venerdì 27 ottobre 2017

Il rovescio della libertà

quodlibet

Il valore dell'intraprendenza
di Massimo De Carolis

Lo spirito del liberalismo classico è legato, senza ombra di dubbio, alla rivendicazione di un’alleanza paritaria e orizzontale fra i singoli membri della comunità, contrapposta alle strutture verticali che, ancora in pieno Ottocento, erano avallate da ogni genere di autorità costituita: quella politica non meno di quella morale e religiosa. L’idea liberale era che l’intraprendenza dei singoli, lasciati liberi di perseguire i propri scopi soggettivi, potesse generare un ordine spontaneo, duttile e creativo, a beneficio di tutti. E che il reticolo di privilegi sancito dall’ordine costituito non potesse che reprimere e frenare la dinamica creativa, in nome di ipotetici valori collettivi modellati in realtà su misura del potere esercitato dai ceti dominanti. L’economia – che, all’epoca, significava l’industria, il commercio e la circolazione delle merci – valeva come esempio probante di quanto un simile ordine spontaneo fosse superiore a quello ottenibile attraverso il comando. Questo modello di liberalismo economico sembrò fallire in modo irreparabile negli anni fra le due guerre mondiali e, fra le tante risposte più o meno radicali a tale fallimento, il neoliberalismo fu l’unica a mantenersi fedele all’intuizione di partenza: la superiorità dell’ordine spontaneo rispetto a ogni possibile configurazione dell’ordine costituito. Il problema bruciante diventava così quello di spiegare il fallimento dei mercati e progettarne un rivoluzionamento adeguato alla profondità della crisi. In un certo senso, la risposta neoliberale era già implicita nel punto di partenza. Se l’ordine spontaneo era fallito nonostante la sua intrinseca superiorità, l’unica spiegazione era che gruppi e soggetti più o meno organizzati fossero riusciti ad abusarne, manipolando la dinamica spontanea a loro esclusivo vantaggio e quindi a scapito dell’intraprendenza collettiva. Che si puntasse il dito contro la speculazione e i monopoli o, viceversa, contro le organizzazioni sindacali e i gruppi di pressione a carattere esplicitamente politico cambiava poco le cose, a quel punto, sotto il profilo logico. La ricetta restava comunque quella di creare le condizioni tecniche e giuridiche perché il mercato potesse stabilire in modo univoco e oggettivo il valore effettivo delle prestazioni, protetto da ogni possibile abuso. Nella nuova prospettiva, l’allestimento di un congegno tecnico imparziale perché cieco valeva come garanzia che, al gioco della catallassi, vincesse alla fine davvero il migliore, e non il rappresentante di turno del potere costituito. E il successo del programma, in ultima analisi, fu dovuto alla capacità di intercettare un genere di desiderio, che i processi di dinamizzazione stavano rendendo sempre più profondo e più diffuso: il desiderio di vedere riconosciute e realizzate le proprie potenzialità, esponendo i propri sogni alla prova dei fatti, perché, in un mondo dominato dalla contingenza, è questo l’unico modo di assodarne l’autentico valore. La questione basilare era diventata, insomma, la corretta misurazione del valore (il valore di ogni performance, ogni idea, progetto o impresa). La vita sociale fu invasa così, massicciamente, da tecnologie di misurazione e di incremento del valore, il cui scopo dichiarato era valorizzare al massimo l’intraprendenza collettiva, sul presupposto che solo affidandone la misurazione ad algoritmi impersonali e ciechi si contrastasse alla radice il rischio dell’abuso di potere. Sappiamo ora, per esperienza diretta, che il presupposto non corrispondeva alla realtà dei fatti. Che era vero anzi il suo rovescio. Che quanto più a fondo i dispositivi di calcolo penetrano nella vita sociale, tanto più questa «vita» è messa al servizio delle relazioni di potere, la creatività è sottomessa al controllo e l’intelligenza è svuotata e trasformata in mera tecnica amministrativa. Cercando di aggirare e di neutralizzare le figure tradizionali del potere, le pratiche amministrative suggerite dal neoliberalismo favoriscono in realtà la genesi di grandi agglomerati di potere a carattere reticolare, nei quali forza economica, autorità politica e competenza tecnica sono ormai le sfaccettature di un medesimo cristallo. E a rendere il processo inevitabile è proprio la pretesa di fondo di calcolare il valore e, con esso, la potenzialità e l’intraprendenza intrinseche alla vita collettiva. Perché calcolabile non è, per l’appunto, la potenzialità in se stessa, ma soltanto il potere.

- Massimo De Carolis - Testo tratto da Massimo De Carolis, Il rovescio della libertà, Quodlibet, Macerata 2017 -

fonte: Quodlibet

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