«Scientificamente, viene chiamato "antropocene" il periodo della storia della Terra dominato dall'uomo, dove l'uomo esercita un controllo sempre più grande sui cicli naturali. Daniel Cunha, nel saggio "L'antropocene come feticismo", dimostra l'insostenibilità di tale concetto: non è l'uomo in sé, bensì il capitalismo, nella sua dinamica distruttiva che porta alla distruzione dell'ambiente su scala planetaria. Quindi non si può parlare in alcun modo di controllo, in quanto la dinamica cieca della valorizzazione capitalista è esattamente il contrario di un controllo sociale cosciente. E' nella "geo-ingegneria" che diventa particolarmente chiara la follia della "razionalità" capitalista, o il moderno dominio della natura, il quale intende la natura sempre come un substrato per la valorizzazione del capitale (almeno nel senso della scienza applicata all'economia di impresa) e vuole ipotecare un ambiente abitabile domani agli interessi lucrativi oggi. L'autore mostra le perturbazioni del cicli globali del capitalismo e delinea diverse "contromisure" ormai inutili (come il regime di controllo delle emissioni) che, di fatto, hanno fallito completamente, in quanto non affrontano il problema reale né le sue cause. E' proprio questo fine in sé della valorizzazione del capitale che bisogna far saltare, se l'umanità vuole vivere un futuro in termini di ambiente naturale degno di esser vissuto.» (Riassunto tratto dalla Rivista EXIT! n°13)
L'antropocene come Feticismo
- Postfazione di Thomas Meyer -
Leggere a proposito della catastrofe climatica a venire, nell'indifferente provoca uno sbadiglio dettato dalla noia: si è già sentito tutto ed è già successo tutto, ma di regola non si vede proprio niente. A partire dalle notizie, di certo già sentite molte volte, a proposito del fatto che abbiamo di nuovo a che fare con il mese più torrido che ci sia mai stato da quando esiste un registro metereologico, la vita ignorante continua nella sua falsità, come sempre apparentemente "normale". Ma questa normalità immaginaria si basa appunto solo sull'ignoranza del soggetto narcisista della postmodernità, che arriva senza dubbio ad immaginare diverse fini del mondo, ma, dall'altro lato, non riesce a pensare niente di più plausibile del fatto che il mondo deve essere finanziabile, costi quel che costi! Il denaro, come si sa, non manca.
Naturalmente, anche aprire il giornale e leggere del capitalismo e delle catastrofi che ha scatenato, nemmeno questa è una novità. Vale tuttavia la pena affrontare la questione in maniera più dettagliata. Il testo di Daniel Cuhna cerca di sviluppare, nei termini della critica del valore, il problema del dominio capitalista della natura, insieme alle questioni a tale dominio associate - in maniera diversa rispetto a come hanno fatto Adorno e Horkheimer ne La Dialettica dell'Illuminismo, in cui anche essi tendono alla mitologia, riferendosi sempre alla valorizzazione del valore realmente capitalista. Qui diventa importante anche non solo muoversi sul piano della logica del capitale, ma è necessario arricchire tale piano con la corrispondente empiria e, simultaneamente, inserire l'empiria all'interno di un contesto di teoria sociale, in quanto solo così diventa realmente comprensibile. Dal momento che, sotto quest'aspetto, non ci si può aspettare niente da parte del lavoro accademico ufficiale, occuparsene è compito della teoria critica della società. Qui diventa ancora più importante essere a conoscenza delle elaborazioni degli altri a proposito di tali questioni (come, ad esempio, le alterazioni climatiche, il capitalismo agricolo, la produzione di plastica [*1] ed il trasporto individuale), e che in tal modo continui a svilupparsi il discorso corrispondente: ovviamente, con la segreta speranza che i punti di vista che ne risultano si diffondano anche al di là della ristretta cerchia degli intellettuali critici di sinistra.
Per quanto sia interessante, il testo di Daniel Cunha presenta tuttavia alcuni aspetti problematici, che esigono da parte mia un commento critico.
Il modo in cui si produce nel capitalismo non è guidato dalle necessità delle persone, né tanto meno da criteri di sostenibilità ecologica. Sebbene Cunha affermi giustamente che il processo di valorizzazione capitalista determini i contenuti della produzione ed il processo stesso di produzione, egli affronta in maniera acritica quelli che sono alcuni risultati tecnologici del capitalismo. In realtà, Cunha osserva che i mezzi di produzione e i processi di produzione dovrebbero essere radicalmente riformulati, in maniera che possano finalmente diventare arte - vale a dire, qualcosa di decisamente diverso; ma l'esagerato ottimismo che troviamo alla fine del su testo appare in contraddizione con questo, sembra essere fuori luogo.
È il caso questo, per esempio, dell'automazione. Come viene spiegato nel testo, nel capitalismo essa non serve a risparmiare lavoro, per poter così facilitare la vita. Ma ciò significa che - quando sarà stato abolito il capitalismo - questo non vuol dire che tutti i settori che finora sono stati automatizzati continueranno così. Per esempio. c'è l'idea, da parte di Google fra gli altri, di automatizzare la circolazione delle automobili, per poter così risparmiare sui "costi del personale" delle imprese di logistica e di taxi (cfr. Boris Mayer, "Roboter in straßenverkehr"[“Robot sulla strada”], in Jungle World nº 29/2015). Inoltre su molti siti si parla di "robot carers" [robot badanti(!)] per gli anziani e di "robot didattici"(!) per gli studenti; inoltre, a Nagasaki è stato costruito il primo albergo robotizzato(!), dove il trasporto dei bagagli, l'accoglienza degli ospiti ecc. vengono svolti da robot. Ovviamente, tutto questo serve alla "riduzione dei costi". Qui diventa chiaro che è il capitalismo ad emanciparsi sempre più dalle persone, piuttosto che essere le persone ad emanciparsi dal capitalismo.
Se e in che misura si devono modificare i risultati del capitalismo, se devono essere fondamentalmente mantenuti oppure aboliti, non può essere deciso in anticipo, ma lo si può fare solo sempre in concreto. La "cura delle persone" automatizzata non è certamente auspicabile, ma nel caso dell'estrazione mineraria automatizzata ecco che la cosa diventa già differente. Quando il capitalismo sarà stato abolito, e non ci sarà più alcuna coercizione al fine di aumentare la produttività indipendentemente dal contenuto, dai bisogni, ecc., a quel punto questo vorrà anche dire che in una società comunista possono esistere, parallelamente, fianco a fianco, differenti livelli di produttività, e che quindi non esisterà più un "pregiudizio morale" (Marx). Certo, ha del tutto senso produrre automaticamente molte sedie e produrle rapidamente se è necessario; ma, d'altra parte, non c'è niente contro il fatto che si costruiscano sedie in maniera più "tradizionale", per il gusto di farlo, per il piacere estetico, per il piacere di voler svolgere un lavoro manuale. Siamo noi ad usare la tecnica come una nostra capacità e secondo una nostra decisione, e non è essa ad usarci, semplicemente per il fatto che "c'è". Ma questo ne consegue anche che l'automazione non è semplicemente qualcosa che è benvenuta, e pertanto è sbagliato dire che dovrebbe solamente essere liberata dal giogo del capitale. Suona un po' come quella frase del vecchio marxismo, secondo la quale il capitalismo "decadente" blocca lo sviluppo delle forze produttive, e nel comunismo, al contrario, queste forze produttive potrebbero finalmente svilupparsi pienamente. Appropriarsi di quello che si costituisce in forma alienata, come avviene nell'elaborazione di Cunha, tuttavia può anche voler semplicemente abolirlo (in tutto o in parte).
È sicuramente vero che il capitalismo reprime oppure occulta il potenziale umano (specialmente per quel che dice riguardo la solidarietà e la cooperazione sociale), ma è ingenuo scrivere che con l'abolizione del capitalismo questo potenziale verrebbe semplicemente liberato. Poiché, in primo luogo, il capitalismo ha portato un determinato potenziale umano al suo pieno sviluppo, facendolo al servizio della valorizzazione del valore, con delle conseguenze che sono in parte estremamente fatali, in maniera tale che questa capacità dovrebbe innanzitutto essere ridotta o abolita, e in nessun modo "liberata", e poi, in secondo luogo, solo dopo verranno scoperti e sviluppati, al di là della valorizzazione del valore, i percorsi e le attitudini, viste come "alternative umane" (Bini Adamczak), poiché non esistono delle cose che si trovano semplicemente "incrostate" nel capitalismo.
L'autore parla anche del dominio capitalista sulla natura, con le sue conseguenze distruttive, che raggiungono il loro punto più alto con la perversione della geo-ingegneria. Ma, non appena l'umanità si trovasse ad essere libera dalla valorizzazione del valore e dalla sua ragione strumentale, potrebbe sembrare che il dominio della natura ed il controllo dei circuiti planetari che mirano all'onnipotenza non costituirebbe più alcun problema. Neanche la geo-ingegneria, sebbene anche nel comunismo la dinamica del clima potrebbe costituire un problema assai complicato e per niente lineare, continuerebbe ad essere troppo rischiosa.
Certamente, anche nel comunismo ci sarà una forma di dominio sulla natura che, tuttavia, sarà fondamentalmente diversa da quello esistente nel capitalismo. Sarà un dominio della natura che non astrarrà dai bisogni umani e dai bisogni della natura, né dalla logica propria ai suoi diversi sottosistemi e, pertanto, non verrà usata come se fosse un mero substrato per la realizzazione del valore - contrariamente a come avviene nel capitalismo. Dall'altro lato, sarebbe ingenuo immaginare la futura relazione uomo-natura come se si trattasse di una riconciliazione fra di essi, o anche nel senso di un'armonia, così come viene esposta nelle ridicole fantasie di un Charles Fourier; poiché ciò significherebbe presupporre che la natura di per sé ci vuole bene, e che essa sarebbe dotata di una volontà che terrebbe conto delle nostre necessità. Al più tardi, quando qualcuno venisse infettato da un virus mortale, si dovrebbe constatare che la riconciliazione non è possibile (a meno che per riconciliazione non si debba intendere sostenibilità ecologica, ma non sembra che sia questo quello che Cunha vuole dire).
Il dominio sulla natura - mirando all'onnipotenza - ed il suo presunto opposto - l'illusione di un'armonia nella e con la natura, in cui anche il leone verrebbe geneticamente "riprogrammato" come vegano - sono, a mio avviso, le due facce della stessa moneta. Il soggetto borghese, vale a dire, androcentrico si sforza di sottomettere tutta la natura, e pertanto anche sé stesso, in maniera tale che possa funzionare da substrato della valorizzazione del valore. Una volta che la valorizzazione del valore non ha limiti, anche il corrispondente dominio della natura non può conoscere limiti: da qui il dominio sulla natura che mira all'onnipotenza.
Ma, dall'altro lato, il soggetto riesce ad arrivare a questo solo per mezzo della dissociazione di tutti quegli aspetti che non possono essere assorbiti all'interno della forma valore, e questa dissociazione diventa quindi una "femminilità" immaginata che nel momento in cui le si contrappone, a sua volta, deve semplicemente incarnare di nuovo la natura, una "natura" contrapposta a sé stessa, come se fosse un Altro di per sé curativo; la "natura" vista come «scrofa che depone le uova e che produce latte e lana» [*2] per il soggetto androcentrico: quindi, la natura vista come struttura armoniosa immaginata.
Inoltre, è particolarmente doloroso che Cunha promuova le fantasie della creazione genetica. Anche qui, forse sarebbe auspicabile creare carne senza passare dalla "deviazione" attraverso l'animale, ma se questo venisse inteso come sostituzione dell'allevamento del bestiame in generale, in tal caso la cosa avrebbe delle conseguenze ecologiche catastrofiche, come viene mostrato da Anita Idel, nel suo libro "Die Kuh ist kein Klimakiller"[Non è la mucca l'assassina del clima] [*3] (per evitare malintesi, per allevamento di bestiame, qui non si intende allevamento industriale intensivo). Anche rispetto a questo punto, si vede nuovamente l'ingenuo ottimismo del progresso tecnologico. Nel mondo dell'ingegneria genetica, del resto, simili scenari di creazione sono stati programmati, per esempio, con frutta e legumi coltivati in gigantesche fabbriche bio-tecnologiche, con l'obiettivo di razionalizzare la professione contadina (!) (cfr. Jeremy Rifkin, "Das biotechnische Zeitalter" ["L'era della biotcnologia"], 1998). Che in ogni caso questo avvenga nell'agro-capitalismo globale, viene dimostrato, ad esempio, da Walden Bello, nel suo libro "The Food Wars" (2009), e da Peter Jonas, nel suo saggio “Jenseits der Agrarrevolution” ["Oltre la rivoluzione agraria"], apparso sulla rivista Kosmprolet n°3.
Va anche sottolineato criticamente il fatto che in alcuni punti Cunha attribuisce al tasso di interesse un effetto socialmente determinante. Forse intende dire che il profitto esasperato è il fattore determinante per la produzione. Ma, dal momento che oggi la produzione può avere difficilmente inizio senza credito, il tasso di interesse può perciò essere visto come espressione del plusvalore o come espressione del profitto atteso. Si tratta, tuttavia, di una formulazione infelice, che può portare a dei malintesi (a proposito del "nuovo capitale finanziario" e del suo ruolo nella crisi del sistema produttore di merci, si veda: Robert Kurz, "Das weltkapital. globalisierung und innere schranken des modernen warenproduzierenden systems" ["Il capitale mondiale. Globalizzazione e limiti interni del moderno sistema produttore di merci"], Berlino, 2005).
In sintesi, si può constatare che gli aspetti da criticare nel testo di Cunha possono in parte essere dovuti al fatto che Cunha, a mio avviso, sia sia orientato, in termini di critica del valore, più verso Moishe Postone e, pertanto, anche verso i suoi deficit teorici. Da tutto ciò, quello che emerge è una critica del valore riduttiva ed androcentrica che può essere espressa nel dominio sulla natura, e di conseguenza non problematizzata per quanto riguarda l'ottimismo tecnologico che ne può derivare.
- Thomas Meyer - Originariamente pubblicato su "Mediations – Journal of the Marxist Literary Group", Chicago, v. 28, n. 2, Spring 2015
NOTE:
[*1] - Si veda sul tema: Gerhard Pretting, Werner Boote, "Plastic Planet – Die dunkle Seite der Kunststoffe" ["Plastic Planet - Il lato oscuro della plastica"], Orange Press, 2014. Gli autori dimostrano le conseguenze estremamente allarmanti dovute alla produzione di plastica, a partire dall'inquinamento onnipresente delle montagne di rifiuti globali e dal "continente di rifiuto" nel Pacifico, per arrivare all'ingresso nella catena alimentare di minuscole particelle di plastica. A tutto questo, si aggiunge il fatto che la plastica contiene molte sostanze che vi sono dissolte, come ad esempio i cosiddetti "plastificanti", che si depositano nei corpo e possono causare nelle persone e negli animali cancro e sterilità. Gli autori sottolineano anche il debole effetto delle diverse misure adottate post festum dallo Stato, vale a dire, senza che venga toccato il processo produttivo. Quello che non riescono a chiarire, a causa della mancanza dei presupposti della critica dell'economia, è da dove provenga l'enorme "necessità" della plastica, e perché il suo utilizzo sia in continua crescita.
[*2] - Qui viene tradotta letteralmente l'espressione idiomatica tedesca "eierlegendes und milchgebendes Wollschwein"
[*3] - Il libro di Anita Idel (dal sottotitolo: "Come l'agro-industria sta devastando la Terra e che cosa possiamo fare contro tutto questo")D è un testo eccellente, anche contro l'ideologia del veganesimo politico.
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