Un detective per l'Antichità
di Giovanni Mariotti
Perché si scrive la storia? I due uomini che in Occidente fondarono questa pratica, Erodoto e Tucidide, diedero risposte diverse. Erodoto dichiarò di aver scritto la sua opera "perché gli eventi umani non svaniscano con il tempo e le imprese grandi e meravigliose, compiute sia dai Greci sia dai barbari, non restino senza fama". Diversa l'intonazione di Tucidide, e il suo scopo: "Basterà che stimino la mia opera feconda quanti vogliono penetrare il reale senso delle vicende, delle già avvenute e di quelle che, somiglianti e affini per la loro qualità di fatti umani, potranno avvenire in un tempo futuro". Tucidide nutre l' ambizione che la sua opera costituisca una guida per chi deve agire, e insomma crea le premesse di quella sinergia tra storia e politica che, nonostante la voga di varie forme di storia specializzata e di microstoria, è rimasta viva ed egemone sino a oggi.
Per Tucidide, osserva Luciano Canfora nel recente La storiografia greca (Bruno Mondadori), "lo storico sceglie e riferisce sempre una unica versione dei fatti, la quale dev'essere evidentemente ogni volta quella vera. Che è la ragione per cui Tucidide, mentre avverte di dipendere in larga misura da informazioni altrui e di essere ben conscio del loro valore disuguale e contraddittorio, presenta tuttavia i dati, sia quelli assunti direttamente, sia gli altri, in un'unica forma obiettiva...".
Il suo è "un passo indietro rispetto a Erodoto, il quale non solo attribuiva alle sue fonti la responsabilità dei dati... ma non rifuggiva dal riferire, l'una accanto all'altra, più versioni dello stesso episodio. Un passo indietro che ha pesato in modo decisivo sulla forma della storiografia classica" (giacché , com'è noto, il modello tucidideo di una storia "pragmatica" prevarrà sul modello erodoteo) e, con l'andar del tempo, ha contribuito alla sua "povertà e fissità".
Un esempio mirabile (un vero e proprio exploit) del metodo di Luciano Canfora ci viene offerto da un altro libro uscito da poco, Il mistero Tucidide (Adelphi), in cui la diffidenza verso le "versioni uniche" viene applicata a smontare proprio la biografia del grande storico. Secondo una tradizione che è sempre apparsa indiscutibile (una vera e propria fable convenue) Tucidide, durante i vent'anni in cui si sviluppò la guerra del Peloponneso, sarebbe rimasto lontano da Atene, esule a causa di un insuccesso militare; ma già ne La lista di Andocide, apparso un anno fa da Sellerio, Canfora aveva insinuato che il tono con cui Tucidide parlava di un episodio avvenuto nel 411 a.C. sembrava inconciliabile con l'idea di un "remoto esule che narra fatti lontani". Il nuovo libro contiene affermazioni molto più radicali: nel 411 a.C., l'anno del colpo di Stato oligarchico che per qualche tempo portò al potere il Consiglio dei Quattrocento, Tucidide non sarebbe stato esule, come si è sempre creduto, bensì ad Atene, sul "luogo del delitto"; e ci sono ragioni di credere che sia stato parte della congiura. Scrive Canfora:"Appare chiaro che il racconto di Tucidide scaturisce dall'interno del Consiglio dei Quattrocento. Si potrebbe anzi dire: dall'interno della sala in cui esso si riuniva, il bouleuterion.
Ma perché tutti hanno sempre creduto che Tucidide si trovasse invece a Skapté Hyle, nei suoi possedimenti in Tracia? Perché una serie di sapienti ritocchi degli editori moderni (la caduta di una parola o di un inciso in tre frammenti antichi, rispettivamente di Aristotele, di Demetrio Falereo e di Prassifane, e una correzione apportata a un frammento di Polemone...) avrebbero forzato i testi, costringendoli a combaciare e a ingranare con la versione accreditata. Col suo occhio dilatato, lo storico moderno si china su quelle piccole cicatrici, come l'esperto che esamina il foro d'entrata di un proiettile, e mostra come il lavoro di occultamento sia stato rafforzato da rimozioni, ipotesi o leggende, alcune delle quali derivano dagli antichi.
Leggere i ragionamenti di Canfora è come vedere all'opera un Auguste Dupin o un Hercule Poirot della storiografia; con questa differenza: che i grandi detective avevano l'ambizione di giungere a una ricostruzione esatta dei fatti, e all'indicazione d'un colpevole; Canfora, invece, ritiene che il passato sia sostanzialmente inconoscibile, e il "lavoro di verità" dello storico possa consistere soltanto nel mostrare le crepe e le rappezzature del "racconto unico". Basta aprire a caso un libro come La storiografia greca, per esempio, oppure il Giulio Cesare, appena uscito da Laterza, e ci troviamo subito in medias res, calati dentro problemi pratici e intellettuali che non appaiono mai troppo lontani da quelli del mondo nel quale viviamo; un' intelligenza agile e concreta brilla dappertutto, nel - le sintesi ampie come nelle indagini circoscritte. Ma se dovessi indicare il vero fiore delle ricerche di Canfora sceglierei la lunga serie dei suoi piccoli libri (serie a cui appartengono Il mistero Tucidide e La lista di Andocide). In questi esempi di detection applicati a una questione precisa che lo stile intellettuale di Canfora funziona nel modo più ammirevole, con tutti i suoi meccanismi logici e analogici allo scoperto. Quando l'autore si deciderà a raccogliere in volume gli opuscoli che ha via via pubblicato nel corso degli anni, avremo in mano uno dei libri di storia più affascinanti del nostro tempo.
- Giovanni Mariotti - 17 aprile 1999 -
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