«Una storia di lealtà e tradimento. Di delitto e castigo. L’epopea di un terrorista che era anche un poeta. Tutto questo è Jakov Blumkin. L’eroe che, sopravvissuto alle situazioni più estreme, fu tradito dal suo amore per una rivoluzionaria intrepida come lui, in nome degli interessi superiori di una Rivoluzione, essa stessa tradita. Solo adesso ho capito che ero ossessionato da lui perché volevo raccontare un fallimento: quello di una generazione, la mia, che voleva cambiare il mondo. Volevo tornare al tempo in cui le masse irrompevano sul palcoscenico della Storia, ed era la Storia in persona che dettava le sue parole.»
Un passato bolscevico riemerge da un baule in una casa lungo la Marna. Un trasloco, una storia privata e una storia pubblica, due vite che si intrecciano, quella personale di Christian Salmon e quella di un personaggio leggendario della Rivoluzione d’Ottobre, Jakov Blumkin. Inizia così il viaggio di Salmon che insegue in tutta Europa la vita epica di Blumkin e al tempo stesso la sua stessa vita, il tempo in cui era stato anche lui un bolscevico. Un bolscevico per modo di dire, certo, ma pur sempre un bolscevico. Blumkin era un čekista e un poeta, un mistico e un assassino, fu amico dei più grandi poeti e dei boia della Lubjanka. Era l’uomo dai mille volti: ora il viso sfilato, ora appesantito; in alcune foto sembra avere vent’anni, in altre ne dimostra quaranta. Eppure era lo stesso uomo, Jakov Blumkin, alias ‘Il Lama’, alias ‘Sultano Zade’. O ‘Živoj’ che significa ‘il Vivo’, come lo aveva soprannominato Majakovskij una sera che lo aveva incontrato in uno dei caffè letterari alla moda che frequentava. Ma per altri era un personaggio di finzione inventato e lanciato nel mondo dai servizi segreti sovietici come copertura per ogni affare losco. La sua breve apparizione sulla terra resterà segnata da due colpi di pistola: quello che sparò all’ambasciatore tedesco il 6 luglio 1918 e quello che mise fine alla sua vita il 3 novembre 1929, quando non aveva ancora trent’anni. Fra queste due detonazioni, la vita di Blumkin si dispiega in un cielo di congetture, come un fenomeno luminoso che si consuma sotto i nostri occhi.
(dal risvolto di copertina di: Christian Salmon, "Il progetto Blumkin". Laterza.)
Dalla Russia con terrore
- di Wlodek Goldkorn -
All’epoca del narcisismo come valore politico e modo di narrare il progetto dell’avvenire (votatemi e ci penserò io), fa effetto straniante leggere di un’altra epoca, cent’anni fa, dove i protagonisti della storia cercavano anonimato, cambiavano nomi, cognomi e identità perché si consideravano solo strumenti al servizio della causa. È il caso di Jakov Blumkin ebreo russo (o forse ucraino?), rivoluzionario, terrorista, agente dei servizi di sicurezza, intimo di Trotzkij, agitatore politico, poeta e via elencando.
Personaggio affascinante, misterioso, ambivalente, frequentatore di Osip Mandel’štam e di tanti altri letterati legati nel bene e nel male al mito del bolscevismo, Blumkin è stato riscoperto, o per la verità scoperto, dallo scrittore francese Christian Salmon.
Siamo nell’anno 1918, pochi mesi dopo il putsch del 6 novembre 1917 che portò Lenin, Trotzkij e compagni al potere. La Russia sovietica è assediata; la guerra civile in corso; in alcuni territori dell’ex impero zarista regna il caos; città come Kiev passano di mano una dozzina di volte tra nazionalisti antisemiti, comunisti, anarchici, generali in cerca di fama e denaro; e tutto questo al costo di indicibili crudeltà: neonati buttati fuori dalle finestre, donne stuprate, uccisioni di massa, torture. La Prima guerra mondiale non è finita e i sovietici decidono di firmare un accordo di cessate il fuoco con i tedeschi. Le conseguenze sono disastrose e il nuovo potere viene accusato nelle piazze e nelle assemblee dei soviet di aver tradito la Russia e la Rivoluzione.
In queste circostanze entra nella Storia un ragazzo di diciassette anni. Si chiama Jakov Blumkin, è nato a Odessa. Da bambino era imbevuto dei libri di Mendele Moicher Sforim, padre fondatore della letteratura yiddish, e delle leggende su Mike il Jap, il re ebreo della malavita cittadina, narrato peraltro da Isaak Babel’ nei Racconti di Odessa (e di cui in questi giorni esce con Skira Cronache dell’anno 1918, testi sull’anno cruciale della Rivoluzione). In realtà, secondo Salmon, né l’età né il luogo di nascita di Blumkin sono certi; sicuramente però il ragazzo è militante del Partito social-rivoluzionario di sinistra, coalizzato coi bolscevichi. Gli esserre (così vengono chiamati) hanno una lunga tradizione terrorista. Ed ecco che Blumkin uccide l’ambasciatore del Kaiser, il conte von Mirbach.
Lenin assicura i tedeschi che l’attentatore è stato catturato e giustiziato. E invece il giovanissimo fugge. Erra nei territori dell’Ucraina. Combatte. Viene fatto prigioniero dai nazionalisti, torturato in quanto ebreo, abbandonato più morto che vivo in mezzo a un campo, si consegna alla ?eka, i servizi segreti del nuovo potere sovietico. E qui avviene la svolta. Sempre stando alla ricostruzione di Salmon, ma l’autore dice che le versioni dei fatti sono numerose e mai certe, il ragazzo innamorato della poesia, dell’esercizio della violenza, affascinato sia dalla prospettiva dell’avvenire radioso che dal cupo messaggio del nichilismo, viene arruolato nei ranghi appunto della ?eka. Diventa uno di quei personaggi che popolano la Russia — siamo sempre nel 1918, dove nessuno scommetterebbe un soldo bucato sul futuro del bolscevismo (lo stesso Lenin rischia di morire in un attentato) — vestiti di cappotti di pelle, pistola in tasca, libri nella borsa e disponibilità a uccidere e morire. Si racconta che Blumkin fosse stato convocato da Trotzkij. Non si sa dove avvenne il colloquio: se nel treno blindato (con una parete piena di libri) del capo dell’Armata Rossa e critico letterario; o al Cremlino. Pare che parlassero un’intera notte di poesia. In ogni caso, il ragazzo terrorista d’ora in poi cambia più volte nome e gira il mondo. Sarà in Persia a fianco di un guerrigliero anti-colonialista, parteciperà a un raduno in cui i bolscevichi chiameranno i musulmani a una jihad in nome del progresso, lo troveremo in Turchia a fianco di un Trotzkij di fresco esilio. L’uomo dalle sette vite (tutte elencate) finirà fucilato in Urss nel 1929. E poi, c’è la storia dei rapporti (veri e inventati) di Blumkin con i poeti e scrittori, da Mandel’štam appunto a Esenin e alla sua compagna la danzatrice Isadora Duncan, a Majakovskij, tra delazioni, risse, minacce di morte. E infine, storia nella storia: la vicenda narrata dall’autore di come Blumkin sia finito per essere oggetto delle sue ricerche. Una vita, che sembra inventata, ma che è l’esempio di come le verità e le identità sono al plurale, inventate e celate nel mistero; contrariamente alla narrazione oggi dominante che tutto vorrebbe svelare e mettere in piazza.
- Wlodek Goldkorn - Pubblicato su Robinson del 26/11/2017 -
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