« Nella sua ultima raccolta di saggi, "Profanazioni" - la quale vuole essere un tentativo di rimuovere gli homini sacri dal loro circolo vizioso di indecisione - il filosofo italiano Giorgio Agamben evoca la famosa conferenza di Foucault, "Che cos’è un autore?". Agamben ricorda la drastica separazione, stabilita da Foucault, tra la funzione-autore e l'autore come individuo, cosa che lo aveva portato a ripetere, in più occasioni, che il marchio dello scrittore risiede nella singolarità della sua assenza, in attesa che lui, nel gioco della scrittura, svolga il ruolo del morto. (...) Ora, queste considerazioni portano Agamben a concludere che un autore esprime e disegna solo una vita che viene giocata nell'opera - e che è stata giocata come opera. Per poter illustrare questo concetto di autore in quanto gesto, il filosofo si avvale del verso iniziale del "Redobre fúnebre pelos escombros de Durango", il poema XIII di "Espanha, afasta de mim este cálice" [di César Vallejo]. Fedele al principio di Mallarmé secondo cui “ rien n'aura lieu que le lieu “ [non avrà luogo niente se non il luogo], Agamben si chiede se il significato di quel verso – “ Padre polvo que subes de España “ - sia venuto prima o dopo che Vallejo lo scrivesse, il verso. Non c'è niente che ci garantisca che egli abbia prima immaginato, e poi scritto, il verso che ci commuove. Eppure, in effetti, questa ipotesi (il soggetto precede sempre il testo) è la meno plausibile di tutte quelle che potremmo immaginare. È sicuramente assai più probabile che solo dopo aver scritto queste parole, il sentimento che esse contengono sia diventato reale per l'individuo César Vallejo, cosa che spinge Agamben a concludere che il luogo - o, piuttosto, l'aver luogo - della poesia non si trova, perciò , né nel testo né nell'autore (o nel lettore): ma si trova nel gesto attraverso cui autore e lettore si mettono in gioco nel testo e, simultaneamente, se ne ritraggono e ne fuggono, all'infinito; in modo tale che l'autore è solamente il testimone, non è altro che colui il quale garantisce la propria assenza nell'opera, dal momento che spetta al lettore, a sua volta, ripercorrere questa assenza come se essa fosse un infinito ricominciare del giogo ».
(Raul Antelo, tradotto da "O autor como gesto. À memória de Ronaldo Assunção")
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