolimento del fascismo, e nel sottolineare il primato dei ceti medi rispetto al proletariato [*8]. Bordiga metteva in relazione questa evidente sfiducia nella capacità di classe del proletariato con la tattica del Fronte Unico, declinata secondo le sue ultime interpretazioni di destra, ovvero quale tattica di unità antifascista, vale a dire, di alleanza del PCd'I con i partiti socialisti, socialdemocratici e borghesi sull'Aventino. Nelle parole di Bordiga: «La direzione ha sbagliato a lasciare il Parlamento e a partecipare alle prime riunioni dell'Aventino, quando invece avrebbe dovuto rimanere in Parlamento facendo una dichiarazione di attacco politico al governo e prendendo immediatamente posizione contro i pregiudizi costituzionali e morali dell'Aventino, il quale è stato il principale fattore determinante nell'esito della crisi a favore del fascismo» [*9]. Del resto, la partecipazione del gruppo parlamentare comunista a incontri con cattolici e conservatori borghesi non poteva non suscitare proteste e indignazione in una base militante ancora prevalentemente bordighista, mentre invece non mancò di produrre un enorme disorientamento nella maggioranza della classe operaia. La fluttuazione tattica del PCd'I era quindi il risultato dell'applicazione della tattica del Fronte Unito. Lo stesso Gramsci, in alcune analisi successive [*10] , arrivò alla conclusione secondo cui l'Aventino era del tutto inutile, data l'impotenza della borghesia democratica di fronte al fascismo, quando l'alternativa a esso significava invece l'intervento attivo del proletariato e l'emergere di una nuova situazione con la possibilità di ulteriori sviluppi rivoluzionari. Per Bordiga l'Aventino era stato il grande ostacolo frapposto dinanzi alle masse che impediva lo scatenarsi di una lotta di classe rivoluzionaria [*11]: «abbiamo contribuito a far credere alle masse che l'Aventino potesse provocare la caduta del fascismo. Con il fallimento dell'Aventino non si è realizzato, proprio per colpa di questa manovra, il grande scatto delle masse verso un fronte di classe». Al posto della continuità tattica, della chiarezza delle parole d'ordine, dell'intransigenza nei principi e della fermezza organizzativa - così necessarie di fronte a una situazione critica e mutevole come la crisi Matteotti - il PCd'I offriva la tattica altalenante del Fronte Unico, con delle parole d'ordine chimeriche lontane dalla realtà, come quelle dell'Anti-parlamento e dei comitati operai, un cedimento organizzativo dovuto al massiccio afflusso di nuovi militanti e alla fusione con i Terzini, e un'evidente abbandono dei principi programmatici, che si manifesta nella collaborazione antifascista con cattolici, conservatori borghesi, socialdemocratici e socialisti. Gramsci si rese conto che nella situazione italiana la tattica del fronte unico era sempre più difficile da sostenere [*12]. Dapprima, fece alcune analisi fantasiose ed erronee sulla situazione italiana, tipo quelle che espresse nella riunione del Comitato Centrale, nell'agosto 1924 [*13]. Successivamente, sotto la pressione del partito e della sinistra, cambiò il suo orientamento chiedendo il ritorno dei parlamentari comunisti alla Camera, sebbene questo fini per essere, anziché un successo per la sinistra, piuttosto un altro ulteriore esempio della fluttuazione propria della tattica del fronte unico. Gramsci era obbligato ad applicare la tattica del Fronte Unico, così come la fusione con i Terzini e la massificazione-bolscevizzazione in atto nel PCd'I; sia per la sua lealtà a Mosca, sia per poter così rafforzare il suo dominio sul partito, ancora in gran parte bordighista. Ma, in più a tutto questo, egli era convinto che la caduta del fascismo sarebbe stata la via d'uscita più probabile dalla crisi Matteotti, e che il PCd'I avrebbe raccolto i frutti della sua partecipazione all'Aventino. Secondo Gramsci la situazione e la prospettiva erano democratiche. Nel suo insistere sulla permanenza del PCd'I all'Aventino - anziché tornare a Montecitorio per attuare una tattica di parlamentarismo rivoluzionario, come proponeva Bordiga - Gramsci considerava positiva una probabile vittoria dell'Aventino, semplicemente in quanto così sarebbero state ripristinate le libertà democratiche borghesi. L'alternativa tra riforma o rivoluzione - che veniva ora presentata come alternativa tra antifascismo o rivoluzione - era stata alla base degli scontri tra gradualisti e rivoluzionari che c'erano stati tanto nella II Internazionale, quanto a Livorno. La tattica antifascista, agli occhi di Bordiga e della sinistra del PCd'I, non era altro che l'aggiornamento e l'applicazione della tattica socialdemocratica alla crisi Matteotti. Pertanto, non era un caso che alla tattica antifascista si accompagnasse la fusione con i Terzini e l'ingresso massiccio di nuovi militanti. Il PCd'I doveva diventare a tutti i costi un partito di massa: l'ingresso massiccio di militanti, senza capacità né maturità politica, facilitò l'imposizione di una tattica di collaborazione con i partiti socialdemocratici e borghesi, con l'obiettivo manifesto di difendere la democrazia borghese; e in piena contraddizione con il programma di Livorno.
All'indomani dell'intervento parlamentare di Repossi alla Camera, il 12 novembre 1924, Gramsci constatava ne "Lo Stato Operaio" il fallimento della tattica del fronte unico: «I partiti di opposizione [...] oggi hanno confessato la loro impotenza di fronte al fascismo, dimostrando di non sperare di rovesciarlo se non con l'aiuto della dittatura militare [...]. La maschera di cui si vestono i cosiddetti liberali e democratici dell'Aventino non poteva essere strappata in maniera migliore. La verità è che in loro non c'è nulla di democratico o di liberale. [...] si tratta solo di paura [...] che un movimento di forza popolare e di massa, capace di rovesciare il fascismo, non si limiti solo a sferrare un colpo mortale al fascismo in quanto governo, ma che colpisca il fascismo in quanto reazione borghese e difesa dell'ordine capitalistico [...]. Ma il colmo è stato l'atteggiamento dei partiti cosiddetti di classe, vale a dire la socialdemocrazia unitaria e i massimalisti, [...] quelli che vorrebbero fare del movimento operaio la base di una dittatura militare [...]» [*14]. Fu questo il giudizio dato da Gramsci, alla fine del 1924, sulla tattica del Fronte Unico, dopo due anni di continui scontri a riguardo tra la sinistra del PCd'I e l'IC, e dopo aver accettato di assumere la direzione del PCd'I in quanto uomo idoneo, nominato e incaricato da Mosca per applicare questa tattica in Italia. La constatazione del fallimento della tattica del Fronte Unico non avrebbe prodotto un avvicinamento alle tesi della sinistra da parte della nuova leadership gramsciana. Il ruolo di collaboratori della borghesia svolto dai leader socialisti, la cui alleanza era stata così ansiosamente ricercata, verrà denunciato dai centristi già il 3 gennaio 1925 [*15] , proprio nel momento in cui essi lanceranno una campagna di discredito, diffamazione e critica radicale nei confronti della sinistra. La campagna contro la sinistra si svolse sotto la copertura ideologica assicurata e promossa, non solo in Italia, dalle tesi sulla bolscevizzazione dei partiti comunisti approvate dal Quinto Esecutivo allargato. La resistenza da parte della sinistra al processo di bolscevizzazione si concretizzò nella costituzione di un Comitato d'Intesa, che venne denunciato dalla leadership come gruppo di fazione. L'Internazionale, per i centristi italiani, era infallibile e aveva sempre ragione. Così, il fallimento della tattica del Fronte Unico, criticata dai bordighisti in ogni occasione sin dal primo approccio, non poteva concludersi con un riavvicinamento tra il Centro e la Sinistra del PCd'I, ma solo con l'eliminazione pura e semplice della fazione che aveva criticato l'Internazionale.
Agustín Guillamón - nel centenario del "caso Matteotti" -
Capitolo 4.1 del libro "Amadeo Bordiga en el Partido comunista de Italia" -
NOTE:
1 - Gramsci, Antonio. La costruzione del Partito comunista 1923-1926. Einaudi, Torino, 1971 (5ª edizione), p. 210.
2 - Comunismo, rivista quadrimestrale del Partito comunista internazionale (Edizioni de «Il Partito Comunista»), nº 16, set.-dic. 1984, Firenze, pp. 82-84.
3 - Salvadori, Massimo L. Storia dell’età contemporánea. Loescher editore, Torino, 1977, p. 679.
4 - V Congreso de la Internacional Comunista. Cuadernos Pasado y Presente, nº 56, Segunda parte, Buenos Aires, 1975, pp. 183-211.
5 - Martinelli, Renzo. Il Partito comunista d’Italia 1921-1926. Politica e organizzazione. Riuniti, Roma, 1977, pp. 203-254.
6 - Togliatti, Palmiro. La formazione del grupo dirigente del Partito comunista italiano nel 1923-1924. Riuniti, Roma, 1984, pp. 337-339.
7 - La cosa è stata trattata in maniera più ampia nel capito 4.2. del libro Amadeo Bordiga en el PCd´I
8 - Bordiga, Amadeo. Dialogato con Gramsci. Edizioni «Il Partito Comunista» del Partito comunista internazionale, serie I, Testi della Sinistra comunista, Firenze, 1979, pp. 45-49.
9 - Bordiga, Amadeo. Op. cit., p. 47.
10 - Gramsci, Antonio. «Il nullismo dell’Aventino» (L’Unità, 12/11/1924) in Gramsci, Antonio. La costruzione…, op. cit., p. 206.
11 - Galli, Giorgio. Storia del PCI. Tascabili Bompiani, Milano, 1977 (1ª edic. 1957), p. 102.
12 - Galli, Giorgio. Op. cit., pp. 102-103; Gramsci, Antonio. «La crisi italiana». Relazione al Comitato centrale del partito del 13-14 agosto 1924, in Gramsci, Antonio. La costruzione…, op. cit., pp. 28-39; Parti communiste international. «Le parti communiste d’Italia face a l’offensive fasciste (1921-1924)», en Programme communiste (Revue theorique du Parti communiste international), nº 50, pp. 7-22.
13 - Gramsci, Antonio. «La crisi italiana». Relazione al Comitato centrale del partito del 13-14 agosto 1924, en Gramsci, Antonio. La costruzione…, op. cit., pp. 28-39.
14 - Galli, Giorgio. Op. cit., pp. 104-105.
15 - Il 3 gennaio 1925 venne sancito il fallimento dell'Aventino, ponendo fine alla crisi del fascismo e dando inizio a un periodo di difficile semilegalità per tutti i partiti antifascisti.
fonte: Ser Historico - Portal de Historia