lunedì 19 giugno 2017

Produttivi e non

lo-sato-attuale

Uno dei dibatti più importanti sull'opera marxiana è quello che tratta della definizione di lavoro produttivo. Fondamentale, ai fini della comprensione più profonda dei significati della critica dell'economia politica, questo dibattito non si è mai trovato ad essere in primo piano fra gli epigoni, gli interpreti o i detrattori di Marx, diversamente da quel che è avvenuto con le polemiche intorno agli schemi della riproduzione, o della trasformazione del valore in prezzi. Tuttavia, dal punto di vista categoriale, il problema del lavoro produttivo precede dal punto di vista logico: non sarebbe possibile comprendere gli schemi allargati di riproduzione, senza una distinzione rigorosa fra il "lavoro che aggiunge valore" ed il "dispendio improduttivo di forza lavoro" (Marx), così come non ha senso discutere su come il valore si manifesta sotto forma monetaria se non si mette al centro la "sostanza" del valore e, di conseguenza, senza conoscere la differenza fra valorizzazione e capitalizzazione.
Nel corso del XX secolo, alcuni autori hanno affrontato questo tema, come è avvenuto per quel che riguarda Isaak Rubin, nel 1923 (La teoria marxista del valore) ed Ernest Mandel, nel 1967 (Il capitale: cento anni di polemiche sull'opera di Marx), ma entrambe le riflessioni hanno naufragato. Per il teorico russo, scomparso durante le purghe staliniste, la differenza fra lavoro produttivo ed improduttivo avviene a secondo che l'utilizzo di questo lavoro avvenga nella sfera del capitale produttivo o nella sfera improduttiva (circolazione). La riflessione è importante, ma non raggiunge il punto di vista della riproduzione: le merci consumate dal capitale e dal lavoro utilizzate nella sfera della circolazione realizzano il loro valore oppure - come dice Marx riguardo il "consumo improduttivo" - avviene solo che il "valore sparisce con il consumo"? Da parte sua, Mandel è stato in grado di vedere i differenti momenti in cui Marx ha affrontato la questione, differenziando l'approccio che parte dal capitalista individuale e l'analisi del lavoro produttivo per il capitale globale. Tuttavia, nell'indirizzare la riflessione verso i "beni materiali", il marxista belga regredisce ad un materialismo volgare che mette in pericolo tutta la teoria del valore. I teorici postmoderni, contrapponendosi al marxismo volgare, vogliono seppellire tutta la critica dell'economia politica, perché hanno scoperto l'importanza del "lavoro immateriale", espressione che si trovava già in Marx e non dice niente della natura produttiva o improduttiva del lavoro in termini di valore.

Il testo che segue sfugge completamente a quest'ambito semplificatore. Eì il risultato di un processo di maturazione della cosiddetta critica del valore - la comprensione secondo cui il grande contributo (e l'attualità) dell'opera di Marx risiede proprio nella sua analisi di come il capitalismo riduce tutto alla forma di merce e, per questo, ha una dinamica interna di auto-distruzione. La crescente improduttività del lavoro, sarebbe una delle manifestazioni di tale auto-contraddizione del capitale: al di là della disoccupazione di massa, il secolare trasferimento del lavoro verso le sfere improduttive del capitale blocca la riproduzione, che non può più avvenire in maniera allargata. Peter Samol, nell'articolo che segue e che è apparso sul sito di Krisis nel 2013, critica il modo in cui Robert Kurz rappresenta il problema dell'improduttività crescente del lavoro. Fondatore di Krisis, da cui si è allontanato nel 2004 per fondare il gruppo Exit!, fondamentalmente Kurx viene criticato per aver definito il lavoro produttivo come quello «il cui consumo viene di nuovo recuperato nella riproduzione allargata». Samol sostiene che tale formulazione, basata su una "teoria della circolazione", è tautologica: «secondo Kurz, i prodotti sono il risultato del lavoro produttivo solo quando sono consumati dai lavoratori produttivi, i quali sono per questo motivo "lavoratori produttivi"? La risposta è: "coloro il cui lavoro è produttivo".»
Frutto di un lungo processo di sviluppo teorico, i cui principali momenti potrebbero essere indicati negli scritti del 1986 (La crisi del valore di scambio), del 1995 (L'ascesa del denaro in ciero) e del 2007 (Il disvalore della conoscenza); la formulazione di Robert Kurz tenta di riempire una lacuna nella critica del valore senza ricadere in una visione limitata della produzione (da questo l'importanza della "riproduzione del capitale globale") e ancor meno senza regredire in un'ontologia del lavoro che rimane attaccata alla natura materiale dei prodotti. Qui Samol sembra affrontare quest'ultimo problema dando priorità, come nucleo della sua domanda, ad un termine ("prodotti") che in Kurz è usato di passaggio: «Kurz pone la questione di chi paga per il prodotto del lavoro». Nella formulazione kurziana originale, egli si riferisce sia ai prodotti intesi come "lavatrici e automobili", sia a "prodotti" (posti fra virgolette, come "taglio di capelli e spedizione di lettere" (servizi), proprio per sfuggire da una definizione di "sostanza" del lavoro produttivo basata sulla "tangibilità materiale del prodotto".
Anche l'accusa di tautologia ha senso solo se la "teoria della circolazione" rivendicata da Kurz viene abbassata alla mera "sfera della circolazione"; quando invece qui si tratta chiaramente del "processo globale di circolazione" (unità di produzione e circolazione).
Qui pesa, per l'incomprensione del problema, il silenzio sulla profondità delle considerazioni di Kurz in "Denaro senza valore" (2012) .
In quello che è diventato il suo ultimo libro, Kurz amplia la sua riformulazione, criticando radicalmente "l'individualismo metodologico" ancora presente nella critica del valore, cosa che si manifesta in una teoria che parte dalla merce individuale e dal lavoro privato e arriva solo al capitale in generale visto come mera ipostasìa astratta del capitale particolare. Il punto di vista del capitale globale diventa essenziale per la trasformazione della critica dell'economia politica, un cavo di alimentazione teorico necessario per ricostruire tutte le categorie di critica radicale del capitalismo.

Maurílio Lima Botelho - pubblicato su "ensaios e textos libertários" il 3 giugno 2017 -

mezzogiorno-riposo-dal-lavoro-van-gogh-analisi

Appropriazione indebita teorica
- La strana versione del concetto di "lavoro improduttivo" in Robert Kurz e come la sua risposta alle critiche aumenti la confusione -
- di Peter Samol -

Sommario
La diminuzione di lavoro produttivo di valore, insieme al simultaneo aumento del lavoro improduttivo di valore, è una delle tante cause della crisi che colpisce inesorabilmente il capitalismo nella sua fase tardiva. Una determinazione precisa della distinzione fra lavoro produttivo ed improduttivo è imprescindibile per l'analisi di tale fenomeno. Il teorico critico Robert Kurz tratta di questo in vari saggi. Tuttavia, nel corso di due decenni, questa distinzione ha avuto, nell'autore, una mutazione che significa una trasformazione fondamentale nel contenuto di questi concetti. Alla fine, Kurz stabilisce questa distinzione ad un livello di analisi del tutto differente rispetto a Marx. Se per Marx quel che è decisivo, per la determinazione del lavoro produttivo, è se e come un lavoro partecipa alla produzione di merci per il capitale, Kurz arriva all'interpretazione per cui solamente una considerazione della circolazione delle merci permette una demarcazione esatta fra lavoro produttivo ed improduttivo. Ma si può dimostrare con Marx che il valore dei prodotti del lavoro rimane con il capitale dopo la sua realizzazione, e che pertanto la circolazione non può avere il ruolo riservato da Kurz alla determinazione dei concetti. Inoltre, la posizione di Kurz soffre di una tautologia concettuale nella quale il lavoro produttivo viene spiegato per mezzo di esso stesso. E ancora, Kurz alla fine amplia questa discutibile tautologia, in cui finisce non solo per tralasciare qualsiasi altra spiegazione, ma non è più capace di spiegare niente. La posizione di questo articolo vuole contrastare la direzione verso un vicolo cieco nell'elaborazione teorica della critica del valore.

Introduzione
Com'è noto, l'approccio della critica del valore riconosce che la Terza Rivoluzione Industriale getta il sistema della valorizzazione in una crisi fondamentale. Una delle diverse cause principali è la "moltiplicazione del lavoro improduttivo". Di concerto con ciò, l'ascesa della scienza come principale forza produttiva porta ad una successiva sostituzione del lavoro produttore di valore con il lavoro improduttivo. Questa tesi è stata formulata per la prima volta da Robert Kurz nel testo "La crisi del valore di scambio", del 1986. Venti anni dopo, con la pubblicazione del testo "L'inutilità della conoscenza", Kurz mette tale mutamento nella composizione del lavoro sociale totale come punto chiave della teoria della crisi della critica del valore. Qui viene affermato che il modo di produzione capitalista mina le sue proprie basi, dopo che «con la progressiva socializzazione le "spese extra" (cioè, i "costi morti" del lavoro improduttivo, per esempio) crescono per ragioni oggettive, mentre simultaneamente si abbassa la massa del plusvalore sociale totale dell'insieme della società. È questa crescente discrepanza che costituisce appunto la barriera interna assoluta della valorizzazione» (Kurz, 2007). Oltre al fatto che le ragioni che portano all'affondamento della massa sociale di (plus)valore globale non posso essere ridotte a questo unico momento, in questo testo Kurz coglie il concetto di lavoro improduttivo in maniera assai peculiare. Stabilisce questa distinzione ad un livello di analisi del tutto differente da quella che era stata fatta da Marx. Marx e l'approccio della critica del valore concordavano sul fatto che, ai fini della determinazione del lavoro produttivo, è decisivo sapere se e come i differenti lavorano partecipano alla produzione di merci per il capitale. Secondo Kurz, al contrario, solamente la considerazione della posizione della merce nelle complesse condizioni di scambio dentro la forma sociale capitalista, cioè, nella circolazione delle merci, permette una chiara demarcazione fra il lavoro produttivo e quello improduttivo. Robert Kurz ha attribuito a questo mutamento di livello nella determinazione del lavoro produttivo, "L'ascesa del denaro al cielo", pubblicato nel 1995.

I. Lo sviluppo della tautologia kurziana nella questione del lavoro improduttivo
Nel testo summenzionato "La crisi del valore di scambio", del 1986, Kurz si trova ancora molto lontano da questo mutamento. Lì, tratta la relazione del lavoro con la produzione capitalista di merci come esclusivo criterio di distinzione che permette di separare il lavoro produttore di valore da quello non produttore di valore. Al di là del presupposto, evidente in tutti i teorici di provenienza marxista, secondo il quale il lavoro può essere lavoro produttivo solo se è stato pagato dal capitale - cioè, il lavoro che non sta in una relazione capitalista semplicemente non è produttivo -, Kurz enfatizza, soprattutto, un punto di vista particolare: la questione della "responsabilità" (Zurechenbarkeit). In questo modo, solo i lavori direttamente coinvolti nella produzione di una merce singolare possono essere considerati lavori produttivi. Tutto il lavoro necessario per assicurare le condizioni generali ed individuali della produzione, invece, hanno il carattere di lavoro improduttivo, cioè, non entra nella formazione del valore di scambio, ma appartiene ai costi addizionali della produzione del capitale. Pe quanto questi lavori siano indispensabili al funzionamento del capitalismo, essi allo stesso tempo riducono i profitti, poiché consumano plusvalore senza produrre valore. Tali attività so no, ad esempio, attività organizzative dentro le distinte unità capitaliste (per esempio, la supervisione dei processi di produzione o di contabilità), attività nella circolazione delle merci (acquisto di materie prime, vendita di prodotti finiti, pubblicità, ecc.), protezione di oggetti di valore (servizi di vigilanza notturna, sicurezza, ecc.), attività governative (legislazione, giurisdizione; amministrazione, fornitura di istruzione di cure mediche, così come infrastrutture generali, ecc.) e, non meno importante, produzione generale di conoscenza (soprattutto nei dipartimenti di ricerca e di sviluppo delle imprese).

Ernst Lohoff, nel suo testo "Il valore della conoscenza" (Lohoff, 2006), ha affrontato questa delimitazione concettuale del nucleo del lavoro produttivo di valore, a proposito del quale dice - rispetto al lavoro della conoscenza, concentrandosi soprattutto sulla questione di quello che si riferisce alla stragrande maggioranza del lavoro di informazione nel campo delle tecnologie di informazione (IT) - che si tratta di un lavoro improduttivo. Nella misura in cui il lavoro intellettuale viene eseguito solo una volta e può entrare in qualsiasi numero di prodotti individuali, come, ad esempio, la produzione di software, esso è una forma di lavoro generale e, pertanto, di lavoro improduttivo - secondo il criterio di "responsabilità" di Kurz -, dal momento che non entra nella produzione di ciascun bene individuale. La produzione di qualsivoglia bene della conoscenza replicabile permette di guadagnare denaro, ma la sua fabbricazione non produce alcun valore che possa essere realizzato successivamente con una vendita andata a buon fine; precedentemente, i produttori di questi beni creano un "reddito di informazione". Nel suo testo del 2007, Kurz scarta velocemente queste considerazioni, che vengono legate direttamente ad un terreno della teoria della crisi della critica del valore, come qualcosa di irrilevante. Secondo questa visione successiva, una chiara separazione concettuale fra lavoro produttivo ed improduttivo può essere ottenuta solamente nei termini di una "teoria della circolazione" - e Lohoff, che nella determinazione del lavoro produttivo ha astratto l'intreccio della circolazione, viene squalificato dalla mancanza di questa comprensione in quanto rappresentante di un'erronea teoria "pre-monetaria" del valore.

Questa rottura con un punto di vista che Robert Kurz stesso aveva sviluppato nei suoi lavori teorici fondamentali sulla crisi, era cominciata due anni prima. La tesi secondo cui la distinzione fra lavoro produttivo ed improduttivo ha anche una dimensione teorica rispetto alla circolazione e che quindi sarebbe anche quanto meno determinata dalla circolazione, è stata introdotta da Kurx nel saggio "L'ascesa del denaro al cielo", del 1995. In contrasto con il suo testo successivo del 2007, però, Kurz non considera il "teorema della circolazione" come unico criterio, ma lo colloca praticamente a lato della determinazione classi del lavoro produttivo della critica del valore. Secondo la posizione espressa nel saggio del 1995, esistono due ostacoli a che i lavori possano essere considerati produttivi, se si considera la società come un tutto: in primo luogo, devono: (a) essere direttamente coinvolti nella produzione di merce dentro una realtà capitalista ed essere responsabili di merci individuali, ed allo stesso tempo - e sta qui la novità in Kurz - (b) anche rappresentare lavoro produttivo dal punto di vista della teoria della circolazione. Secondo questo secondo aspetto, «... è produttivo di capitale soltanto quel lavoro i cui prodotti (ed anche i cui costi di riproduzione) rifluiscono nel processo di accumulazione di capitale; ossia, quello il cui consumo viene di nuovo recuperato nella riproduzione allargata. Solo tale consumo è un "consumo produttivo", non solo immediatamente, ma anche in riferimento alla riproduzione. Ciò avviene quando i beni di consumo sono consumati dai lavoratori che sono essi stessi produttore di capitale, il cui consumo non si esaurisce di per sé, ma ritorna sotto forma di "fuoco" dell'energia produttiva di capitale, in un nuovo ciclo di produzione di plusvalore. Al contrario, tutti i beni di consumo che vengono consumati dai lavoratori improduttivi o dai non-lavoratori (bambini, pensionati, malati, ecc.) non ritornano, come energia rinnovata, nella creazione di plusvalore: sul piano dell'insieme della società, si tratta solamente di un consumo che scompare senza lasciare traccia e senza dare impulso alla riproduzione capitalista. Lo stesso vale anche per la produzione dei beni strumentali: in termini di teoria della circolazione, questo lavoro è produttivo solo se il consumo dei suoi prodotti si verifica nel contesto della creazione di plusvalore, cioè, se ritorna al ciclo di produzione di plusvalore» (Kurz, 1996).

Secondo Kurz, un parrucchiere lavora in forma produttiva quando taglia i capelli di un lavoratore improduttivo, ma è improduttivo quando usa le forbici su qualsiasi altra persona. Quest'interpretazione nei termini della "teoria della circolazione" non è problematica solo quando si colloca al centro della determinazione del lavoro produttivo e contro il successivo sviluppo della classica argomentazione della critica del valore; anche in quanto portatrice di una presunta complementarietà, contribuisce più alla confusione che alla chiarezza. La tesi di Kurz secondo la quale dipende dal rispettivo cliente se il parrucchiere - o qualsiasi altro produttore di un bene o di un servizio - debba essere considerato un lavoratore produttivo o meno, è del tutto giustificata. Qui nasce inevitabilmente la questione: se, secondo Kurz, i prodotti sono il risultato del lavoro produttivo solo quando sono consumati dai lavoratori produttivi, chi sono allora i "lavoratori produttivi"? La risposta è: «coloro il cui lavoro è produttivo». Questo, a sua volta, si applica al lavoro il cui prodotto viene consumato dai lavoratori produttivi. Ma quali lavoratori sono realmente lavoratori produttivi? E così via, in un circolo infinito. Questo ci riporta alla mente la canzone infantile del buco nel secchio, che non finisce mai in quanto manca sempre un oggetto fondamentale. Alla fine, quel che manca è un secchio intatto, e la canzone riparte sempre dall'inizio. La definizione di Kurz è ovviamente tautologica, dal momento che il lavoro produttivo è determinato dal lavoro produttivo, vale a dire, da sé stesso, un errore basilare che ogni studente di filosofia impara ad evitare fin dal primo semestre. Già nel 1999, Michael Heinrich ha criticato questa tautologia ed ha anche osservato: «Anche Kurz sembra essere stato chiaro su questa circolarità, dal momento che osserva che il suo concetto di lavoro produttivo "può apparire strano al pensiero che definisce infestato dal positivismo" - con il quale già anticipa i limiti dei futuri critici, i quali sarebbero già "positivamente infestati"» (Heinrich, 1999). Certo, il positivismo dev'essere criticato; nella sua prospettiva limitata, solo ciò che è misurabile può essere esaminato e discusso, essendo tutto il resto considerato "non-scientifico" e, pertanto, insignificante; inoltre, la sua logica è puramente formale, indifferente al contenuto. Ovviamente, è l'affermazione della tautologia (o circolarità) che si basa (suppostamente) sun una conclusione puramente formale, che Kurz vorrebbe rovesciare per mezzo della sua accusa di positivismo. Ma è proprio sullo sfondo di una logica dialettica che in questo caso Kurz non è convincente; poiché per Hegel, precursore e virtuoso della dialettica, una strategia razionale, quando è un anticipo di un principio che deve ancora essere dimostrato, è circolare (Jaeschke 2005). Sebbene nella tradizione della teoria dialettica, le tautologie avvengano occasionalmente, esse svolgono una funzione completamente diversa da quella che hanno in Kurz. In quanto nucleo più intimo di un concetto, esse occasionalmente rappresentano nella logica dialettica una sorta di "tautologia di base", che, tuttavia, viene già abolita nella prima negazione e, nello sviluppo successivo, arriva quasi a scomparire completamente, di modo che la si può trovare solo grazie ad un'analisi meticoloso - come quella effettuata da Hegel nella sua "Scienza della Logica". Ad esempio, in Hegel, il teorema di identità A = A, originariamente derivato da Aristotele, è una tautologia. Ma una simile tautologia non significa niente. Chi dice che un albero è un albero non ha ancora ampliato la sua conoscenza botanica (si veda Hoffmann 2004). Allo stesso modo, Kurz non ha raggiunto alcun progresso cognitivo affermando che il lavoro improduttivo è determinato dal lavoro improduttivo.

Tali inizi tautologici sono estremamente poveri di contenuto e stanno lì solo per essere superati. Rimanerci significa non averlo capito. Vengono chiamati solamente perché, nel corso del tempo, spariscano e liberino la mediazione. Attraverso l'abbandono di tale inizio, le determinazioni del pensiero diventano sempre più determinate. Tuttavia, in Kurz le determinazioni del pensiero diventano, esattamente al contrario, sempre più indeterminate. In caso di ricorso alla dialettica, egli lo fa in una forma rigida nella quale perde la sua vitalità. Così, la tautologia iniziale non solo viene mantenuta, ma si espande sempre più, impedendo un'elaborazione di una teoria solida. In questo modo, il concetto non attraversa più nessuna determinazione successiva, finendo dopo tutto come un'affermazione secca ed insostenibile nell'aria.
Come mostrato, il fatto che il lavoro oggettivato nella merce consumato sia produttivo o improduttivo, dipende, secondo Kurz, dallo status del consumatore all'interno del processo di valorizzazione del valore. Con questo cambiamento di prospettiva, egli pensa di tenere aperta una porta d'ingresso per il ciclo del capitale. Ma, in realtà non accede al ciclo del capitale, ma trasferisce nella circolazione la differenza fra lavoro produttivo ed improduttivo. Ma, nel II libro del Capitale, Marx chiarisce che il valore dei prodotti del lavoro non passa, come afferma Kurz, per i consumatori o per la forza lavoro. Esso si applica solamente al valore d'uso delle merci che entrano nel consumo della forza lavoro. Tuttavia, considerato il lato del suo valore di scambio, rimane il fatto che «il capitale variabile [e con esso, anche il rispettivo valore, P.S.], in qualsiasi forma, rimane sempre nelle mani del capitalista [...] Nel corso di tutti questi cambiamenti, il capitalista mantiene continuamente il capitale variabile nelle sue mani: 1) all'inizio, come capitale monetario; 2) in seguito, come elemento del suo capitale produttivo; 3) più tardi, come parte del calore del suo capitale-merce; 4) alla fine, di nuovo in denaro, nel quale la forza lavoro, solo nella quale può essere convertita, si confronta di nuovo»  (MEW 24, S. 445 [1985, volume III, 328]). Ma se, come mostra Marx, il valore del capitale variabile non smette mai di trovarsi nelle mani dei capitalisti, allora è del tutto irrilevante la fonte da cui si origina il denaro che ha portato alla vendita della merce e così alla tappa (4). Di fatto, sebbene il salario contribuisca decisamente alla realizzazione dei beni di consumo - «è il salario. il denaro del lavoratore, che proprio nel realizzarsi in questi mezzi di consumo ristabilisce nella sua forma denaro il capitale variabile [...] per il capitalista» (MEW 24, S. 445 [1985, volume III, 328]) per il capitale è importante solamente che le merci siano realizzate, e non da dove venga il rispettivo denaro; e, di certo, non si tratta di una questione di lavoro produttivo ed improduttivo. In questo contesto, Robert Kurz riferisce la plausibilità superficiale del suo approccio al fatto evidente che il lavoro vivente viene spinto sempre più al di fuori della produzione di merci, cosa che a sua volta finisce per avere un effetto negativo su di esse, poiché ogni lavoratore dismesso deve restringere il proprio consumo, diventando di conseguenza superfluo ancora più lavoro, pertanto a nuovi licenziamenti, ecc.. Dalla fine della prosperità, agli inizi degli anni 1970, di fatto, la tendenza è che sempre più persone perdono la possibilità di ottenere lavoro e di essere parte del processo di valorizzazione. Questo a sua volta influenza la sua capacità di realizzare plusvalore in quanto consumatori e acquirenti di merci. Questo non comporta un processo auto-rafforzato di restringimento solo perché la dinamica di creazione del capitale fittizio fornisce possibilità di realizzazione alternative al capitale funzionante. Ma questa è una trasformazione a livello di meccanismi di realizzazione, e Kurz si perde quando confronta questo sviluppo con la determinazione del concetto di lavoro produttivo, e quindi classifica come prodotti del lavoro improduttivo tutti i prodotti del lavoro consumati dagli esclusi [Herausgefallenen] poiché il loro consumo non serve più, come lui afferma, per «ri-alimentare la riproduzione di capitale». Il fatto che una parte crescente di accumulazione di capitale funzionante sia diventato dipendente dall'anticipazione mediata dall'industria finanziaria della produzione di plusvalore futuro, è farina di un altro sacco, e non ha niente a che vedere con la distinzione fra lavoro produttivo ed improduttivo.

2. La fuga in avanti: l'allargamento della tautologia alla sua elevazione a livello fondamentale
Dodici anni dopo, lo stesso Kurz allarga ancora di più nella sua argomentazione la tautologia discutibile. Nel suo saggio del 2007, "L'inutilità dell'ignoranza", caratterizzato più dalla rabbia della denuncia che dalla chiarezza del contenuto, il teorema della circolazione smette di essere soltanto una determinazione della distinzione fra lavoro produttivo ed improduttivo che somma la comprensione classica della critica del valore, ma si colloca in una posizione contro di essa. Ora Kurz insiste sul fatto che «la differenza fra lavoro produttivo ed improduttivo non si può stabilire in maniera definitoria, sulla base di determinati "lavori" particolari, ma solo nei termini della teoria della circolazione, ossia, in riferimento all'insieme della riproduzione capitalistica. Quest'idea era già essenzialmente alla base del mio saggio "L'ascesa del denaro al cielo", nella vecchia Krisis (nº 16/17, 1995), ma finora non ha subito un qualche ulteriore sviluppo» (Kurz, 2007). Questo verdetto è rivolto essenzialmente contro le considerazioni summenzionate di Ernst Lohoff (2006), sul lavoro informatico; ma preso sul serio, Kurz ha escluso fin dall'inizio qualsiasi possibilità di mediazione fra la nozione marxiana di lavoro improduttivo (con cui, d'altronde, egli stesso continua, tuttavia, ad operare) ed il suo approccio teorico della circolazione. Il risultante "annegamento delle differenze" (Marx su Smith in MEW 24,435) pone non solo per lui stesso, ma anche per i suoi colleghi teorici, delle esigenze concettuali. Così, per esempio, Ortlieb (2008) scrive: «Nel quadro della critica dell'economia politica, però, è indiscutibile che tutti i lavori che consistono nella mera canalizzazione dei flussi di denaro (commercio, banche, compagnie di assicurazioni e molti dipartimenti individuali dentro le imprese produttrici del resto di plusvalore) sono improduttivi, in quanto non creano in quel modo alcun plusvalore». Pertanto, Ortlieb utilizza la definizione classica e si pone in aperta contraddizione con Kurz. Per il fatto che non solo non fa una mediazione fra l'utilizzo tradizionale del concetto e l'utilizzo che lui ne fa, ma pretende di eliminare la vecchia comprensione, Kurz stabilisce le basi perché si stabilisca un alto livello di confusione concettuale. Nel corso della sua argomentazione, alla fine è arrivato a raggiungere una posizione che ricorda parecchio quella peculiare di Michael Heinrich sulla teoria del valore. Secondo tale posizione, le merci che non riescono ad essere vendute non rappresentano, e non rappresenteranno mai, alcun valore: «Ad esempio, anche i lavori industriali di fabbrica, in apparenza chiaramente produttivi, possono anche diventare improduttivi, se non chiamano a sé una qualche domanda che abbia capacità di pagamento; questo non è in nessun modo un "problema di realizzazione" di un valore in sé esistente, ma quel che avviene è che è stato "prodotto" assai poco valore nell'insieme della società (cosa che diventa visibile solo nel contesto della mediazione), una situazione che allora si vendica su determinati capitali individuali» (Kurz 2007, p.13). Il fatto che le merci che non arrivano ad essere vendute non rappresentano mai valore, è una mera affermazione di Kurz che egli, tuttavia, non giustifica. Di fatto, i problemi della realizzazione non rendono improduttivo il lavoro produttivo, ma portano alla svalorizzazione delle merci e del capitale. Ridefinire la realizzazione che non ha successi come lavoro improduttivo e renderla il nucleo della distinzione fra lavoro produttivo ed improduttivo è altamente problematico. Perché: a) da un lato, - e questo punto dev'essere vero considerato che Ortlieb ha ragione - c'è il lavoro chiaramente improduttivo che non può essere ridotto neanche con la miglior volontà al teorema della circolazione di Kurz. E questo sarà sempre così nel capitalismo. Così, per esempio, i lavori nella circolazione sono semplicemente insostituibili per il funzionamento del capitalismo, così come lo è il lavoro della conoscenza. Lo stesso vale per le attività della polizia, dei giudici, politici ed altre persone che fiancheggiano il movimento della società della merce ed in tal modo permettono la continuità della sua sopravvivenza. Tuttavia, la loro indispensabilità non li rende neppure un poco lavoro produttivo. Dall'altro lato, b) secondo Kurz, solo successivamente si può sapere se un lavoro è stato improduttivo. Questo si traduce in gravi problemi teorici. Com'è noto, un criterio essenziale, seppure non sufficiente, per la determinazione del lavoro produttivo è chi paga per la forza lavoro - cioè, il capitale. Kurz, al contrario, pone la questione di chi paga per il prodotto del lavoro (per il futuro lavoro produttivo - ma è possibile saperlo solo in un futuro ancora più distante se questo sarà nuovamente produttivo, e così via). Cos', egli rigira la linea del tempo fra produzione e realizzazione, e perciò deve determinare che cosa risulti dal futuro per il presente, cosa che è praticamente impossibile). In ultima analisi, Robert Kurz, risolve il problema nel modo seguente: visto che egli è fermamente convinto che la crisi finale del capitalismo sta arrivando in maniera sicura e assai rapidamente, e visto che secondo lui non è possibile chiarire «la definizione concettuale del lavoro produttivo ed improduttivo, senza ricorrere al contesto interno dell'insieme del sistema»(Kurz 2007, p. 21), può affermare con tono suppostamente profetico che sempre più lavoro diventa lavoro improduttivo, cosa che porta alla crisi. E perché sempre più lavoro diventa improduttivo? Perché viene la crisi?... E così via. Così come nella "Ascesa del denaro al Cielo", il tentativo di spiegazione presupponeva la spiegazione che doveva prima trovare" (Adorno 1966). In questo modo, è diventato evidente che la tautologia di Kurz si è ampliata mostruosamente, non solo sostituendo qualsiasi altra spiegazione, ma alla fine anche essa stessa da parte sua non spiega niente. In questo modo, la teoria della crisi della critica del valore non viene sviluppata, ma come prima cosa viene condotta in un vicolo cieco.

- Peter Samol - Pubblica su Krisis di aprile 2013 -

fonte: ensaios e textos libertários

Nessun commento: