Questo libro immagina la Terra tra più di centomila anni. Gli uomini hanno raggiunto livelli di sviluppo impensabili, hanno sconfitto le malattie, raddoppiato laspettativa di vita, arginato la povertà. In un paesaggio terrestre completamente trasformato dalla tecnologia, dove si vive in case sotterranee e la mente è lunico strumento utilizzato, la lotta è tra due diversi modi di intendere letica, il Divino e il concetto stesso di Umanità. In un affresco utopista e surreale, il lettore è guidato in un viaggio modellato sulla Commedia dantesca, pieno di avventure e personaggi sorprendenti, in un futuro in cui la specie umana continua a oscillare tra antiche virtù e nuovi vizi, ancora lontana dalla perfezione divina. Completato da Werfel sul letto di morte, il libro è uscito postumo e rappresenta il testamento letterario del grande scrittore praghese.
(dal risvolto di copertina di: Franz Werfel, La stella degli uomini futuri. Romanzo di viaggio, Castelvecchi)
A un certo punto non moriremo più: Il romanzo del 1945 ispirato a Wells.
- di Luca Rossi -
Si legge come Alice nel paese delle meraviglie e il suo recente seguito cinematografico Alice attraverso lo specchio di burtoniana fantasmagoria, anche se visivamente troppo pompato di computer graphic, l’inedito di Franz Werfel "La stella degli uomini futuri. Romanzo di viaggio "(Castelvecchi, pp. 522, euro 25). Formalmente siamo dalle parti della fantascienza d’autore, ma il sottotitolo già fa scivolare il libro nella categoria della letteratura di viaggio, salvo poi iniziare il tomo e scoprire che ci si trova alla periferia dello spiritualismo, con un protagonista deceduto ed evocato duecento anni nel futuro, spirito che è l’autore stesso, Werfel, chiamato da un amico di scuola alla corte di un’umanità liberata dalle passioni corporali che muovevano la mano dell’autore mentre buttava giù la prima stesura del manoscritto nel 1943, completandolo nell’agosto del 1945 pochi giorni prima della sua morte, quattro mesi dopo la presa del bunker del Führer e la fine della Seconda guerra mondiale.
Sarà per questo che il romanzo inedito, e postumo, del grande amico di Franz Kafka , quello che si era adoperato per trovare una sistemazione al collega praghese malato di tubercolosi negli ultimi, dolorosi, giorni di vita, assomiglia così tanto ai capisaldi della narrativa di genere distopico. La stella degli uomini futuri odora di fantascienza classica e di Commedia dantesca, in un intreccio che mischia i piani temporali fino all’anno 100.000 d.C.
Così questo viaggiatore fantasma che ha sulle spalle tutta la paura delle V2, dell’uso del gas letale, degli U-Boat e delle rappresaglie naziste ha più di un tratto in comune con l’uomo immortale, Cabal, il protagonista di "The Shape of Things to Come" di H. G. Wells, dal quale è stato tratto il film "La vita futura" di William Cameron Menzies nel 1936, ma inedito in Italia fino agli inizi degli Anni ’60. Il film curato e voluto da Wells si concludeva in un futuro incolore e senza malattie, dove le passioni e la noia erano state sconfitte. «Cosa ci ha portato questo progresso? Macchine meravigliose hanno costruito queste meravigliose città. Hanno prolungato la vita. Hanno conquistato la natura e costruito un mondo pulito. Ma questo mondo è migliore di quello di prima? Quando la vita era breve, ma calda e felice?».
Werfel racconta invece di un futuro senza tecnologia, dove gli uomini vivono sottoterra in mondi bianchi dove non s’invecchia e non si muore. È un mondo lontano, nel quale l’umanità ha ridisegnato a fondo il pianeta Terra a sua immagine e somiglianza, bandendo il disordine e il naturale, e vivendo eternamente libera dal dolore, dai limiti dell’uomo e dalla vecchiaia, anni prima della genetica, degli studi sulle cellule staminali e il ricambio cellulare infinito, della robotica, del transumanesimo profetizzato che fonde uomo e macchina e che piace tanto a Hollywood che porta su schermo ogni cosa che parli dell'argomento, l’ultima delle quali è il manga Ghost in The Shell.
Ma la natura non si sconfigge, il passato non si cancella mai del tutto, così l’umanità transumana deve comunque lottare con il naturale, con il vegetale irregolare, con l’animale che sopravvive, che si adatta e cresce ai limiti del mondo incolore. Ed Ecco che il romanzo dello scrittore praghese si avvicina a un altro dei capisaldi della letteratura di genere, "Noi", utopia sovietica di Evgenij Ivanovic Zamjatin, in cui l’umanità originaria riesce a sopravvivere e prosperare ai margini della città di vetro dove l’uomo del futuro vive programmato come una macchina. I rapporti sociali sono regolamentati, i sentimenti banditi. Qui D-503, un funzionario di alto livello, l’ingegnere occupato nella realizzazione dell’«Integrale», la barriera che dovrebbe isolare definitivamente l’uomo bianco dal “mostro” naturale, scopre di essere portatore sano di quelle sensazioni che rendono gli uomini “bestie” e li allontanano dal Credo della trasparenza, dell’immanenza programmata. Zamjatin scrive nel 1919-21, Werfel nel 1945, eppure sono tanto vicini nel disegnare un’umanità del futuro in cui l’ingegneria sociale ha cancellato ogni traccia d’umanità negli abitanti di questa stella fredda.
Luca Rossi - Pubblicato su Libero del 9 febbraio 2017 -
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