giovedì 5 ottobre 2017

Kelly

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Ned Kelly e la dura legge dell'eroe relativo
- di Alberto Manguel -

Thomas Carlyle, che abbinava straordinari pregiudizi a una straordinaria saggezza, dichiarò nel 1841 che «l'Eroe può essere Poeta, Profeta, Re, Sacerdote o ciò che volete, a seconda del tipo di mondo in cui si trova a nascere». Con il passare del tempo, la nostra accettazione dei comportamenti consentiti a un eroe sembra oltrepassare sempre più i limiti di ciò che la legge considera lecito. Era scandaloso ma eroico che Robin Hood derubasse i ricchi, che Giovanna d'Arco contestasse l'autorità dei suoi confessori, che Che Guevara combattesse contro l'Impero Americano, anche se uccidevano i loro avversari con frecce, spade e pistole. Tutti costoro avevano, nelle loro storie, una certa maestosità e un certo fascino. Oggi invece i nostri eroi sono diventati brutti: milioni di lettori e spettatori accettano senza battere ciglio i metodi bestiali di un Hannibal Lecter (che mangia letteralmente il cervello del suo avversario) o di una Lisbeth Salander, la protagonista della saga Millennium (che sodomizza brutalmente e poi tatua il suo avversario). In confronto a loro, Ned Kelly, il "fuorilegge e assassino intenzionale" (come proclamavano i manifesti della polizia) che infestava il bush australiano nella seconda metà del XIX secolo, sembra innocente come l'eroe ammazza-orchi delle fiabe. Ned era nato nel 1854 (o 1855), figlio di un ribelle irlandese deportato in Tasmania. Anche se la famiglia Kelly era stata sospettata più volte di furto di bestiame e cavalli, Ned pare fosse un bambino coraggioso e intelligente: intorno ai dieci anni, ricevette una fusciacca verde per aver salvato un altro bambino dall'annegamento. Quella fusciacca doveva avere una grande importanza per lui, perché la indossava, sotto un'armatura artigianale, durante il suo scontro finale con la polizia, nel 1880.

Dall'adolescenza in poi, Ned Kelly condusse una vita violenta, coinvolto in scazzottate, aggressioni, furti di bestiame e rapine in banca. A quest'ultimo scopo, aveva messo in piedi una banda di quattro persone: se stesso come leader, il suo fratello più piccolo Dan, l'oppiomane Joe Byrne e il malinconico adolescente Steve Hart. Ned alla fine venne catturato, nel giugno del 1880, processato per i suoi crimini e condannato a morte mediante impiccagione. Quando il giudice pronunciò le fatali parole «Possa Dio avere pietà della vostra anima», Ned rispose: «Voglio spingermi un po' più in là e dire che vi vedrò lì, quando ci andrò». Le parole di commiato di sua madre furono: «Fai in modo di morire come un Kelly». Una petizione perché gli fosse risparmiata la vita venne firmata da più di 30.000 ammiratori. Per "fare chiarezza" sul resoconto delle sue avventure (o misfatti) "presenti, passate e future", Ned Kelly scrisse uno straordinario documento, che voleva venisse pubblicato sulla stampa e che divenne famoso come la Jerilderie Letter. Lo storico Alex Mc-Dermott, curatore della lettera di Ned Kelly, espone nella sua introduzione al libro gli eventi straordinari che condussero all'arresto del bandito. Eccoli.

Il 4 febbraio 1879, la banda di Kelly si diresse a cavallo verso nord, in direzione della cittadina di Jerilderie, attraverso la boscaglia arida del Victoria, durante una delle peggiori siccità nella storia dell'Australia. Per affrontare il problema della temibile banda criminale, ricercata per gli omicidi di tre poliziotti, era stata approvata in Parlamento un nuovo provvedimento, chiamato "legge per la cattura dei malviventi", che rendeva più facile il loro arresto. Alla locanda Woolpack Inn di Jerilderie, i quattro uomini consumarono un pasto e Ned si informò sui nomi dei due poliziotti del luogo, George Devine e Henry Richards. Quella sera, davanti alla stazione di polizia e sotto una luna piena, «così chiara che era come fosse giorno», Ned gridò all'agente esperto Devine che era scoppiata una rissa nella locanda. Devine e Richards corsero fuori, trovandosi di fronte i fucili spianati della banda. I due uomini furono disarmati e ammanettati e rinchiusi nella cella della stazione di polizia. Dopo essersi accertati che nella stazione non ci fosse nessun altro tranne la moglie incinta di Devine e i figli, Ned spiegò che la sua visita aveva due obbiettivi: rapinare la Bank of New South Wales e pubblicare una dichiarazione scritta da lui. Chiese alla moglie di Devine di cucinare la cena per la banda e durante il pasto lesse a lei e ai suoi prigionieri passaggi del documento di cinquantasei pagine che aveva redatto nei due mesi precedenti.

Il giorno seguente, una domenica, mentre i suoi compagni rimanevano nella stazione, Ned aiutò la moglie di Devine a preparare l'aula del tribunale per il prete che stava venendo a officiare la messa, mentre Joe Byrne e Steve Hart, vestiti con divise della po- lizia, costrinsero l'agente Richards a portarli in giro per il paese, spiegando ai cittadini di Jerilderie che erano agenti di rinforzo in transito verso il Victoria per dare manforte a catturare la banda di Kelly. Il giorno seguente, Ned occupò il Royal Mail Hotel, rinchiuse i suoi prigionieri nel bar dell'albergo e rapinò la Bank of New South Wales, che aveva sede lì accanto. Sfortunatamente, invece della somma ingente che sperava di trovare per sostenere la banda durante la latitanza, la cassaforte conteneva soltanto 2.000 sterline circa.

Ned condusse il direttore della banca e altri due impiegati dentro l'albergo, dove li rinchiuse insieme agli altri prigionieri, ma fu interrotto da tre clienti che erano entrati nel bar per bersi un bicchiere. Ned e i suoi uomini ne catturarono due, ma il terzo, Samuel Gill, direttore della Jerilderie and Urana Gazette, riuscì a fuggire. La delusione di Ned fu grande: era proprio Gill che voleva incontrare a tutti i costi, perché stampasse sulla Gazette il suo proclama autoassolutorio. Ned decise di lasciare i prigionieri nelle mani del resto della banda e andare a piedi fino a casa di Gill, portandosi dietro l'agente Richards e uno degli impiegati della banca, il ragioniere Edwin Living, come ostaggi. Nell'abitazione c'era soltanto la signora Gill.

Alla fine, Ned consegnò la lettera a Living, che promise di consegnarla al giornalista. Ned tornò nel bar dell'albergo, dove si rivolse al suo pubblico di prigionieri. «Voglio dire qualche parola», cominciò, «sul perché sono un fuorilegge e che cosa sto facendo qui». Poi diede loro un riassunto della lettera e lui e i suoi presero congedo. Contravvenendo alla promessa, Living non fece pubblicare la lettera, ma la consegnò alla polizia. La lettera uscì alla fine nel 1930, sulle pagine del The Herald, un giornale di Melbourne. Il documento originale venne donato nel 2000 da un anonimo alla Biblioteca statale del Victoria.

Apparentemente, la lettera di Ned conteneva semplicemente la sua versione degli omicidi di cui lui e la sua banda erano accusati. Sei mesi prima di questi eventi, il 15 aprile 1878, un agente di polizia di nome Alexander Fitzpatrick era arrivato nella proprietà dei Kelly per arrestare Dan per furto di cavalli. Fitzpatrick, secondo tutti i resoconti, era ubriaco e tendando di entrare nella proprietà dei Kelly si ferì al polso. Sostenne che era stato Ned ad aggredirlo; Ned diceva che all'epoca si trovava nel Nuovo Galles del Sud. Il giorno dopo, Ellen, la madre dei ragazzi, insieme ad alcuni vicini, fu arrestata da Fitzpatrick per «tentato omicidio ». Ned e Dan fuggirono sulle montagne, che conoscevano alla perfezione, e durante i sei mesi successivi la polizia passò al setaccio la zona senza trovarli. Fu solo in ottobre che Ned, cercando oro in un ruscello, si imbatté in una pattuglia di poliziotti. Ci fu una sparatoria e tre agenti rimasero uccisi. Il quarto fuggì e appena giunto nella cittadina di Mansfield denunciò l'attacco. La risposta di Ned alle accuse fu: «È Fitzpatrick che bisogna incolpare».

La Jerilderie Letter non è solamente una versione personale dei fatti presunti. È la testimonianza di un uomo arrabbiato per l'epoca e il luogo in cui vive, per il Paese colonizzato da una società che riproduceva il sistema di privilegi, caste e corruzione legale dell'Impero Britannico. La legge non è legge, lascia intendere Ned Kelly, quando è applicata attraverso «la condotta vigliacca e brutale di una torma di grossi e orrendi figli di ufficiali giudiziari irlandesi con le gambe in fuori senza collo senza fianchi con la testa di un vombato e la pancia grassa ». E riguardo alla popolazione di questo Paese, conclude: «Se dipendono dalla polizia saranno trascinati alla distruzione». Gradualmente, furiosamente, i fatti della vita di un uomo diventano una raffigurazione di tutto il mondo che lo circonda, con le sue paure, le sue azioni violente, i suoi vizi meschini, le fatiche della sopravvivenza, l'impotenza.

La Jerilderie Letter ha il suo posto accanto alle testimonianze di altri grandi fuorilegge, François Villon, Jean Genet, Jack Henry Abbott. C'è un altro aspetto particolare del personaggio di Kelly, ed è il suo genio linguistico. Nella scrittura non esiste un equivalente dell'arte naïf, ma è quello che si percepisce chiaramente nella Jerilderie Letter. È impossibile leggerla e non pensare agli espedienti joyciani di liberazione della lingua, e alle devastazioni di finissima fattura di Céline, eppure non c'è nessuna intenzione artistica consapevole in Kelly. Sta al lettore, un secolo e mezzo più tardi, assegnare alla Jerilderie Letter il posto che le spetta nella biblioteca universale

- Alberto Manguel - Pubblicato su Repubblica del 13 giugno 2017 -

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