Possiamo arrivare al comunismo in un colpo solo?
- di Jehu -
Un saggio del 2014, scritto da Jasper Bernes e Joshua Clover, "The Ends of the State", che affronta il problema dello Stato e di una strategia rivoluzionaria, sostiene che una rivoluzione proletaria non può arrivare ad ottenere più di quello che realizza subito inizialmente:
«Come viene sostenuto da noi e da molti dei nostri contemporanei, il fatto di stabilire queste nuove condizioni sociali, nella loro più ampia misura possibile, oggi non solo è il probabile percorso che può essere seguito, direttamente o indirettamente, da un processo rivoluzionario, ma, date le oggettive condizioni materiali, è l'unica speranza per un suo eventuale successo.»
A leggere questo passaggio, sembrerebbe che gli autori (i quali sono collegati ad "Endnotes") stiano dicendo che una rivoluzione proletaria è strettamente limitata a quello che può realizzare inizialmente a partire dalla pura forza della rivoluzione stessa. Dopo l'iniziale onda d'urto, si stabilisce un percorso di sviluppo tipico dell'accumulazione capitalista. Se una rivoluzione proletaria non riesce ad arrivare al pieno comunismo in un colpo solo, diventa allora semplicemente una forma di sviluppo capitalistico?
Per usare un'analogia: se una stella non ha massa sufficiente, essa non produce un buco nero, ma si stabilizza e vive la sua vita come stella nana. Allo stesso modo, per arrivare al comunismo in un colpo solo si richiede una quantità di materiale di sviluppo che non è necessariamente dato. In assenza di tali sufficienti condizioni materiali, la rivoluzione fallisce.
L'ipotesi appare provocatoria, perciò va esaminata.
Il saggio di Bernes e Clover è interessante dal momento che suggerisce che sia i socialdemocratici che i sovietici non hanno fallito a causa delle loro peculiari carenze, ma perché non sono stati in grado di arrivare al pieno comunismo facendo un solo salto, ed hanno dovuto quindi ripiegare sul capitalismo.
Lenin lo ammette, quanto meno, nella sua introduzione alla NEP (Nuova Politica Economica), e dice che avendo fallito a fare il salto nel pieno comunismo, la rivoluzione sovietica ha dovuto ripiegare:
«La Nuova Politica Economica significa sostituire con una tassa la requisizione di cibo; significa tornare al capitalismo in una misura notevole - quanto notevole non lo sappiamo. Concessioni a capitalisti esteri (vero, sono molto pochi quelli che sono stati accettati, soprattutto se li paragoniamo al numero offerto) ed affittare imprese a capitalisti privati significa ripristinare definitivamente il capitalismo, e ciò è parte integrante della Nuova Politica Economica; in quanto l'abolizione del sistema dell'appropriazione del surplus di cibo significa permettere ai contadini di commerciare liberamente il loro surplus di produzione agricola, riguardo tutto quel che rimane dopo che sono state riscosse le tasse - e le tasse riguardano solo una piccola quota di quel prodotto. I contadini costituiscono un'ampia quota della nostra popolazione e di tutta la nostra economia, ed è questo il motivo per cui il capitalismo deve crescere a partire da questo terreno di libero scambio.»
Fondamentalmente, a prescindere dalla strada scelta - Seconda o Terza Internazionale - il risultato sarebbe stato lo stesso: mancando un salto al pieno comunismo in un colpo solo, sarebbe stato necessario un ulteriore sviluppo capitalistico. Il problema era che in nessuno dei due casi la rivoluzione era potuta arrivare direttamente al comunismo e la società era tornata indietro ad un periodo di ulteriore sviluppo capitalistico.
È un'ipotesi interessante. Si ammette che la fase pià bassa del comunismo è semplicemente una forma di sviluppo capitalistico. Marx parla di questo nella sua Critica del Programma di Gotha, dove discute sulla persistenza della diseguaglianza fra i membri della società dopo la rivoluzione:
«L'uguale diritto è qui perciò sempre, secondo il principio, diritto borghese, benché principio e pratica non si accapiglino più, mentre l'equivalenza delle cose scambiate nello scambio di merci esiste solo nella media, non per il caso singolo.... Nonostante questo processo, questo ugual diritto è ancor sempre contenuto entro un limite borghese. Il diritto dei produttori è proporzionale alle loro prestazioni di lavoro, l'uguaglianza consiste nel fatto che esso viene misurato con una misura uguale, il lavoro... Ma questi inconvenienti sono inevitabili nella prima fase della società comunista, quale è uscita dopo i lunghi travagli del parto dalla società capitalistica. Il diritto non può essere mai più elevato della configurazione economica e dello sviluppo culturale da essa condizionato, della società.»
La fase più bassa del comunismo comportava un periodo di tempo in cui questi governi della classe operaia avrebbero agito effettivamente come capitalisti. Nella misura in cui la classe operaia non poteva saltare in un sol colpo al pieno comunismo, tutta la sua rivoluzione nella sua iniziale onda d'urto avrebbe consistito nel rimuovere gli ostacoli ad un ulteriore sviluppo capitalistico.
Non sorprende che questo sia essenzialmente quello che aveva proposto Marx nel Manifesto Comunista! La rivoluzione proletaria non sarà un singolo evento, ma coprirà un'intera epoca storica:
«Il proletariato userà il suo potere politico per strappare progressivamente alla borghesia tutti i suoi capitali, per centralizzare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato, dunque del proletariato organizzato in classe dominante, e per moltiplicare il più rapidamente possibile la massa delle forze produttive.
In un primo momento ciò può accadere solo per mezzo di interventi dispotici sul diritto di proprietà e sui rapporti di produzione borghesi, insomma attraverso misure che appaiono economicamente insufficienti e inconsistenti, ma che nel corso del movimento si spingono oltre i propri limiti e sono inevitabili strumenti di trasformazione dell'intero modo di produzione.»
Sia teoricamente, sia per quanto attiene all'esperienza pratica, i comunisti realizzano che noi non possiamo saltare il capitalismo, ma possiamo solo accelerare il suo sviluppo rimuovendo gli ostacoli al suo sviluppo delle forze produttive. Il problema con questa rappresentazione, ad ogni modo, sta nel fatto che non è del tutto chiaro cosa Jasper Bernes e Joshua Clover intendano per pieno comunismo - un termine che a volte nel loro testo è stato impiegato in maniera un po' ironica. A tale cosa bisogna rimediare!
Pieno comunismo significa abolizione del lavoro salariato, del denaro e dello Stato. Usando questa definizione come punto di partenza, possiamo dire che se la rivoluzione non può abolire in un sol colpo il lavoro salariato, il denaro e lo Stato si richiederà un periodo di ulteriore sviluppo capitalistico. Questo periodo di ulteriore sviluppo capitalistico si richiede per creare le condizioni materiali per l'abolizione del lavoro salariato, del denaro e dello Stato. Secondo Marx, questo costituisce anche la missione storica del capitale.
Le condizioni materiali per il comunismo assumono un livello di sviluppo delle forze produttive molto elevato, ed assumono che il lavoro sia stato reso superfluo ai fini della produzione di ricchezza materiale. Da un altro lato, le condizioni per cui il comunismo è possibile in un unico processo sono determinate dalla misura in cui il lavoro è stato reso superfluo per la produzione di ricchezza materiale. Se quasi tutto il lavoro attuale è superfluo, il potenziale per il pieno comunismo in un solo colpo è molto alto.
Per noi, questa è una buona cosa, in quanto, come ha spiegato Marx nella sua prefazione al Contributo alla Critica dell'Economia politica, del 1859, « il materiale ... le condizioni economiche di produzione ... può essere determinato con la precisione delle scienze naturali». È possibile che facendo uso della teoria di Marx, possiamo stabilire oggettivamente se le forze materiali di produzione si sono sviluppate in misura tale che il pieno comunismo sia possibile in un sol colpo; vale a dire, dovremo essere in grado di stabilire se possiamo mettere fine al lavoro salariato, al denaro ed allo Stato, in un sol colpo.
La premessa materiale per questo tipo di rivoluzione è che quasi tutto il lavoro attualmente impiegato è interamente superfluo per la produzione di ricchezza materiale. Se è così, allora possiamo abolire il lavoro salariato - ed insieme ad esso, il denaro e lo Stato - senza sacrificare in alcun modo il nostro attuale standard materiale di vita.
Sfortunatamente, per i comunisti, una tale questione non si trova mai sul tavolo; invece, ci troviamo sempre davanti quella che è esattamente la questione opposta: come fare per impedire che il lavoratori possano diventare superflui per la produzione di ricchezza materiale; come impedire all'automazione di portarci via il nostro lavoro; come fare ad impedire la disoccupazione e mantenere la piena occupazione del lavoro.
Piuttosto che ammettere che ora il lavoro è superfluo, combattiamo per mantenerlo. Quindi la classe operaia fa esperienza delle condizioni materiali necessarie al comunismo in un sol colpo come potenziale possibilità di una catastrofe economica senza precedenti.
Possiamo arrivare al comunismo in un sol colpo?
Dovrebbe essere così, considerato che tutti i comunisti oggi sembrano essere preoccupati di come fare per mantenere il lavoro salariato, il denaro e lo Stato, ed impedire che essi ci lascino.
- Jehu - Pubblicato su The Real Movement
fonte: The Real Movement
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