martedì 15 settembre 2020

Piccola storia delle risorse umane

Le meraviglie della vita moderna spiegate in poche parole
- Un'Antropologia della Rivoluzione Industriale -
di Peter Harrison

Preambolo
Ne "Il Capitale", Marx ha indicato quali sono i due modi per creare un surplus a partire dallo sfruttamento dell'altrui lavoro. Il primo è l'estrazione del «plusvalore assoluto». Estrarre plusvalore assoluto significa trarre profitto dal lavoro di altri facendoli lavorare più a lungo o più duramente, oppure mettendo al lavoro un maggior numero di persone. Questo modello economico si scontra con quelli che sono dei limiti prevedibili: le persone muoiono a causa dell'eccesso di lavoro; non si riescono a trovare abbastanza persone per farle lavorare; mantenerli in salute costa troppo; e così via. Il secondo modo per creare profitto consiste nel migliorare quella che è l'organizzazione dei compiti che vengono svolti, e nell'introdurre dei macchinari che facciano sì che il tempo di lavoro diventi più produttivo. Questo secondo modo viene chiamato estrazione del «plusvalore relativo»; ed è il principale motore del capitalismo. I profitti che vengono resi disponibili a partire da questo secondo modo di produrre, non dipendono da fattori assoluti, come il numero dei lavoratori o la disponibilità di risorse, ma dalla capacità degli imprenditori di innovare la produzione, l'approvvigionamento, e i metodi di distribuzione, in modo che i profitti possano aumentare in relazione ad altri fattori che rimangono costanti, o che potrebbero perfino diminuire. Ad esempio, nuovi metodi o macchinari può voler dire - come tutti sappiamo - che servono meno lavoratori.
A tal proposito, in tutto questo testo utilizzo la parola capitalismo al fine di sottolineare il fatto che «avere un capitale» significa accumulare intenzionalmente dei fondi per poter fare dei futuri investimenti nell'industria. Capitale, non significa solo denaro sotto il letto, ma esso è profitto che dev'essere specificamente usato per poi tornare a produrre ancora più ricchezza.

La Storia vista come se essa fosse un "buon  soldato"
In un cartone animato che ho visto su Internet qualche tempo fa, c'è un singolo fotogramma nel quale si vede - in un'ambientazione medievale - una coppia di mezza età in una camera da letto. Uno dei due guarda il sole che sta sorgendo glorioso da dietro le colline ed esclama qualcosa del tipo: «Grazie al cielo! Guarda cara! Finalmente è arrivata la Riforma!»
Questo cartone animato - che non sono riuscito a ritrovare - riesce a dire tutto ciò che ho sempre voluto circa la tendenza a vedere il «passato» come se fossimo sempre in attesa del «futuro». Si tratta di una narrazione della storia che gli accademici definiscono «teleologica» - nel senso che «lo scopo» della storia è «il presente», a cui la storia porta. Ma per quanto esista un termine per definirla, continuano ad esserci molto accademici che assecondano pigramente quest'idea che la storia sia qualcosa che assomigli ad una specie di Spirito cosciente che si batte per un bene superiore. Non è certo una coincidenza che quest'idea sia stata formulata - nel bel mezzo di quella che è stata l'irruzione tecnologica dell'Europa - dal filosofo Hegel, il quale sosteneva che «il fine ultimo razione del mondo» è la sintesi trascendente, con la ragione, del «piano della divina Provvidenza». Ci troviamo, a quanto pare, bloccati nella nozione progressista secondo cui la storia – sebbene essa sia un percorso accidentato (Hegel ha suggerito che avrebbe potuto essere vista come un «mattatoio» in cui si fanno i sacrifici al futuro) - è una narrazione che in definitiva dimostra come gli esseri umani stiano diventando più intelligenti. È vero che ci sono sempre dei «brontoloni» che si lamentano in maniera miope del fatto che la loro gioventù sarebbe stata migliore, ignari del fatto che anche i loro genitori si sono lamentati, e prima i loro nonni... ma per lo più, la maggior parte di noi potrebbe convenire che la società attuale si trova all'apice di quello che finora è stato il progresso, in attesa di essere eclissata dal prossimo grande cambiamento tecnologico. (Eppure, ci sono ora molti di noi che sospettano che, anziché andare verso un futuro fatto di macchine volanti, stiamo correndo verso l'Armageddon ecologico, ma questa è un'altra questione.)
Il cartone animato della Riforma si basa sul fatto che si tende ad immaginare le persone del passato come se stessero lì solo ad aspettare che le cose vadano meglio. In maniera analoga, condividiamo l'idea comune secondo cui le «persone che vivevano nelle caverne» dovevano essere semplicemente sempre alla disperata ricerca di miglioramenti delle loro vite mentre venivano inseguiti dalle tigri dai denti a sciabola. Fondamentale, in queste interpretazioni del passato, rimane il fato che gli esseri umani del passato vengono pensati proprio come noi, come se fossimo stati improvvisamente trasportati indietro di 100.000 anni. In un  punto di vista del genere, ci sono 4 problemi. Il primo riguarda il fatto che se noi pensiamo che gli esseri umani «selvaggi» dovevano combattere per sopravvivere, allora come diamine sono riusciti a farlo per almeno 200.000 anni, prima che emergessero i primi Stati e le le prime civiltà? Il secondo problema è quello che, se per gli esseri umani era così difficile sopravvivere senza civiltà, come fanno allora a sopravvivere ora gli altri animali? Se per loro la vita è davvero una lotta quotidiana senza fine?
Forse si potrebbe argomentare che non hanno una coscienza in grado di dire loro quanto brevi e brutali siano le loro vite... ma se è così, allora come hanno fatto gli esseri umani coscienti ad affrontare 200.000 anni di consapevolezza che la loro vita era terribile, e come fanno oggi a fare i conti con questa cosa le attuali tribù selvagge? Quelle popolazioni avrebbero dovuto essere continuamente tormentate dalla depressione e dal suicidio, e pertanto anche quelle tribù che oggi vivono sul nostro pianeta senza avere uno Stato dovrebbero soffrire di un tale malessere, Naturalmente, non era affatto così, e non lo è neppure oggi. E l'unica ragione per cui i popoli delle tribù e gli indigeni di oggi soffrono di depressione e di suicidio è perché sono stati trascinati nella civiltà, ed è stato portato loro via, tutto quello che avevano una volta. Come ha osservato Émile Durkheim nel 1893, uno dei doni della civiltà moderna è il «suicidio della tristezza».
Il terzo problema riguardante questo concetto consiste nel fatto che si mescola con quelle che sono sgradevoli rappresentazioni del passato – tipo quelle che illustrano il «Medioevo» in Europa e l'inizio dell'industrializzazione - come se fosse sempre stato così. Steven Pinker, ad esempio, nel suo libro "The Better Angels of Our Nature" nega snobisticamente un Medioevo in Europa asserendo che «per noi, raffinatezza, autocontrollo e considerazione sono state per noi una seconda natura che doveva essere conquistata», e  che allora le persone «erano, per dirlo in una parola, disgustose». Per quanto noi si guardi indietro a quelli che sono gli aspetti della civiltà, e si possa essere grati per non dover sopportare oggi quei particolari rigori, perché mai si dovrebbe dipingere il passato in maniera simile?
Il quarto problema è che se guardiamo al passato in questo modo, ecco che siamo costretti a concludere logicamente che tutte le società precedenti sono state un po' inadeguate, o semplicemente un po' stupide nell'affrontare le cose. Il rovescio della medaglia di un simile punto di vista che si auto-compiace della nostra attuale imponente "sapienza", consiste in un giudizio pericolosamente negativo di quelle «tribù non contattate» che vivono senza civiltà. Si pensi a Bolsonaro e a Narendra Modi.

L'errore della civiltà
Anziché considerare la storia dell'umanità come se fosse una continua narrazione che ha sotto il cofano - a spingerla - il motore del progresso, sarei portato piuttosto a sostenere che ci sono stati due eventi fisici significativi, accaduti in passato, cruciali per poter comprendere la società umana attuale. Entrambi questi eventi, sono stati delle «disgrazie»; come Étienne de La Boétie scrisse nel 1553 a proposito del primo. Il primo di questi due eventi fu la comparsa della gerarchia e dello sfruttamento che si espresse nella costituzione di uno Stato, o di una civiltà: un contesto in cui le persone si sottomettono ad una «servitù volontaria», come ebbe a notare La Boétie. Il secondo evento è stato l'emergere del capitalismo come forma economica dominante a livello globale. Ed è a proposito di questo secondo evento, che voglio approfondire.
Con ogni probabilità, tutti noi abbiamo una vaga idea di che cosa sia il capitalismo: la proprietà privata - o statale - dei mezzi di produzione, il lavoro salariato, un'economia monetaria, alienazione, «società dei consumi», offerta e domanda, e così via. Ma il capitalismo non è sempre esistito. C'è stato qualcosa di specifico che lo ha portato all'esistenza, e noi percepiamo in qualche modo che il capitalismo è differente da tutte le altre precedenti forme economiche a causa di un singolare fenomeno; quello della Rivoluzione Industriale. Improvvisamente, trecento anni fa, si è passati dalla produzione manuale col telaio alla tessitura coi telai a motore... quindi ai treni, alle automobili, alla scissione degli atomi, ai computer, agli smartphone.
La Rivoluzione Industriale NON è stata il culmine naturale di cinquemila anni di ascesa e caduta della civiltà a partire dalla Mesopotamia, NON è stato il risultato della crescente intelligenza dell'umanità che ha permesso agli individui di padroneggiare ciò che noi chiamiamo scienza e tecnologia: ma si è trattato dell'intrecciarsi ed unirsi insieme dell'industria tessile, dominata dall'etica del lavoro dei Protestanti; dell'oro delle Americhe; e dalla Tratta Atlantica degli Schiavi.
Ma il fattore chiave è stata la nuova strategia di realizzazione del profitto sviluppata dagli imprenditori tessili. Questi commercianti, hanno creato, in maniera efficiente, delle vere e proprie reti di approvvigionamento e distribuzione intorno all'unità produttiva principale - il tessitore di lana che lavorava in casa - assicurandosi e facendo sì che i loro tessitori avessero telai a mano efficienti in modo da garantire una maggior produttività. L'oro e la schiavitù, ed il Protestantesimo, hanno solo aiutato a supportare quello che era il nuovo metodo economico e a garantire che avesse lo spazio ed il tempo per diffondersi e propagarsi verso le altre imprese, e a diventare un modello universale di successo. Il nuovo metodo economico era quello dell'estrazione del «plusvalore relativo», come lo aveva definito Marx. Il metodo si adattava perfettamente a quella che era l'emergente etica del lavoro del movimento Protestante in Europa - ed il denaro e la schiavitù avrebbero tenuto in piedi il nuovo scenario fino a quando non si fosse pienamente affermato. Ma è stata l'estrazione del «plusvalore relativo» - in una parola, il capitalismo - che in definitiva, ed essenzialmente, ha innescato la Rivoluzione Industriale.
Jairus Banaji - nel suo libro "Theory as History", in cui esamina le società agrarie prima che diventino pienamente capitaliste, in particolare nell'India del 19° secolo - sostiene che per definire un'impresa capitalista, così come ha fatto Marx, non importa se i lavoratori siano schiavi o contadini o lavoratori salariati, bensì dal fatto che i profitti vendano usati per generare profitti ancora maggiori, investendo in metodi di produzione migliorati, e dal fatto che il denaro non viene lasciato inattivo.

L'umanità mineraria
Nel capitalismo, le persone sono diventate un tipo speciale di risorsa all’interno di un'impresa; una risorsa che può essere sempre adattata a lavorare a ritmi diversi, in situazioni nuove, con macchinari e processi sempre nuovi. Tutto ciò è successo a partire dal fatto che gli imprenditori si sono resi conto che gli esseri umani erano adattabili e potevano imparare nuove tecniche. Lo storico E.P. Thompson ha scritto in maniera estesa, tra le altre cose, sulla resistenza dei lavoratori alle nuove forme di lavoro, e su come queste resistenze siano state disaggregate per mezzo della disciplina di fabbrica. Nel periodo di tempo del 19° secolo, in cui la classe operaia europea emerse, sebbene molti sognassero un mondo migliore, tutti avevano assorbito l'etica del lavoro che veniva promossa dalle classi dirigenti. Spesso, gli schiavi e i popoli appena colonizzati - che nella loro vita precedente erano stati guerrieri o qualcosa del genere - morivano semplicemente a causa dell'incessante lavoro che venivano costretti a svolgere.
La Rivoluzione Industriale ha rappresentato il culmine delle diverse forze combinate insieme, piuttosto che essere espressione di un trionfo della volontà umana congiunta nel suo insieme. L'organizzazione sociale e la sorprendente tecnologia che vediamo nel mondo che ci circonda, più che un'invenzione delle persone brillanti che sono state bene istruite, è il prodotto dell'imperativo che spinge ad aumentare sempre più il plusvalore relativo, che è il particolare modo capitalistico di far crescere i profitti. Quella che è stata la comparsa della macchina a vapore, è dovuta più alla strategia di acquisizione di plusvalore relativo che alla genialità riconosciuta di James Watt. Le conseguenze derivanti dall'acquisizione sistematica di plusvalore relativo sono state l'aumento della ricchezza monetaria per un'intera classe; che ora, sostanzialmente, sapeva che per rimanere ricca doveva continuare ad innovare e ad investire. Il sorgere della "scienza" di cui disponiamo oggi, non ha rappresentato il culmine di eoni di ingegnosità umana; ma è stato il risultato di questo particolare metodo di ottenimento della ricchezza, così come lo è ancora oggi. Fu solo durante «il grande spartiacque del XVI secolo», come scrive Banaji, che divenne evidente che in Europa occidentale, la produzione capitalistica era diventata il modo economico dominante. È solamente nel contesto di un modo di produzione pienamente capitalista che l'intera società viene ad essere orientata, oltre che determinata, dall'aumento di quella che è la produttività relativa di ciascun lavoratore. Ed è questo il motore e la base dell'innovazione tecnologica. Ed è per questo che oggi, quando il capitalismo è ormai diventato parte perfino del nostro stesso DNA, assistiamo ad una proliferazione di James Watts. Pertanto, le enormi "conquiste" tecnologiche che ci sono state durante e dopo la Rivoluzione Industriale non rappresentano un qualche magico apogeo della storia umana, ma sono solo il risultato specifico di una società che è nata e cresciuta organizzando sé stessa sul principio secondo cui doveva essere in grado di estrarre una quantità infinita di profitto da quella risorsa perennemente adattabile che è l'essere umano.

Peter Harrison - Pubblicato per la prima volta online il 16/2/2020 su CounterPunch, revisione del settembre 2020 -

Riferimenti:

Anderson Stephanie, 2009, "The Two Lives of Narcisse Pelletier, in "Pelletier: The Forgotten Castaway of Cape York", Melbourne Books, Australia.
Banaji, Jairus. 2011, "Theory as History: Essays on Modes of Production and Exploitation", Haymarket Books, Chicago.
Boétie, É. de La, 2008 [1553], "The Politics of Obedience: The Discourse of Voluntary Servitude", Harry Kurz (trans.), Ludwig von Mises Institute, Auburn.
Durkheim, Emile 1997 [1893], "The Division of Labour in Society", W. D. Halls (trans.), The Free Press, New York.
Hegel, G. W. F. 2011, "Lectures on the Philosophy of History", Ruben Alvaredo (trans.), Wordbridge Publishing, Aalten.
Mandel, E. 1976, "Introduction", in "Capital, A Critique of Political Economy", Volume I, Ben Fowkes (trans.), Penguin Books, London
Marx, K. 1976, "Capital, A Critique of Political Economy", Volume I, Ben Fowkes (trans.), Penguin Books, London
Pinker, S. 2012, "The Better Angels of Our Nature: The Decline of Violence in History and its Causes", Penguin Books, New York.
Survival International, survivalinternational.org
Thompson, E. P. 1967, "Time, Work-Discipline, and Industrial Capitalism", in "Past and Present", No. 38. (Dec., 1967), pp. 56-97.
Weber, M. 2003 [1904-5/1920], The Protestant Ethic and the Spirit of Capitalism, Talcot Parsons (trans.), Dover Publications, New York.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ma qual'è il titolo di questo cartone? Qualcuno lo sa?

BlackBlog francosenia ha detto...

Ovviamente, ho fatto una ricerca abbastanza (sebbene no sia bastata!) approfondita per scovare il cartone animato. Non ci sono riuscito. Auguro miglior fortuna a chi voglia intraprendere la ricerca.

Ciao