venerdì 11 settembre 2020

Fame!

Morire di fame per la Patria
- di Maurílio Lima Botelho -

Brasile: il prezzo del cibo è esploso. Sui giornali e sui social network si possono vedere circolare le foto degli scaffali dei supermercati su cui si legge il prezzo del riso arrivato a 30, 35 e perfino a 40 real [oltre i 6€].  Fagioli, olio di soia e latte seguono nell'aumento dei prezzi e costituiscono il paniere delle lamentele. Oltre a quello che è il prezzo scandaloso, ad apparire sono ora i limiti imposti a quelli che sono gli acquisti per cliente. Si moltiplica la paura: l'incubo della dissoluzione del potere di acquisto del denaro si unisce alla paura della scarsità. Come sempre le spiegazioni a caldo si basano sui dogmi economici, su elementi superficiali  e perfino su motivazioni bizzarre e curiose. Ma la questione risiede nella struttura stessa dell'economia brasiliana, che oramai da tempo non è più un'«economia nazionale». L'argomentazione più ricorrente che viene usata per il sostanziale aumento dei prezzi dei generi alimentari - che è sulla bocca degli specialisti in perversione finanziaria e che si sente proferire nelle conversazioni da marciapiede contro i «vagabondi» - è quella secondo cui la causa sarebbero gli aiuti di emergenza. Il balbettio economico riunisce e irreggimenta la superficialità del mercato in modo di spiegare l'impennata dei prezzi: la distribuzione del denaro da parte del governo ha portato ad una corrida nei mercati, la quale ha causato l'aumento. Un simile argomento si accompagna sia all'autocelebrazione ufficiale -  la riduzione dell'estrema povertà ha apparecchiato il tavolo del popolo - sia alla mania di persecuzione degli agenti della circolazione delle merci - la vendita al dettaglio si è approfittata della domanda ed ha ritoccato i prezzi, per trarne maggior profitto.
Questa spiegazione ignora quella che è la natura stessa degli alimenti i quali si trovano sotto la pressione inflazionistica: dal momento che si tratta di generi di prima necessità, l'«elasticità redditizia» di tali merci è limitata, e pertanto un guadagno di potere d'acquisto da parte dei consumatori dovrebbe implicare un aumento dei prezzi dei beni superflui. L'impatto sarebbe significativo solo sugli alimenti di base, i quali si trovano già in qualche modo sulla tavola del brasiliano, solo se percepire il reddito di emergenza portasse allo stoccaggio domestico di questi articoli. Gli aiuti hanno cominciato ad essere pagati in aprile, ma l'esplosione dei prezzi è avvenuta a partire dai mesi di luglio e agosto - nel frattempo, laddove l'isolamento sociale è stato più marcato, i prezzi hanno subito un piccolo aumento. Un importante giornale è arrivato a scrivere, parlando del significativo aumento del prezzo del riso del mese scorso, che «se i brasiliani volevano fare scorte di cibo, anche all'estero si è verificata una situazione simile e le esportazioni di riso in agosto sono cresciute del 98%»!
L'argomento della pressione della domanda riesce ad essere ancora meno convincente, nel momento in cui si osserva che il Brasile nel 2020  ha registrato diversi picchi nella produzione agricola, con un record nella produzione di soia, una media di aumento del 5% nelle coltivazioni di fagioli ed una crescita anche nella produzione di riso rispetto all'anno precedente, anche se non si tratta di uno dei migliori raccolti ottenuti.
Una lettura più attenta dovrebbe cercare nella produzione quelle che sono le cause dell'aumento dei prezzi. I produttori agricoli sostengono che ci sarebbe stato un significativo aumento dei costi, soprattutto quelli dei fertilizzanti e dei prodotti fitosanitari, sebbene sul mercato internazionale il prezzo de petrolio sia sceso drasticamente. Dal momento che il Brasile è diventato uno dei paesi agricoli maggiormente dipendenti dall'importazione di prodotti chimici (a seguito della deindustrializzazione a lungo termine), l'impatto sull'aumento del prezzo finale è proporzionale al tasso di cambio. Inoltre, è in aumento anche il costo dei terreni; negli ultimi mesi i contratti di locazione hanno puntato al rialzo. In tal caso, si tratta di un fenomeno che ha la sua origine nella crisi del 2008, nel momento in cui le grandi proprietà fondiarie trovavano una «nuova frontiera» di investimenti nell'acquisto di terreni in Brasile, ma si aggrava la caduta del tasso di interesse sui titoli di Stato, cosa che costringeva a cercare attivi immobiliari nelle campagne.
È in questo piano più ampio di «circolazione globale» del capitale che devono essere cercate le principali cause dell'aumento del cibo nel cortile di casa nostra. È la posizione del Brasile nel mercato mondiale - in quanto principale fornitore globale di materie prime agricole (sempre in lotta con l'agroalimentare yankee) - a spiegare come il chilo di fagioli neri, e quello di riso bianco siano arrivati a quasi 40 reali. Se il significativo rialzo del dollaro è stato responsabile dell'aumento dei consumi agricoli, dall'altra parte  ha invece portato al relativo deprezzamento di prodotti brasiliani sul mercato mondiale: il real si trova in cima alla classifica delle monete più svalutate nei confronti del dollaro americano.
A produrre il fenomeno dell'aumento dei prezzi e della relativa  scarsità di cibo sul mercato nazionale, è il collegamento diretto tra la catena agroalimentare brasiliana ed il mercato globale: esattamente proprio perché non c'è più niente che possa essere chiamato mercato nazionale, relativamente dissociato e con strutture distinte rispetto a quelle del mercato mondiale. E tutto ciò vale ancora di più per la struttura della campagna brasiliana, dal momento che non abbiamo mai avuto una reale protezione efficace per la produzione alimentare di piccoli agricoltori. Con un dollaro forte, per il produttore agricolo grande e medio - che si trova connesso alle reti globali della circolazione delle merci - è più vantaggioso mandare il sacco di riso in Cina, piuttosto che a Uberlândia. Nelle nostre terre, il settore agroalimentare è il paradigma del «capitale globale immediato» (Robert Kurz).
Come se fossero un insieme di vasi comunicanti, i circuiti del capitale dislocano le merci che costano meno verso i luoghi dove possono guadagnare un prezzo migliore; una catena di trasmissione, questa, che coinvolge non solo la materialità degli alimenti, ma anche la fluidità monetaria astratta, la quale rende un prodotto più caro o più a buon mercato, a seconda del confronto con le diverse valute. E tutto questo non è affatto un fenomeno recente, poiché negli ultimi decenni - sia che si piangesse o che si ridesse - ciò che noi chiamiamo Brasile è stato trainato dalla produzione di materie prime per il mercato mondiale.
Già in epoca Lula, si poteva osservare come il modello di produzione agroindustriale orientato al mercato esterno, «oltre a promuovere l'espropriazione delle terre e dei modi di vita tradizionali, disorganizzasse la produzione e minacciasse la sicurezza alimentare; come si poteva vedere in quella che era la crescente necessità di importazione di beni di prima necessità». Per quanto il «neodesenvolvimentismo» venisse annunciato, ideologicamente, come se fosse una nuova qualità della crescita sostenuta sul mercato interno, nel 2012, di fronte al rischio dell'abbattimento controllato di bestiame a causa del boom delle materie prime, il Brasile già importava riso e fagioli.
Pertanto, non si tratta di problemi occasionali e sporadici, oppure semplicemente di congiunture che spiegano questo o quell'altro prezzo più salato (il riso è diventato il cattivo di turno a causa anche di una ridotta annata di raccolto causata in Thailandia). E il problema è ancora meno la distribuzione del denaro da parte del governo: il real si può svalutare per poi tornare a rivalutarsi nel momento in cui la trappola fiscale tesa per poter governare l'estrema austerità richiede un'espansione della base monetaria. Qui il problema è che il settore agroalimentare brasiliano è in subbuglio e la natura della logica capitalista viene a galla in maniera evidente. Non basta sottolineare quella che è l'abominevole convivenza di sovrapproduzione e penuria: il successo assoluto di quello che è il settore più dinamico dell'economia brasiliana si traduce necessariamente nella trasformazione del «mercato interno» in qualcosa di secondario. I milioni di brasiliani che ricevono aiuti di emergenza e che temono il futuro in mancanza di questo fragile sostegno monetario, non sono stati solo scartati dal mercato del lavoro, ma sono anche sacrificabili in quanto mercato di consumo. Il successo dell'agroalimentare corrisponde al fallimento sociale della prima (o seconda) potenza agricola del mondo.
La vittoria dell'agroalimentare è la dimostrazione di come le uniche imprese ancora redditizie siano quelle della distruzione ambientale e dello smantellamento sociale. Qualche mese fa, i neoliberisti sociopatici chiedevano che i loro nonni morissero di Covid, in nome del proseguimento e del mantenimento dell'economia aperta. Ora, per giustificare i crescenti profitti derivanti dall'agroalimentare, devono cominciare a preparare i discorsi in cui esortano i giovani a morire di fame per l'«Amata Patria».

- Maurílio Lima Botelho - Pubblicato il 10/9/2020 su Ensaios e Textos Libertários -

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