C'è un breve saggio di Maurice Blanchot su Henri Lefebvre, intitolato "La parola quotidiana". Lo si trova, inserito ne "L'infinito Intrattenimento" (sottotitolo: Scritti sull'«insensato gioco di scrivere») e vale senz'altro più di una lettura. Il punto di partenza di Blanchot è assai chiaro: la quotidianità non ha niente a che vedere con la medietà, il quotidiano è qualcosa che, sfuggendo, sempre e del tutto, alla riflessione cosciente, permea silenziosamente l'esistenza di ciascuno di noi.
"L'uomo (l'uomo di oggi, quello delle nostre società moderne) è al tempo stesso sommerso dal quotidiano e privo del quotidiano, e - terza definizione - il quotidiano è anche l'ambiguità di questi due movimenti, entrambi difficili da cogliere."
Insomma, viviamo nel quotidiano sempre e, necessariamente, senza accorgercene. Non appena proviamo a rifletterci sopra, ecco che ne siamo già usciti fuori. Così, per Blanchot, il quotidiano è, allo stesso tempo, l'assenza ed il troppo pieno, è l'insignificante, ma è anche l'insieme di tutte le significazioni. E' l'assurdo, ed è il senso assoluto, la banalità ed il massimamente importante, la spontaneità della vita che scorre ed il rispetto indiscusso ed indiscutibile delle norme sociali. Senza corrispondere con esattezza a nessuno dei poli di tutte queste coppie opposte ed oppositive, si delinea proprio nella sua oscillazione continua, ed inafferrabile, fra esse. E finisce in tal modo per identificarvisi, e trascenderli.
"Il quotidiano ha un carattere essenziale: non si lascia cogliere. Sfugge. Appartiene all'insignificante, e l'insignificante è privo di verità, di realtà, di segreti; eppure potrebbe essere anche il luogo di ogni significante possibile."
La vita quotidiana è sempre tutt'altro. Non è il normale cui si oppone lo straordinario. Non è l'orizzonte scivoloso ed immediato che attende il sopravvenire di un qualsiasi miracolo. La passione predominate rimane sempre e soltanto la noia, una noia già vissuta o ancora da sperimentare, però mai sentita intensamente ed a lungo; in quanto sennò sarebbe già un uscir fuori dal tran tran.
Il quotidiano rimane privo di soggetto, e quindi sfugge sempre e non può essere narrato, perché quando viene narrato smette di essere quotidiano. Perché il quotidiano rimanda sempre a quella parte di esistenza non evidente, eppure non nascosta. Insignificante, silenziosa. Un silenzio che si dissolve nel momento stesso in cui taciamo per cercare di sentirlo: è più facile sentirlo se continuiamo a chiacchierare!
"(...) ciò che è reso pubblico per la strada non è realmente divulgato: lo si dice, ma questo 'si dice' non si fonda su una parola realmente pronunciata; così le voci sono riferite senza che nessuno le trasmetta e proprio perché chi le trasmette accetta di non essere nessuno."
Tutto questo ha un evidente riflesso sul piano della narrazione (quell'incastro programmato di azioni che fa sì che, anche solo per un giorno, l'attore diventi un eroe). L'esperienza quotidiana è priva di valori e di valenze: in essa, nessun eroismo è possibile!
"L'eroe, che pure è uomo di coraggio, ha paura del quotidiano, e ne ha paura non per il timore di una vita troppo facile, ma perché teme di incontrare la cosa più temibile: una potenza di dissoluzione. Il quotidiano rifugge dai valori eroici proprio perché rifugge ancor di più da ogni valore dell'idea stessa di valore e torna sempre a distruggere la differenza abusiva tra autentico e inautentico. L'indifferenza giornaliera si situa ad un livello dove non si pone la questione del valore: SI ha il quotidiano (senza soggetto, senza oggetto), e finché lo SI ha, il SI del quotidiano non deve valere, e se, malgrado tutto, il valore vuole intervenire, allora il SI non vale nulla, e nulla vale a contatto con esso."
Per Blanchot, il quotidiano è dunque il regno - pericoloso e temibile - dell'indifferenziato e della differenza assoluta, dell'amorfo e dell'informale, dell'insignificante e dell'ultrasensato. Qualcosa che può essere afferrato solo uscendo fuori da esso. La quotidianità non è mai "alla portata", proprio perché sfugge, e sfugge perché priva di qualsiasi soggettività identitaria. Più che identificarsi con una qualche, o qualsiasi, esperienza - la cosiddetta esperienza quotidiana - il quotidiano sta a monte, o a valle, di ogni esperienza.
Nel quotidiano, come a Delos, non si nasce e non si muore, perché non c'è né vero né falso.
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