TABULA RASA
- Fino a che punto è auspicabile, necessario o lecito criticare l'illuminismo -
di Robert Kurz
Il soggettivo nella critica del soggetto ovvero la dialettica dei bravi ragazzi
Così come la costituzione sociale del feticcio in generale, e la forma moderna del soggetto in particolare, rappresentano una relazione paradossale, così anche lo scuotimento liberatorio da tale forma deve avere in qualche modo a che fare col paradosso. Questo potrebbe essere foriero di confusione, visto che la stessa forma del soggetto, in quanto "nemico", non è tanto facile da levare dal mondo in quanto oggetto esteriore, dal momento che tale forma non è solo interiore, ponendosi nei confronti degli individui alienati sempre allo stesso tempo come un potere esterno. Anche a tal proposito bisogna affinare la logica della negazione in termini concettuali per non lasciare alcuno spazio all'apologetica.
In questo modo si può far valere - con una qualche correttezza, contro l'argomentazione sviluppata fino a questo punto - che essa stessa fa conto di non essere ancora l'argomentazione di un soggetto, pur essendo un soggetto che formula la critica di questa forma. Alla fine è questo che costituisce il momento paradossale di questa costellazione. Ora, evidentemente, non si può né si deve negare che è proprio questo lo stato delle cose. Ma cosa ne consegue? L'anti-critica potrebbe continuare a dire, con una qualche giustezza: nasconditi, fai conto di essere già al di là della forma del feticcio, di non essere più un soggetto maschile governato dalla logica della dissociazione, e fai conto di formularne la critica, per così dire, "dal di fuori". Quindi, non atteggiarti a "quello "che sta sopra alle cose", come meta-femminista e come avversario del soggetto, allora - ma per che cosa?
Infatti c'è da chiedersi dove voglia arrivare una simile anti-critica. Se quello che è in causa è la difficoltà a far "saltare", insieme al continuum storico delle relazioni di feticcio, anche la forma del soggetto dotata di logica maschile della dissociazione, allora il problema può essere solo quello di sapere con quali mezzi ed in che modo saremo liberi da questa "gabbia di ferro" della forma. Una discussione su questo tema non potrebbe acquisire nessuna particolare rilevanza, trattandosi solamente di un dibattito sulle modalità, sulle tattiche, sui modi di affrontare e, soprattutto, sul modo di rappresentazione teorica di un obiettivo comune indiscutibile. In fondo, ci troviamo solo all'inizio della critica del soggetto e della dissociazione, e del suo modo di riflessione teorica, in un modo tale che la nostra rappresentazione di questa critica non può essere altro che contaminata da questo modo.
Ma se a tutto questo non si trova associata una qualche proposta sul come far fuori il soggetto del valore e della dissociazione, al momento finiamo solo per avanzare nella rappresentazione teorica della critica radicale - fermo restando l'accusa precedente - e per librarci in aria senza risolvere niente, rendendo la cosa tutt'al più passibile di essere interpretata. Non c'è un messaggio implicito, ma potrebbe essere: non si pretende di attaccare seriamente la forma del soggetto in tutti i suoi aspetti come se questo fosse in qualche modo possibile! Dopo tutto questo non è possibile, perciò, "accettalo", non cercare di essere chi non sei, e che tutti noi non siamo! Riposati un poco e, a proposito: "qualcosa" del soggetto deve esserci, qualsiasi cosa esso sia... E con questo torniamo, però, alla questione del principio di negazione. Non è possibile essere un poco incinta e così non si può praticare un po' di critica del soggetto.
In realtà, c'è qualcosa da dire sulle modalità della trasformazione. E' chiaro che non può essere assunta una posizione sociale reale che vada al di là della determinazione formale profondamente radicata negli individui, questo è evidente. Ma si può però ben stabilire un punto di partenza immanente ed un percorso della critica e della trasformazione. Che gli individui non siano ostaggio della forma di feticcio "come le formiche nel formicaio" (Anselm Jappe) lo si avverte, e avviene come sofferenza. Bisogna segnalare una sofferenza permanente nella relazione tra i sessi dominata dalla dissociazione, che in ultima analisi mostra l'incapacità di qualsiasi relazionamento. La sofferenza è il punto di partenza concreto. Il trattamento di questo contenuto empirico può costituire una posizione virtuale "del lato esterno": vale a dire la riflessione critica del proprio relazionarsi sessuale e sociale. Sarebbe ridicolo negarci questa possibilità e voler relegare nell'irrealtà l'esistenza stessa di una tale critica.
"Virtualità" qui non significa, nel senso postmoderno, l'indifferenza di un "va bene tutto", oppure scavare la differenza fra realtà e rappresentazione mediatica, ma l'auto-percezione distaccata e critica in seno alla realtà capitalistica ancora non superata e costituita dalla logica del valore e della dissociazione; ossia, qualsiasi assunzione di un distanziamento a fronte della "capacità di distanziamento" distruttiva capitalista.
"Virtuale" in questo senso è quello che è la critica nella sua essenza, poiché alla fine si tratta della negazione, per così dire mentale, di una situazione reale ancora non superata. Una persona si può ancora trovare "intrappolata" in questa situazione, in termini reali, ma la nega sulla base della sua esperienza di sofferenza, cioè, assume una posizione trascendente in termini ideali o virtuali, in cui la critica vuole diventare prassi. Il concetto postmoderno della virtualità vuole dire decisamente il contrario, ossia la mera sostituzione della critica con un'altra "percezione" della realtà.
La posizione virtuale della critica, in questo senso niente affatto postmoderno, permette, da una parte, che si dia inizio ad un processo, certamente difficile, di trasformazione pratica, a partire dal proprio comportamento quotidiano fino alla rivoluzione delle istituzioni sociali. Tuttavia, il fatto che questo processo pratico evolva in modo contraddittorio, discontinuo, ecc. non modifica il fatto che la posizione virtuale della critica permetta, dall'altra parte, che nel campo relativamente indipendente della teoria, la logica della critica della forma del soggetto si sviluppi già nei suoi principi fondamentali, e che si formuli con tutta l'acutezza dovuta ed in tutti i suoi aspetti essenziali; anche se questa critica non può essere esaustiva, dal momento che incontra la sua forma definitiva solo nelle esperienze della pratica negatoria. Qui si rende visibile il momento in cui bisogna capovolgerla, mediante la trasformazione della cesura borghese della riflessione critica sull'opposizione fra teoria e prassi.
L'argomento appena espresso - se e nella misura in cui appare all'orizzonte di un'anti-critica meramente difensiva - si rivolge, tuttavia, proprio contro l'elaborazione teorica della posizione virtuale della critica e, anzi, perfino contro la possibilità della critica stessa. Come argomento, per la sua parte teorica, costituisce già l'embrione di una qualche apologia della forma soggetto. Questo implicherebbe una decisione in relazione ad un conflitto che si svolge all'interno del petto lacerato della logica maschile della dissociazione. Gli è che l'esperienza della sofferenza non deve in alcun modo guidare "oggettivamente" la posizione della critica; una tale esperienza può anche portare - specialmente a partire da una posizione "maschile" - ad un'affermazione compensatoria della situazione stessa di sofferenza, che fra le altre cose si alimenta della supremazia strutturale maschile: in termini pratici, facendo della dissociazione la sua vita quotidiana; in campo teorico, nella forma di quella regalità filosofica che non si manifesta unicamente come postura, ma si è oggettivizzata nel proprio modus teorico.
Giacché si soffre, che avvenga almeno nella falsa coscienza della riflessione a vantaggio di chi sta sopra la parte dissociata. E' questo il vero "atteggiamento di chi sta al di sopra delle cose"! La coscienza della presunta superiorità anche nella sofferenza e attraverso la sofferenza, offre la compensazione che sul piano sessuale immediato si presenta come eterosessualità irriflessa, e dal punto di vista sociale e teorico come affermazione quasi naturale del soggetto della dissociazione. Ossia, in termini pratici e quotidiani, e ancora di più sotto la forma teorica oggettivistica e contemplativa: il lato di Tantalo è compensato dal lato di Procuste, e dietro questi è già in agguato ... Hannibal Lecter.
Ora, con questa definizione della contraddizione e delle sue possibili implicazioni non è ancora stabilita una chiara distribuzione dei modi di comportamento. Chi sviluppa in forma coerente la critica teorica, quindi può ancora agire nella pratica di tutti i giorni e del relazionamento in una forma in gran parte caratterizzata dalla logica maschile della dissociazione. E viceversa: chi ha imparato, sotto molti aspetti, nella pratica quotidiana o nel contesto dei movimenti sociali, ad evitare comportamenti propri della logica della dissociazione, nell'ambito dell'elaborazione teorica può sempre, nonostante tutto, aggrapparsi con le unghie e coi denti al modus della dissociazione e, con esso, all'apologia della forma del soggetto (o a qualcuno dei suoi momenti). Evidentemente, sono possibili anche altre combinazioni. La situazione, in quanto situazione di contraddizione, si può risolvere unicamente in un movimento contraddittorio.
Qui, tuttavia, ci interessa solamente la formulazione della critica radicale. E quello che succede è questo: il fatto che, in termini di pratica sociale, non abbiamo ancora superato la forma del soggetto impregnata dalla logica della dissociazione, non è un argomento contro la formulazione della critica teorica di tale forma. Ed ancor meno serve da argomento perché non si "possa" o non si "debba" formulare questa teoria in maniera conseguente. E serve ancora meno come argomento per cui "qualcosa" di questa forma del soggetto "dovrebbe" essere mantenuta per ragioni di emancipazione, ed innalzata da parte di una società posteriore a forma di valore.
Esiste ancora un altro aspetto di questa possibile anti-critica. A tal fine, si possono cambiare le carte in tavola e dire: nella stessa misura in cui in questo modo, secondo il principio della tabula rasa, abbatti la miseria della forma soggetto e la miseria dell'essere maschile dissociato, stai denunciando involontariamente te stesso come soggetto maschile dotato di tutti gli attributi della militanza e di tutta l'armatura della forma. Quello che vuoi è, per così dire, dissociare implacabilmente la dissociazione e pavoneggiarti posando a super-soggetto.
Ma un simile argomento equivarrebbe ancora una volta a rifiutare e a distorcere l'inevitabile logica della negazione emancipatrice. Se continuiamo in questo travisamento, alla fine non potremo più negare ed aggredire le situazioni formali negative. Gli è che di fatto una negazione ed un superamento attivo non sono né pensabili né eseguibili se la critica della forma del soggetto non ha, essa stessa, un momento soggettivo, in quanto la stessa critica della forma nasce solo a partire dalla forma del soggetto, in quanto conseguenza della sofferenza, che viene sottomessa ad un trattamento emancipatorio.
Per poter muovere guerra contro qualcuno o qualcosa, una persona deve porsi ancora sullo stesso terreno. Per occuparsi della salute della forma, bisogna vincerla, per così dire, con le sue stesse armi. Il lato soggettivo della critica del soggetto è imprescindibile in quanto è parte dialettica della negazione. Proprio in questo senso non dobbiamo limitarsi ad ammettere passivamente che purtroppo ancora non siamo riusciti a superare la forma del soggetto, ma dobbiamo volgere attivamente una tale immanenza contro la sua stessa forma.
Questo non significa affatto che la negazione ed il suo oggetto siano identici, e che anche la negazione dovrebbe essere o relativizzata o rifiutata nella sua totalità. Una simile caratterizzazione sarebbe solamente espressione della mancanza della volontà o della mancanza della capacità di riflettere profondamente sulla logica della negazione emancipatrice. La critica radicale rimane "soggettiva" unicamente perché, e nella misura in cui, si dirige contro la stessa forma del soggetto, ossia, del suo potenziale negatorio nei confronti del principio reale negativo, contro il quale (e unicamente contro il quale) dev'essere rivolto il momento soggettivo come elemento consapevolmente distruttivo. Questo significa che, contro il soggetto distruttivo e caratterizzato dalla forma del valore e dalla logica della dissociazione, non è (ancora) possibile una relazione diversa che rispetti l'altro e che tenga conto della logica propria delle cose, ma è possibile solo la sua logica distruttiva, proprio per distruggere la distruzione. Evidentemente non si tratta di assassinare l'assassino o di violentare il violentatore, ma di fermare le uccisioni e le violenze (anche nel senso più ampio e figurato dello sviluppo capitalista delle forze distruttrici), il che non può essere fatto senza un momento di "contro-distruzione", che perderebbe la sua ragion d'essere solamente in una società liberata dalla forma del feticcio e, insieme ad essa, dalla forma del soggetto.
La disoggettivizzazione, al contrario, è un'attitudine riferita fin dall'inizio ai contenuti della relazione con il mondo. Per questo, il processo di transizione dovrà volgere, da una parte, il momento soggettivo contro lo stesso soggetto e in più, allo stesso tempo, dovrà sviluppare nei confronti degli oggetti e delle relazioni sociali quei momenti in cui non sia già più soggettivo. Proprio per questo, il momento soggettivo, negatorio ed emancipatore contro lo stesso soggetto, non è in alcun modo identico a questo, ossia, alla forma del soggetto e alle sue rispettive conseguenze: se quest'ultimo si relaziona col mondo in maniera soggettiva e negatrice, e con sé stesso in modo positivizzante, il primo invece si relaziona, in forma esattamente inversa: col mondo in maniera non-soggettiva e facendo riferimento al contenuto, mentre si confronta in modo soggettivo e negatorio con la forma del soggetto in quanto tale.
Questo significa diventare soggettivi immediatamente in maniera negativa e trasformatrice contro quello rispetto a cui invece il soggetto, secondo il suo concetto stesso, non può essere soggettivo che in senso proprio e positivo, ma sempre solo come oggetto di un'auto-oggettivazione; e con questo, contro tutto quello che rimane sempre nascosto nell'angolo morto della sua auto-percezione: ossia, soggetto solo nel senso dell'abolizione del soggetto; ed è esclusivamente per un tale fine, per un tale atto e per un tale momento storico al punto di svolta dialettico, che la soggettività diventa essenziale. Così facendo, però - capovolgendo la negazione della relazione col mondo e dell'auto-relazione negativa degli individui - la forma del soggetto costituisce una soggettività che non è già più. L'errata e precipitosa "rinuncia" al momento soggettivo, proprio sotto quest'aspetto, in realtà non sarebbe altro che una "rinuncia alla rinuncia", ossia, solamente la posa di un'autodefinita mancanza di soggetto in rapporto alla distruzione della forma; posa che in realtà vuole lasciare incolume tale forma di soggetto.
Dopo tutto, il soggetto, in qualche modo, è già sempre un oggetto nella sua auto-oggettivazione; è per questo che ci si può sempre ritirare dal lato dell'oggetto, quando la situazione diventa seria. Quanto più soggettivo, tanto più oggettivo: sono piccolo, il mio cuore è puro, e in esso non entra nessuno, salvo lo spirito del mondo. Non sono mai stato il soggetto, sempre solamente l'oggettività, e possiamo essere tanto più soggettivi nel senso borghese banale. Proprio questa capacità di camuffamento del soggetto della dissociazione dev'essere spezzata brutalmente, senza cerimonie, anche se la cosa provochetà un casino considerevole e macchierà la tovaglia.
Pertanto, bisogna arrivare al giorno in cui l'uomo e la donna insieme "saranno uomini", e bisogna investire contro la mascolinità dissociatrice; questo deve avvenire usando la medesima mancanza di considerazione che caratterizza lo stesso soggetto del valore quando suole voler consumare col minimo sforzo possibile. Sarebbe un'illusione, senza alcuna speranza di realizzazione, pensare che la forma del soggetto possa essere in qualche modo superata, o anche solo mitigata, senza questo passaggio attraverso la negazione dura e aperta. Se il capitalismo, come forma di riproduzione, non può essere riconvertito in un trattamento vegetariano del mondo, la stessa cosa si applica al soggetto di tale forma. Il predatore dev'essere abbattuto. E qui falliscono tutti gli stratagemmi e i filosofemi cinesi più simili ai consigli della nonna nel loro propagandare cose come "l'azione per mezzo dell'inazione", raccomandandoci di aspettare sulla sponda del fiume, in postura contemplativa, che il nemico passi da solo sotto forma di cadavere, senza alcun colpo o sparo. Indipendentemente dal fatto che ci sia qualcuno con cui si possa fare così, sicuramente questo qualcuno non è la forma del soggetto.
L'anti-critica rivolta contro l'elemento soggettivo della critica del soggetto viene a cadere da sé sola, dal momento che proprio la sua rinuncia a questo momento soggettivo farebbe fallire il tentativo di far conto di trovarsi oltre la forma del feticcio e oltre la forma del soggetto; come se nel bel mezzo della forma del soggetto, ed in relazione ad essa, potessimo dedicarci con facilità ad essere non-soggetti. Con questo, comunque, non si arriverebbe a nessuna trasformazione, ma solamente ad una "assenza dell'Io" - nel senso di Hannah Arendt, sempre in agguato sul fondo della "forma soggetto" - che si manifesterebbe attraverso le peggiori atrocità. Il "desiderio di non dover essere un soggetto" - soprattutto quando si riferisce proprio a non dover essere soggettivi contro il proprio soggetto - non è altro che un desiderio di lottare per essere e rimanere un soggetto della dissociazione maschile senza dover soffrire la tortura inerente ad una tale situazione: stare "in cima" - preferibilmente nella posizione permanente del missionario - senza doversi sentire "in cima", poter sentirsi superiori senza dover portare il fardello della superiorità.
In tal modo, però, l'anti-critica corrispondente, diretta contro la soggettività della critica radicale del soggetto, non può essere vista dalla prospettiva della critica solamente come deficienza e mancanza di conseguenza, ma dev'essere vista anche come difesa attiva del soggetto stesso della dissociazione. Per questa difesa non esiste, dopo tutto, solo l'opzione dell'attuazione, blindata, dell'affermazione pura e semplice, nella quale il soggetto "assume" di essere e di voler essere quello che è. Anche sul piano della relazione diretta fra sessi non esiste solo il maschio medio, ma esiste, ugualmente e di nuovo, anche il bravo ragazzo, l'uomo del gruppo maschile che per vie fraudolente si vuole dotare di un'emancipazione che non gli appartiene. E' questo l'etero duro e puro della dissociazione che ha rinchiuso, insieme al panico, i suoi impulsi omosessuali debellati nella caverna del subconscio - com'è sempre accaduto - ma che adorna la sua esteriorità con le decorazioni dell'omosessualità e della femminilità; che neppure un albero di Natale. Questo tipo di uomini gioca solamente con gli attributi della femminilità; non per superare la situazione di dissociazione, ma per cementarli in una forma particolarmente perfida. E' l'uomo che vuole essere al cento per cento "mascolino" e appropriarsi per giunta del "femminile", ossia, vuole "avere tutto"; così come, all'inverso, la donna che vuole "avere tutto", la professione e la carriera, inclusa la concorrenza agguerrita, e allo stesso tempo una "femminilità" dissociata, famiglia, figli ed una vita casalinga borghese. Cosa che evidentemente può andar solo male su entrambi i fronti, dal momento che, come si sa, non esiste una vita vera in seno a quella falsa.
In questo luogo non intendo né posso preoccuparmi dei problemi connessi ai comportamenti pratici nei rapporti quotidiani tra i sessi che non possono essere, in alcun modo, risolti nella prima linea di un approccio teorico. Per prima cosa, quello che qui sta in causa è la forma in cui la "dialettica dei bravi ragazzi" si può presentare nella discussione teorica, rispetto alla critica del soggetto o al suo rifiuto o denuncia. Come apologeta teorico positivizzatore del soggetto, il bravo ragazzo - che riflette l'anima della dissociazione allo stesso modo in cui l'economista riflette l'anima della merce - potrebbe seguire la strategia di assumere il ruolo dell'innocenza perseguitata; così come l'antisemita si presenta sempre come perseguitato e messo in mezzo dagli ebrei. Il soggetto della dissociazione sotto la copertura della "femminilità" vorrebbe accusare - in maniera del tutto simile alla negazione dura della forma del soggetto - la logica della tabula rasa della critica del soggetto di agire in maniera troppo "mascolina" ed aggressiva, di non aver abdicato alla "mascolinità", ecc.. Con ciò, evidentemente i fatti verrebbero rovesciati e, paradossalmente, la negazione del soggetto verrebbe sovvertita facendo riferimento proprio alla critica del soggetto. Contro tutto questo bisognerebbe mobilitare la vecchia parola d'ordine degli autonomi, "sensibilità e durezza": sensibilità verso i contenuti e le relazioni, durezza contro la forma del soggetto - e si chiede, per favore, di non confondere una cosa con l'altra!
- Robert Kurz -
- 10 – continua … -
fonte: EXIT!
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