Visto dall'Italia un reddito minimo come quello della Hartz IV può apparire attraente; però in Germania ha aiutato ad abbassare sia il reddito dei disoccupati sia i salari.
Dieci tesi contro la richiesta di un reddito minimo
Nei movimenti globali successivi al 1968 e all'autunno caldo del 1969, i redditi si disaccoppiano tendenzialmente dall' erogazione di forza-lavoro, e diventavano generalmente più uguali. Con il ristagno di questi processi ugualitari dal basso nella metà degli anni '70, alcuni gruppi di sinistra radicale producevano riflessioni strategiche attorno ad un “salario politico” e ad un “reddito minimo garantito”. Nella Repubblica Federale Tedesca la richiesta di un reddito di esistenza affiorò all'interno del movimento autonomo degli anni '80 come reazione alla ristrutturazione dello stato sociale. Allo stesso tempo (negli anni '80), politici della CDU propagavano “l'imposta negativa sul reddito”, una cosa che vige tuttora (per esempio nel reddito di solidarietà dei cittadini). Sinistra, CDU, sindacati e padroni avanzano la stessa richiesta. Come è possibile?
1) La proposta di un reddito di esistenza è espressione di una società che diventa sempre più diseguale; ma allo stesso tempo fiancheggia questo processo. Non è solo una reazione alla ristrutturazione dello stato sociale, bensì una strada verso la sua ristrutturazione e smantellamento; non è un mezzo per una più equa distribuzione del reddito.
2) Dalla storia sappiamo che l'introduzione di redditi sganciati dal salario ha sempre condotto alla diminuzione del livello di riproduzione della classe operaia, così come è esattamente successo in Germania con l'introduzione del pacchetto delle riforme Hartz (la cosiddetta “Agenda 2010” del cancelliere Schröder) Con esso è stato introdotto un reddito minimo di nome Hartz IV. Questo ha sia abbassato i redditi dei disoccupati che fiancheggiato ed accelerato l'espansione del settore a basso salario in Germania. Con l'allineamento di una parte dei redditi al livello più basso sono stati spazzati via gli ultimi resti dell'uguaglianza conquistata con le lotte; in più la Hartz IV ha aggravato l'ineguaglianza salariale degli occupati. La funzione “produttiva” della Hartz IV per i padroni: un milione di persone lavora e percepisce Hartz IV come compensazione dei salari miserabili.
3) Tuttavia la Hartz IV non è niente affatto incondizionata, bensì sottoposta a controlli e precondizioni umilianti. Perciò i sostenitori del reddito di esistenza insistono sul fatto che un reddito incondizionato (e allora garantito) aumenterebbe i redditi dei disoccupati – anche se i salari forse continuano a diminuire (il problema dell'ineguaglianza salariale non interessa ai sostenitori del reddito di esistenza, in quanto si vedono come rappresentanti della propria clientela). Però i cambiamenti sociali ed il potere politico necessari ad istituire un reddito di base incondizionato e sufficientemente alto da garantire a tutti la possibilità di scegliere liberamente se vogliono lavorare, sono tanto importanti che allora anche la rivoluzione sarebbe possibile. I sostenitori del reddito di base vogliono tuttavia praticare una Realpolitik, e sanno perfettamente che possono solamente cogestire il bilanciamento del “chiedere e promuovere” (parola d'ordine delle leggi Hartz) o scegliere tra incondizionato e sufficientemente alto (vedi il prossimo punto).
4) Esistono anche modelli borghesi di un reddito minimo incondizionato. Loro vogliono risolvere il problema di un capitalismo stagnante e del crescente indebitamento statale (Nuovi lavori nonostante la crescita zero – attraverso lavoro volontario e reddito di cittadinanza; il prevedibile fiasco delle pensioni sarebbe attutito con un reddito di base ecc.). Qui il reddito di base viene solitamente finanziato attraverso un aumento dell'IVA – una tassa che pagano prevalentemente i più poveri. (I modelli di sinistra vogliono finanziare il reddito di base tra l'altro attraverso l'aumento della patrimoniale.)
5) I sostenitori di sinistra del reddito di esistenza vedono nello stato sociale un istituto per l'alimentazione dei poveri. Storicamente, però, lo stato sociale era importante per la formazione d'un »ceto medio«. Il riconoscimento istituzionale del movimento operaio è stato il principale baluardo contro la minaccia rivoluzionaria della classe operaia. Questo fissò la stabilità del capitalismo dopo la seconda guerra mondiale – insieme con la protezione individuale delle persone che lavorano o hanno lavorato tramite il welfare state. L'attuale erosione del “ceto medio” può essere visto dall'alto come un problema dello stato capitalistico e poi affrontato con nuovi modelli di stato sociale di regolamento ed eventualmente di acutizzazione della precarizzazione e della disuguaglianza crescente. Oppure possiamo vedervi un processo di proletarizzazione, che è duro, ma a cui viene anche già data risposta da parte di alcuni proletari (vedi le lotte nella logistica! le occupazioni di case...)
6) I sostenitori di sinistra come di destra, di un reddito minimo garantito, partono dal falso presupposto che il lavoro manca nel capitalismo contemporaneo. Il contrario è vero: c'è troppo lavoro (malpagato) – qualcuno parlava addirittura di una “bolla di lavoro”.
Il vero cambiamento – una vera rottura strutturale – in Germania è stata, negli anni '80, l'interruzione dell'oltre centenaria tendenza all'accorciamento dell'orario lavorativo. La lotta per le 35 ore allora combattuta dal sindacato, ha dato via libera all'allungamento e intensificazione della giornata lavorativa effettiva. La gente oggi deve lavorare circa il trenta per cento in più per ricevere circa lo stesso salario come dieci anni fa. Ciò, insieme con la tendenza all'outsourcing, conduce al fatto che in Europa, allo stesso tempo, sia il monte lavoro complessivo che la disoccupazione aumentino, ovvero che sia istituita una disoccupazione strutturale di lungo periodo. Un reddito minimo frammenterebbe ancor più la classe e ridurrebbe ulteriormente i bassi salari.
7) La triade “organizing, campagna politica, reddito minimo garantito” è attraente per la presunta sinistra radicale tedesca anche perché le permette alleanze con gli ambienti ecclesiastici, sindacali e parlamentari (non perché radicalizza i suoi alleati, bensì perché condividono la stessa visione “top-down”). Dallo scoppio della crisi globale si impongono modelli politici “top-down” ancor più forti – di cui fa parte la richiesta di un reddito minimo garantito statale (così è stato in effetti anche durante la crisi economica degli anni '30: New Deal etc. Per la prima volta nel '68 e anni seguenti i movimenti riuscirono a invertire questa tendenza).
8) Nel frattempo si sono associati alla richiesta anche i sindacalisti (di sinistra), che tradizionalmente avevano insistito sul rapporto tra lavoro e reddito. Ideologicamente può sembrare come un passo in avanti che alcuni sindacalisti si allontanino dalla loro etica del lavoro (“chi non lavora vive dal lavoro degli altri”, “chi lavora deve avere più di chi non lavora”). In realtà è un segno della loro debolezza: non sono più in grado di garantire a tutti un salario di sussistenza, dunque deve provvedere lo stato a un salario minimo e a una protezione sociale di base.
9) La rivendicazione di un reddito di esistenza trovava e trova consenso presso persone con una buona istruzione che sono colpite dalla precarizzazione.
Finora non c'è stato alcun movimento che abbia rivendicato il reddito di esistenza. Negli anni '80 in Germania era la rivendicazione delle cosiddette Iniziative disoccupati, un piccolo strato di amministratori retribuiti – a cui la rivendicazione andava molto bene per la loro propria situazione sociale. Forse vediamo nascere per la prima volta un movimento che avanza la richiesta di un reddito di esistenza, ma sicuramente non sarebbe un passo avanti. Gli attuali movimenti hanno due anime nel loro petto: le loro parti qualificate richiedono partecipazione e reddito minimo; la richiesta di un reddito di esistenza rispecchia e suggella la propria separazione dalla società (cosa che in Germania viene anche spesso ammesso dai tifosi del reddito minimo). La parte proletaria del movimento invece richiede salari più alti, occupa le case, ecc..
10) Con la crisi globale anche la questione della redistribuzione entra in una nuova fase. L'ideologia neoliberale dell'efficienza dei mercati si è sputtanata, la socialtecnocrazia dei piccoli passi della sinistra parlamentare è alla fine. Persino FMI e ONU hanno paura per le enormi e crescenti conseguenze del divario sociale dovuto alle cosiddette “riforme strutturali” dello stato sociale dalla fine degli anni '90 in poi (soprattutto “Agenda 2010”).
In questa situazione storica (rivolte in Africa; ripresa della lotta operaia nei paesi emergenti India, Cina, Africa del Sud, Brasile; nuove mobilizzazioni anche in Italia...), saremmo completamente scemi a buttarci dentro una campagna politica per l'assistenza paternalistica dei poveri e la richiesta di alimentazione statale del proprio ghetto!
fonte: WILDCAT
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