L'argomentazione di Moishe Postone, a favore di una rilettura della teoria di Marx, ha però un'altra più potente freccia al suo arco e che finora abbiamo trascurato.
L'argomento di Postone è sorprendentemente semplice: C'è un limite materiale reale alla quantità di valore che può funzionare come capitale, cioè, come valore auto-espandibile. Questo limite è uguale alla somma del valore di scambio pagato alla classe operaia sotto forma di salari. Il capitale è produzione per il profitto, e per questa produzione esso richiede l'impiego di lavoro salariato. Da ciò ne consegue che il limite imposto alla produzione per il profitto è dato dal limite imposto all'utilizzo di forza lavoro impiegata allo scopo dell'auto-espansione del valore. Perciò, la forza lavoro, la merce capitalista per antonomasia, non media solamente la produzione di ricchezza materiale e la sua propria produzione, ma essa media anche la produzione di capitale, vale a dire, di valore auto-espandibile.
Nel Capitale (V3, 15), Marx spiega che l'estrazione di così tanto plusvalore da parte del lavoratore non è l'atto finale della produzione capitalistica. Il plusvalore estratto deve ora essere riconvertito in denaro:
«Il plusvalore è prodotto non appena il plus-lavoro che è possibile estorcere si trova oggettivato nelle merci. Ma con questa produzione del plusvalore si chiude solo il primo atto del processo di produzione capitalistico, la produzione immediata. Il capitale ha assimilato una quantità determinata di lavoro non pagato. Contemporaneamente allo sviluppo del processo, che si esprime in una diminuzione del saggio del profitto, la massa di plusvalore così prodotta si gonfia all’infinito. Comincia ora il secondo atto del processo. La massa complessiva delle merci, il prodotto complessivo, tanto la parte che rappresenta il capitale costante e variabile, come quella che rappresenta il plusvalore, deve essere venduta. Qualora questa vendita non abbia luogo o avvenga solo in parte oppure a prezzi inferiori a quelli di produzione, lo sfruttamento dell’operaio, che esiste in ogni caso, non si tramuta in un profitto per il capitalista e può dar luogo ad una realizzazione nulla o parziale del plusvalore estorto ed anche a una perdita parziale o totale del suo capitale.»
Anche se assumiamo la produzione per il profitto, l'estrazione di plusvalore da parte del lavoratore non si realizza necessariamente come profitto per il capitalista. La produzione e la realizzazione del plusvalore sono due fasi separate della circolazione del capitale. Non solo, tuttavia: anche se assumiamo che il capitale variabile abbia attraversato successivamente entrambe le fasi, esso non sarà ancora stato convertito in guadagno di capitale fino a quando non sarà stato ancora scambiato con forza lavoro.
L'argomento di Postone è sorprendentemente semplice: C'è un limite materiale reale alla quantità di valore che può funzionare come capitale, cioè, come valore auto-espandibile. Questo limite è uguale alla somma del valore di scambio pagato alla classe operaia sotto forma di salari. Il capitale è produzione per il profitto, e per questa produzione esso richiede l'impiego di lavoro salariato. Da ciò ne consegue che il limite imposto alla produzione per il profitto è dato dal limite imposto all'utilizzo di forza lavoro impiegata allo scopo dell'auto-espansione del valore. Perciò, la forza lavoro, la merce capitalista per antonomasia, non media solamente la produzione di ricchezza materiale e la sua propria produzione, ma essa media anche la produzione di capitale, vale a dire, di valore auto-espandibile.
Nel Capitale (V3, 15), Marx spiega che l'estrazione di così tanto plusvalore da parte del lavoratore non è l'atto finale della produzione capitalistica. Il plusvalore estratto deve ora essere riconvertito in denaro:
«Il plusvalore è prodotto non appena il plus-lavoro che è possibile estorcere si trova oggettivato nelle merci. Ma con questa produzione del plusvalore si chiude solo il primo atto del processo di produzione capitalistico, la produzione immediata. Il capitale ha assimilato una quantità determinata di lavoro non pagato. Contemporaneamente allo sviluppo del processo, che si esprime in una diminuzione del saggio del profitto, la massa di plusvalore così prodotta si gonfia all’infinito. Comincia ora il secondo atto del processo. La massa complessiva delle merci, il prodotto complessivo, tanto la parte che rappresenta il capitale costante e variabile, come quella che rappresenta il plusvalore, deve essere venduta. Qualora questa vendita non abbia luogo o avvenga solo in parte oppure a prezzi inferiori a quelli di produzione, lo sfruttamento dell’operaio, che esiste in ogni caso, non si tramuta in un profitto per il capitalista e può dar luogo ad una realizzazione nulla o parziale del plusvalore estorto ed anche a una perdita parziale o totale del suo capitale.»
Anche se assumiamo la produzione per il profitto, l'estrazione di plusvalore da parte del lavoratore non si realizza necessariamente come profitto per il capitalista. La produzione e la realizzazione del plusvalore sono due fasi separate della circolazione del capitale. Non solo, tuttavia: anche se assumiamo che il capitale variabile abbia attraversato successivamente entrambe le fasi, esso non sarà ancora stato convertito in guadagno di capitale fino a quando non sarà stato ancora scambiato con forza lavoro.
Una massa di denaro, per funzionare come capitale, deve essere convertita in forza lavoro; deve essere messa a lavorare producendo una massa di merci; questa massa di merci deve essere venduta; ed il denaro ottenuto dev'essere ancora una volta convertito in forza lavoro.
Il denaro non è capitale. Per diventare capitale, il denaro dev'essere scambiato con forza lavoro, e la forza lavoro deve essere messa a lavorare, producendo plusvalore. Questo dev'essere sottolineato, in quanto molte persone confondono il denaro - specialmente le grandi quantità di denaro - con il capitale.
L'enorme quantità di denaro cash, sulla quale oggi si trova seduta la Apple, secondo quanto viene riportato dalla stampa finanziaria, non è capitale. È denaro. Per diventare capitale, dovrebbe essere convertito in (scambiato con) forza lavoro e messo a lavorare per produrre plusvalore. Il denaro è capitale solo nella misura in cui viene scambiato con forza lavoro allo scopo di un'auto-espansione del valore del denaro. Anche se questo può sembrare non sia problematico, in realtà l'impego di forza lavoro per l'auto-espansione del valore del denaro non è così semplice come sembra. Si consideri, per esempio, l'enorme ammasso di denaro aziendale della Apple, che è stato stimato in circa 250 trilioni di dollari
Il denaro non è capitale. Per diventare capitale, il denaro dev'essere scambiato con forza lavoro, e la forza lavoro deve essere messa a lavorare, producendo plusvalore. Questo dev'essere sottolineato, in quanto molte persone confondono il denaro - specialmente le grandi quantità di denaro - con il capitale.
L'enorme quantità di denaro cash, sulla quale oggi si trova seduta la Apple, secondo quanto viene riportato dalla stampa finanziaria, non è capitale. È denaro. Per diventare capitale, dovrebbe essere convertito in (scambiato con) forza lavoro e messo a lavorare per produrre plusvalore. Il denaro è capitale solo nella misura in cui viene scambiato con forza lavoro allo scopo di un'auto-espansione del valore del denaro. Anche se questo può sembrare non sia problematico, in realtà l'impego di forza lavoro per l'auto-espansione del valore del denaro non è così semplice come sembra. Si consideri, per esempio, l'enorme ammasso di denaro aziendale della Apple, che è stato stimato in circa 250 trilioni di dollari
L'Apple si trova seduta su una tale montagna di denaro contante proprio per il fatto che quel denaro non può diventare capitale; non riesce a trovare una strada che lo porti ad essere scambiato con forza lavoro allo scopo dell'auto-espansione del suo valore.
È interessante notare, sempre nel Libro III del Capitale, capitolo 15, che Marx aveva predetto che tutto ciò si sarebbe verificato allorché il tasso di profitto fosse caduto ad un livello tale che solamente per i capitali più grandi sarebbe stato possibile impiegare forza lavoro con profitto:
«Contemporaneamente alla caduta del saggio del profitto aumenta il minimo di capitale che è necessario al capitalista individuale per la messa in opera produttiva del lavoro, tanto per il suo sfruttamento in generale, come per far sì che il tempo di lavoro impiegato corrisponda al tempo necessario per la produzione delle merci e non oltrepassi la media di tempo di lavoro socialmente necessario alla loro produzione. Nello stesso tempo s’accentua la concentrazione perché, oltre certi limiti, un grande capitale con un basso saggio del profitto accumula più rapidamente di un capitale piccolo con un elevato saggio del profitto. Questa crescente contrazione provoca a sua volta, non appena abbia raggiunto un certo livello, una nuova diminuzione del saggio del profitto. La massa dei piccoli capitali frantumati viene così trascinata sulla via delle avventure: speculazione, imbrogli creditizi ed azionari, crisi. Quando si parla di pletora di capitale ci si riferisce sempre o quasi sempre, in sostanza, alla pletora di capitale per il quale la caduta del saggio di profitto non è compensata dalla sua massa — e questo avviene sempre nel caso di nuovi capitali di formazione derivata — oppure alla pletora che questi capitali, incapaci di funzionare da soli, mettono a disposizione dei dirigenti delle grandi industrie sotto forma di credito. Questa pletora di capitale viene determinata dalle stesse circostanze che generano una sovrappopolazione relativa e ne costituisce quindi una manifestazione complementare, quantunque i due fenomeni si trovino ai poli opposti, capitale inutilizzato da un lato e popolazione operaia inutilizzata dall’altro.»
È interessante notare, sempre nel Libro III del Capitale, capitolo 15, che Marx aveva predetto che tutto ciò si sarebbe verificato allorché il tasso di profitto fosse caduto ad un livello tale che solamente per i capitali più grandi sarebbe stato possibile impiegare forza lavoro con profitto:
«Contemporaneamente alla caduta del saggio del profitto aumenta il minimo di capitale che è necessario al capitalista individuale per la messa in opera produttiva del lavoro, tanto per il suo sfruttamento in generale, come per far sì che il tempo di lavoro impiegato corrisponda al tempo necessario per la produzione delle merci e non oltrepassi la media di tempo di lavoro socialmente necessario alla loro produzione. Nello stesso tempo s’accentua la concentrazione perché, oltre certi limiti, un grande capitale con un basso saggio del profitto accumula più rapidamente di un capitale piccolo con un elevato saggio del profitto. Questa crescente contrazione provoca a sua volta, non appena abbia raggiunto un certo livello, una nuova diminuzione del saggio del profitto. La massa dei piccoli capitali frantumati viene così trascinata sulla via delle avventure: speculazione, imbrogli creditizi ed azionari, crisi. Quando si parla di pletora di capitale ci si riferisce sempre o quasi sempre, in sostanza, alla pletora di capitale per il quale la caduta del saggio di profitto non è compensata dalla sua massa — e questo avviene sempre nel caso di nuovi capitali di formazione derivata — oppure alla pletora che questi capitali, incapaci di funzionare da soli, mettono a disposizione dei dirigenti delle grandi industrie sotto forma di credito. Questa pletora di capitale viene determinata dalle stesse circostanze che generano una sovrappopolazione relativa e ne costituisce quindi una manifestazione complementare, quantunque i due fenomeni si trovino ai poli opposti, capitale inutilizzato da un lato e popolazione operaia inutilizzata dall’altro.»
A leggere Marx, sembrerebbe che i 250 trilioni di dollari di capitale morto della Apple, si trovino oggi ad essere al di sotto del minimo richiesto per un utilizzo produttivo del lavoro.
Quest'idea mi lascia davvero sconcertato. Come può essere? In quale realtà alternativa, 250 trilioni di dollari sarebbero un capitale troppo piccolo per poter realizzare un profitto decente?
Marx spiega che questo può essere causato solamente da una massiccia superfluità, sovrabbondante, di capitale, tale che l'investimento aggiuntivo si tradurrebbe in una svalutazione generale del capitale totale: « Non appena dunque il capitale fosse aumentato in proporzione tale rispetto alla popolazione operaia che non potrebbe essere prolungato né il tempo di lavoro assoluto fornito da tale popolazione né essere esteso il tempo di plus-lavoro relativo (questo ultimo caso del resto non potrebbe verificarsi qualora la domanda di lavoro fosse così elevata da determinare una tendenza al rialzo dei salari), allorché quindi il capitale accresciuto producesse una massa di plusvalore solo equivalente o addirittura inferiore a quella prodotta prima del suo aumento, allora si avrebbe una sovrapproduzione assoluta di capitale; ovvero il capitale accresciuto C + Δ C non produrrebbe un profitto maggiore oppure produrrebbe un profitto minore di quello dato dal capitale C prima del suo aumento di Δ C. In entrambi i casi si verificherebbe una notevole ed improvvisa diminuzione del saggio generale del profitto provocata dal cambiamento della composizione del capitale, che non deriverebbe dallo sviluppo della forza produttiva bensì da un accrescimento del valore monetario del capitale variabile (in seguito all’aumento dei salari) e dalla corrispondente diminuzione nel rapporto tra plus-lavoro e lavoro necessario.»
Quest'idea mi lascia davvero sconcertato. Come può essere? In quale realtà alternativa, 250 trilioni di dollari sarebbero un capitale troppo piccolo per poter realizzare un profitto decente?
Marx spiega che questo può essere causato solamente da una massiccia superfluità, sovrabbondante, di capitale, tale che l'investimento aggiuntivo si tradurrebbe in una svalutazione generale del capitale totale: « Non appena dunque il capitale fosse aumentato in proporzione tale rispetto alla popolazione operaia che non potrebbe essere prolungato né il tempo di lavoro assoluto fornito da tale popolazione né essere esteso il tempo di plus-lavoro relativo (questo ultimo caso del resto non potrebbe verificarsi qualora la domanda di lavoro fosse così elevata da determinare una tendenza al rialzo dei salari), allorché quindi il capitale accresciuto producesse una massa di plusvalore solo equivalente o addirittura inferiore a quella prodotta prima del suo aumento, allora si avrebbe una sovrapproduzione assoluta di capitale; ovvero il capitale accresciuto C + Δ C non produrrebbe un profitto maggiore oppure produrrebbe un profitto minore di quello dato dal capitale C prima del suo aumento di Δ C. In entrambi i casi si verificherebbe una notevole ed improvvisa diminuzione del saggio generale del profitto provocata dal cambiamento della composizione del capitale, che non deriverebbe dallo sviluppo della forza produttiva bensì da un accrescimento del valore monetario del capitale variabile (in seguito all’aumento dei salari) e dalla corrispondente diminuzione nel rapporto tra plus-lavoro e lavoro necessario.»
Conosciamo quella che viene chiamata sovrapproduzione capitalistica semplice. Avviene quando le imprese capitaliste producono troppe scarpe o troppe case per poter riuscire a venderle proficuamente sul mercato poiché all'improvviso l'eccesso di scarpe e di case fa crollare i prezzi.
Marx ha fatto un passo in più. Ha predetto che alla fine il capitalismo non produrrebbe solo troppe scarpe e case, ma produrrebbe troppo capitale per poter essere investito con profitto. A quel punto ogni nuovo investimento si fermerebbe. Marx ha definito questa forma di sovrapproduzione, la sovrapproduzione assoluta del capitale.
I 250 trilioni dell'Apple segnalano che abbiamo raggiunto la sovrapproduzione assoluta del capitale? Come possiamo sapere se è così? Perfino Postone, a tal proposito, sostiene che la teoria di Marx non può essere verificata empiricamente. La domanda è pertinente perché, a partire dal Marzo del 2017, il capitale morto, secondo Fortune 500, ora ammonta a quasi 3 trilioni di dollari. In sostanza, 3 trilioni di dollari sono ora una massa di capitale che è insufficiente per essere investito in maniera redditizia.
Giusto per rendersi conto di cosa stiamo parlando, vorrei aggiungere che solo quattro paesi (Stati Uniti, Cina, Giappone e Germania) hanno un PIL superiore a 3 trilioni di dollari!
Anche se convertire denaro in capitale potrebbe sembrare una proposta piuttosto lineare - si acquista un bel po' di forza lavoro e la si mette a lavorare per produrre ammennicoli - la massa minima di capitale sufficiente per poter essere impegnata in questo tipo di comportamento ora supera i tre trilioni di dollari.
La questione è che questo enorme ammasso di capitale morto dovrebbe fare sorgere in ciascuno la domanda se si tratta dell'espressione pratica di ciò che Postone intende quando dice che il valore è diventato anacronistico. Questo ammasso di capitale morto è diventato ora del tutto superfluo per la produzione di ricchezza materiale ed è (quindi) incapace di ulteriore auto-espansione? E pur essendo superfluo come capitale, può ancora essere impiegato per affrontare problemi come la povertà, il degrado ambientale, la disuguaglianza, ecc.?
La prima domanda riguarda le implicazioni del capitale morto in quanto capitale - come una massa di valore che cerca la propria auto-espansione. La seconda domanda chiede invece se il valore, a prescindere dal suo scopo in quanto capitale, abbia qualche altra utilità per la società.
Anche assumendo, basandoci sull'operato di Fortune 500, che l'ammasso non abbia alcuna utilità come capitale, Postone ha sostenuto che non solo è inutile come capitale, ma è anche anacronistico come valore. Per un qualsiasi scopo sociale reale, la massa di capitale morto potrebbe anche non esistere affatto. Molte persone potrebbero ammettere che il tesoro dell'Apple è di gran lunga superiore a quello che può essere impiegato dall'Apple per produrre plusvalore. Ma nessuno, che io sappia, suggerisce che il tesoro dell'Apple non può essere impiegato, per esempio, come entrate statali - cioè, per uno scopo diverso dall'auto-espansione capitalista; per "investimenti" in infrastrutture, reddito di base, sanità nazionale. ecc.. Ad ogni modo, l'argomento di Postone è che, anche per questi scopi, l'ammasso di capitale morto dell'Apple è completamente superfluo.
Marx ha fatto un passo in più. Ha predetto che alla fine il capitalismo non produrrebbe solo troppe scarpe e case, ma produrrebbe troppo capitale per poter essere investito con profitto. A quel punto ogni nuovo investimento si fermerebbe. Marx ha definito questa forma di sovrapproduzione, la sovrapproduzione assoluta del capitale.
I 250 trilioni dell'Apple segnalano che abbiamo raggiunto la sovrapproduzione assoluta del capitale? Come possiamo sapere se è così? Perfino Postone, a tal proposito, sostiene che la teoria di Marx non può essere verificata empiricamente. La domanda è pertinente perché, a partire dal Marzo del 2017, il capitale morto, secondo Fortune 500, ora ammonta a quasi 3 trilioni di dollari. In sostanza, 3 trilioni di dollari sono ora una massa di capitale che è insufficiente per essere investito in maniera redditizia.
Giusto per rendersi conto di cosa stiamo parlando, vorrei aggiungere che solo quattro paesi (Stati Uniti, Cina, Giappone e Germania) hanno un PIL superiore a 3 trilioni di dollari!
Anche se convertire denaro in capitale potrebbe sembrare una proposta piuttosto lineare - si acquista un bel po' di forza lavoro e la si mette a lavorare per produrre ammennicoli - la massa minima di capitale sufficiente per poter essere impegnata in questo tipo di comportamento ora supera i tre trilioni di dollari.
La questione è che questo enorme ammasso di capitale morto dovrebbe fare sorgere in ciascuno la domanda se si tratta dell'espressione pratica di ciò che Postone intende quando dice che il valore è diventato anacronistico. Questo ammasso di capitale morto è diventato ora del tutto superfluo per la produzione di ricchezza materiale ed è (quindi) incapace di ulteriore auto-espansione? E pur essendo superfluo come capitale, può ancora essere impiegato per affrontare problemi come la povertà, il degrado ambientale, la disuguaglianza, ecc.?
La prima domanda riguarda le implicazioni del capitale morto in quanto capitale - come una massa di valore che cerca la propria auto-espansione. La seconda domanda chiede invece se il valore, a prescindere dal suo scopo in quanto capitale, abbia qualche altra utilità per la società.
Anche assumendo, basandoci sull'operato di Fortune 500, che l'ammasso non abbia alcuna utilità come capitale, Postone ha sostenuto che non solo è inutile come capitale, ma è anche anacronistico come valore. Per un qualsiasi scopo sociale reale, la massa di capitale morto potrebbe anche non esistere affatto. Molte persone potrebbero ammettere che il tesoro dell'Apple è di gran lunga superiore a quello che può essere impiegato dall'Apple per produrre plusvalore. Ma nessuno, che io sappia, suggerisce che il tesoro dell'Apple non può essere impiegato, per esempio, come entrate statali - cioè, per uno scopo diverso dall'auto-espansione capitalista; per "investimenti" in infrastrutture, reddito di base, sanità nazionale. ecc.. Ad ogni modo, l'argomento di Postone è che, anche per questi scopi, l'ammasso di capitale morto dell'Apple è completamente superfluo.
fonte: The Real Movement
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