Perché la classe operaia è diventata la più grande nemica del "lavorare meno"
- di Jehu -
Uno dei più grandi problemi del convincere i lavoratori a ridurre le loro ore lavorative consiste nel loro focalizzarsi sul denaro piuttosto che su quello che il denaro può comprare. Se un operaio lavora 40 ore la settimana e guadagna 10 dollari l'ora, una riduzione della settimana lavorativa da 40 ore a 10 ore ridurrebbe il suo salario nominale da 400 a 100 dollari. I lavoratori possono fare un semplice calcolo, e la matematica inequivocabilmente dice loro che una riduzione delle ore di lavoro si traduce in una riduzione dei salari nominali. Nessun operaio accetterebbe una riduzione del suo salario nominale, a meno che non fosse costretto a farlo per una qualche ragione. La cosa non è sorprendente, dal momento che l'economia fascista keynesiana si fonda su questa reazione di buon senso dell'operaio che lo porta a ricadere nei salari nominali. Inutile dire che per i comunisti questo è un grosso problema.
Nella sua "Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta", Keynes sottolinea il fatto che il lavoratore farebbe resistenza ad una caduta del suo salario nominale, ma non la farebbe rispetto ad una caduta del suo salario reale, purché tale caduta non sia troppo estrema e purché il suo salario nominale rimanga inalterato. Dal momento che i lavoratori oppongono resistenza ad una caduta dei loro salari nominali, ma tendono ad ignorare una caduta dei loro salari reali, Keynes suggerisce l'inflazione dei prezzi, vale a dire, diminuendo il valore di ciò che questi salari nominali potrebbero comprare. Questa è un'efficace strategia per poter mantenere i profitti, poiché l'inflazione svaluta il potere di consumo della classe operaia nel suo complesso, mentre gli operai si battono per difendere il potere di acquisto dei loro salari nominali attuando solamente una lotta limitata alla loro particolare azienda.
Mentre l'inflazione lavora contro tutti i lavoratori, e lavora contro di loro tutti insieme, il terreno della lotta viene spezzato in molte aziende separate, frammentate, disperse. Una parte dei lavoratori, confinati in una data impresa o industria, può essere in grado di mantenere il potere di acquisto dei loro salari nominali, ma questo non è mai vero per quella vasta maggioranza, la quale, nella maggior parte dei casi, non è nemmeno organizzata e quindi non è in grado di combattere. La grande maggioranza dei lavoratori vede collassare il potere d'acquisto dei propri salari nel momento in cui l'inflazione si mangia il loro potere di consumo. Col tempo, anche coloro che sono sindacalizzati vedono i loro salari sotto attacco, anche sulla base dei motivi che stanno causando l'inflazione. Le vittime della politica del governo che tende a svalutare la valuta vengono colpevolizzati in quanto causa della svalutazione della moneta.
Salari reali vs. Salari nominali
Questa è quella parte della Teoria Generale di Keynes che molti comunisti vogliono ignorare. È già abbastanza deplorevole che molti comunisti non menzionino neanche gli argomenti portati avanti da Keynes nella sua Teoria Generale e che soprattutto siano anche assai di più coloro che non si sono nemmeno curati di leggerla.
Quel che è peggio della pura ignoranza dei comunisti, è che Keynes aveva ragione: La maggior parte dei lavoratori non può dire quale sia la differenza fra salari nominali e salari reali e confonde una caduta nei salari nominali con un taglio ai loro salari reali. Essi assumono che una riduzione dei loro salari nominali dovuta alla riduzione delle ore di lavoro significhi una riduzione nel loro salario reale.
Fino a ché persiste tale confusione, è quasi garantito che non ci sarà mai una significativa riduzione delle ore di lavoro, e ci sarà assai meno comunismo.
Il comunismo è semplicemente il punto in cui i salari vanno a zero; oppure, alternativamente, il punto in cui il lavoro non è più richiesto in quanto mezzo per accedere ai mezzi di consumo. Se le persone considerano un male il fatto che i salari vadano verso lo zero, non si potrà mai arrivare al punto in cui il lavoro non viene più richiesto per poter accedere ai mezzi di consumo. Letteralmente, le due affermazioni sono la stessa cosa.
Per poter affrontare questo problema, i comunisti devono comprendere le argomentazioni della Teoria Generale di Keynes, ma non devono avere alcun desiderio di impararla. L'unica parte delle argomentazioni di Keynes di cui il 99% dei comunisti si preoccupa è quella che riguarda la parte in cui Keynes dice che il governo può creare posti di lavoro. Per qualche strana ragione non entra nella loro testa il fatto che il governo crea posti di lavoro deprezzando la valuta e, di conseguenza, i salari reali della classe operaia. È facile raddoppiare l'occupazione quando ti limiti a dividere fra due lavoratori il salario di un lavoratore. È questo tutto quel che si limita a fare la politica economica keynesiana, ma capirlo sembra che sia al di là della capacità di comprendere dei comunisti.
Chi sopporta il costo di una depressione
Le argomentazioni di Keynes poggiano su un errore fondamentale; un errore che serve gli interesse del capitale, piuttosto che della classe operaia. Secondo le argomentazioni di Keynes, il problema della disoccupazione potrebbe essere ridotto prendendo il salario reale di un lavoratore e dividendolo fra due lavoratori. Entrambi i lavoratori verrebbero allora impiegati, seppure percependo metà del salario reale di un lavoratore.
Questa divisione del salario reale fra due lavoratori non ha bisogno di incidere sui salari nominali, per il semplice motivo che, sganciando la valuta dall'oro, i salari nominali non hanno bisogno di avere alcuna relazione con i salari reali. Quello che il lavoratore continuerebbe a prendere come salario nominale rimarrebbe invariato, sebbene il salario reale - quello che può essere acquistato con tale moneta - cadrebbe. Dal momento che il lavoratore non vedrebbe alcun cambiamento nel suo salario nominale, solo più tardi, dopo che gli effetti della svalutazione si saranno diffusi nell'economia, egli potrebbe accorgersi che il suo salario monetario non arriva in fondo al mese come faceva prima. Il deprezzamento della valuta è separato sia nel tempo che nello spazio, dall'attuale caduta che avviene nei salari reali.
Questo genere di svalutazione della moneta che colpisce i salari reali, era già avvenuta ancor prima che Keynes scrivesse la sua Teoria Generale. Franklin Delano Roosvelt (FDR), che, per qualche strana ragione, viene considerato come un'icona della sinistra radicale, aveva svalutato la moneta nel 1933, proprio come Keynes avrebbe poi sostenuto più tardi. Una delle sue prime azioni, dopo essere stato eletto nel 1933, è stata la legge nota come Executive Order 6102, che confiscava l'oro e, cosa assai più importante, svalutava il dollaro da 20,67 dollari per ogni oncia d'ora, a 35 dollari. Si trattava di una svalutazione del 40%, ed aveva l'effetto immediato di imporre un taglio nei salari del 40%.
Se non avete mai sentito parlare di questa misura, non è affatto sorprendente: non c'è un solo economista marxista che oggi ne abbia mai parlato, eppure l'efficacia della misura era stata immediata: la fase di contrazione della Grande Depressione finì quasi immediatamente. Industria ed occupazione cominciarono a recuperare quasi immediatamente.
Come avrebbe spiegato Keynes più tardi, era stata la riduzione del salario reale, non dei salari nominali, ad aver posto fine alla depressione. In generale ed in larga misura, i salari nominali rimanevano inalterati e sia i comunisti che la classe operaia in generale sembravano non essersi accorti delle gravi implicazioni che la misura aveva sui salari reali.
L'errore di Keynes, ad ogni modo, consisteva nell'asserzione che questo era il solo mezzo per porre fine alla depressione. È ovvio che, dividendo fra due lavoratori il salario reale di un lavoratore, sarebbe stato possibile raddoppiare l'occupazione al costo dello stesso salario reale. Ma è altrettanto vero ed ovvio che tagliare a metà le ore di lavoro di un operaio renderebbe possibile raddoppiare l'occupazione al costo del medesimo salario reale. Ma è anche vero che tagliare a metà le ore di lavoro di un operaio permetterebbe l'occupazione di due lavoratori.
La distinzione fra le due misure è che nel primo caso (tagliare i salari reali) la classe operaia ha sostenuto con il proprio consumo tutto il peso della crisi, mentre, nel secondo caso, è stata la classe capitalista, con i suoi profitti, che ha sostenuto il peso totale della crisi.
La questione non è mai stata quella di come porre fine alla Grande Depressione, ma quale classe avrebbe pagato il costo di porre fine alla Grande Depressione. Tagliare ore di lavoro ha l'effetto di ridurre il surplus di tempo di lavoro dell'operaio e, quindi, il profitto del capitale. Raddoppiare la forza lavoro tagliano a metà le ore non ha alcun effetto sulle ore totali di lavoro, ma riduce il surplus di tempo di lavoro. Se dopo una riduzione delle ore di lavoro, il capitalista vuole estrarre la stessa quantità di plusvlaore, allora deve introdurre delle misure per intensificare il lavoro - maggior efficienza e più macchinario, scienza, tecnologia, ecc..
Il primo effetto immediato di una riduzione delle ore di lavoro è che il tasso di profitto diminuisce notevolmente, cadendo in misura assai più che proporzionale. L'effetto di una forte caduta del tasso di profitto, viene descritta da Marx nel Capitale, volume III, capitolo 15 e non ne discuto qui se non menzionando pochi effetti rimarchevoli: concentrazione e centralizzazione del capitale, sviluppo accelerato delle forze produttive, crisi finanziaria e creditizia, bancarotta dei capitali minori, ecc..
Vale la pena ricordare che la riduzione delle ore lavorative, piuttosto che la svalutazione monetaria, è stata la misura adottata dal movimento operaio americano negli anni 1930. A differenza dei radicali odierni, la classe operaia di quell'epoca rifiutava Keynes ed aveva abbracciato la riduzione delle ore di lavoro.
La classe operaia è troppo povera per ridurre le ore di lavoro?
In realtà, una società capitalista apparirà sempre troppo impoverita per essere in grado di sostenere il comunismo, dal momento che il capitalismo impoverisce ogni cosa per aumentare i profitti.
Affermare che i bassi salari della classe operaia impediscono la riduzione delle ore di lavoro, assomiglia a premiare i capitalisti per il loro spietato sfruttamento. Equivale a dire che per il capitale avere successo consiste nel diminuire il salario degli occupati, e rende ancora più impossibile abolire il lavoro salariato. Effettivamente, i capitalisti possono sempre fare causa comune contro la riduzione delle ore di lavoro, costringendo a mantenere i più bassi salari possibili per la classe operaia.
Se mantenere la classe operaia in povertà, di per sé non è un obiettivo volto a massimizzare i profitti, eppure esso acquisisce questa ulteriore razionalità. I capitalisti ed i loro agenti possono puntare alla povertà del lavoratore per dimostrare come meno ore di lavoro sia per loro un obiettivo finanziariamente impossibile! L'argomentazione che il lavoratore stesso non può permettersi meno ore di lavoro, è probabilmente l'affermazione più efficace e potente che mai sia stata fatta contro di essa.
Anche se quest'argamentazione fosse vera, equivarrebbe all'argomento per cui i capitalisti possono impedire indefinitamente il comunismo semplicemente mantenendo i lavoratori in uno stato di povertà. Argomento che effettivamente incoraggia i capitalisti ad imporre i vincoli più draconiani rispetto al potere di consumo della classe operaia, per tenerla sotto controllo.
Per i comunisti, accettare quest'argomento è il colmo dell'ipocrisia, della tracotanza e del tradimento. Ma è proprio questo genere di ipocrisia, di tracotanza e di tradimento che si trova dietro tutte le proposte di limitare la nostra lotta alle domande immediate per il miglioramento delle nostre condizioni di classe, e ad affrontare solo più tardi l'abolizione del lavoro salariato. Tanto più efficaci sono gli sforzi dei capitalisti volti a mantenere i lavoratori in condizioni di povertà, tanto più si pone l'obiettivo finale dell'emancipazione.
Ora sono quasi cinquant'anni che abbiamo visto all'opera solo questo modello: Più i capitalisti impongono richieste irragionevoli alla classe operaia, tanto più i radicali limitano la loro agitazione alla difesa contro queste irragionevoli richieste ed evitano di porre la questione della completa emancipazione.
La difesa contro le irragionevoli richieste del capitale viene posta in opposizione all'emancipazione, come se l'emancipazione nom includesse il rovesciamento di tutte le richieste, ragionevoli o irragionevoli che siano, del capitale: come se, in altre parole, misure come la fine del sistema del welfare non fosse già implicita nella fine del sistema della schiavitù salariale; come se, in qualche modo, volessimo liberarci dal sistema salariale, ma tenerci il welfare, che è un suo necessario complemento.
Con comunisti come questi, chi ha bisogno di Keynesiani?
A mio avviso, queste idee non provengono in prima istanza dai comunisti, ma sono il risultato del fatto che i comunisti incanalano in maniera acritica le idee generate dall'interno della classe operaia stessa. La classe operaia è assolutamente dipendente dai termini e dalle condizioni della vendita della sua forza lavoro per poter sopravvivere, e l'idea di essere troppo povera per il comunismo è il prodotto di tale dipendenza. Qualsiasi cosa che sembra minacciare la vendita della forza lavoro appare ai lavoratori come una minaccia per la loro sopravvivenza fisica.
I lavoratori non hanno bisogno dei comunisti per fare i conti: meno ore di lavoro significa salari più bassi. Se fosse una semplice questione di matematica, nessuno avrebbe mai avuto bisogno dei comunisti per qualcosa: abbiamo dei calcolatori dentro i nostri smartphone.
Però, il lavoro dei comunisti non è quello di fare i conti per la classe operaia, ma mostrare loro perché la matematica sia sbagliata. Non serve la scienza per risolvere le domande del buon senso comune della vita quotidiana. La scienza ci serve quando il senso comune della vita quotidiana fallisce. Come avviene con l'idea che meno ore di lavoro portino ad un maggior impoverimento della classe operaia.
È perfettamente ovvio che se le mie ore di lavoro vengono tagliate da 40 a 30, allora riceverò un corrispondente taglio del mio salario e sprofonderò nella povertà. Ma se estendiamo questo a tutti i lavoratori, ecco che la composizione diventa erronea: l'idea che ciò che è vero per un lavoratore deve essere vero se viene applicato a tutti i lavoratori insieme.
Nel primo caso, il risultato è che i salari cadono. Nel secondo caso, è che i risultati crescono.
Se tutti i lavoratori si mettono insieme e rifiutano ogni lavoro che ecceda le 30 ore, ecco che avremo l'esatto risultato opposto di quello che accadrebbe se lo farebbe un solo singolo lavoratore. Ciò avviene perché il rifiuto del lavoro che eccede le 30 ore settimanali da parte di tutti i lavoratori, avrebbe l'effetto di ridurre le ore totali di lavoro che vengono offerte sul mercato per la produzione capitalista. Per compensare tale ridotta offerta di tempo lavorativo, i capitalisti dovranno assumere lavoratori aggiuntivi e quindi apportare nuovi salari. Ridurre l'insieme delle ore di lavoro offerte porta ad un risultato assai diverso da quello di ridurre l'offerta di ore di lavoro individuali. Mentre la povertà di un lavoratore individuale non può essere risolta attraverso meno lavoro, la povertà di un'intera classe può essere risolta se tutti loro lavorano meno.
È questa la logica che sta dietro ogni sciopero industriale e perfino dietro la formazione dei sindacati.
In un sindacato, i lavoratori si riuniscono insieme e riducono collettivamente il loro tempo lavorativo finché non vengono soddisfatte le loro richieste. Più inclusivo il sindacato, più efficace la sua azione. Nessun lavoratore può arrivare a questa conclusione osservando a quel che succede se lui lavora meno, dal momento che le due cose non funzionano allo stesso modo.
Quel che è strano è che anche i comunisti non riescono a vedere questa cosa e arrivano a pensare solamente come avviene nel caso individuale. Questa non è scienza, questo è un ragionamento secondo il buon senso. Il ragionamento secondo il buon senso ci può aiutare quando cerchiami di decidere quanto tempo utilizzare per la cura di un membro della famiglia, ma non può aiutarci quando si tratta di emancipazione. Se lo possiamo combinare in un sindacato locale - limitare il nostro lavoro ed ottenere salari più alti - cosa ci fa pensare che fare la stessa cosa per tutta la classe operaia dovrebbe portare a salari più bassi?
I comunisti sanno che questo è l'effetto della combinazione che è il motivo per cui loro supportano la sindacalizzazione, ma per qualche strana ragione lo dimenticano quando pensano all'emancipazione.
- Jehu - Pubblicato su The Real movement il 23/6/2017 -
fonte: The real movement
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