giovedì 3 gennaio 2013

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Jacques Rancière, in un articolo dal titolo "Una società del manifesto", apparso sul giornale brasiliano La Folha de Sâo Paulo nel settembre del 1996, si concentra su un'immagine apparsa sull'Illustrated London News del giugno 1848 che "ci mostra un'alta barricata sulla sommità della quale si dispiega un gruppo di insorti. Un piccolo cartello reca la scritta 'Completo'" In proposito, Rancière si domanda se l'autore dell'incisione "abbia voluto intrattenere il suo pubblico mostrando degli operai parigini che vanno sulle barricate così come si va ad uno spettacolo"? Quindi, Rancière, ci propone la sua riflessione sul rapporto fra politica e teatro; assai lontana da quella di Debord a proposito del feticismo dello spettacolo.
L'incisione "ci dice che l'insurrezione stessa, non è affatto la folla affamata, o furiosa, che si riversa nelle strade come un torrente. Ma è un modo di occupare la strada, di distogliere uno spazio normalmente votato alla circolazione degli individui e delle merci, di deviarlo nello spazio di manifestazione di un personaggio dimenticato, nel bilancio del governo: il popolo, gli operai o qualche altro personaggio collettivo."
Quanto al grido degli insorti del giugno 1848, "Pane o piombo", non viene inventato a causa della fame, ma per l'abitudine al teatro, e preso in prestito dal suo linguaggio. "La politica, nel senso forte del termine, comincia con la capacità di dare via il suo linguaggio ordinario ed i suoi piccoli dolori per appropriarsi del linguaggio e del dolore degli altri". Comincia con la narrazione, questo modo di scavare la realtà, di aggiungere nomi e personaggi, scene e storie che la moltiplichino e le tolgano una sua evidenza univoca. "E' così che l'insieme di individui lavoratori diventano il popolo, i proletari, è così che l'intreccio delle strade si trasforma nella città, nello spazio pubblico."
"Lo stesso popolo è una parvenza teatrale, un essere fatto di parole, che arriva in sovrannumero ad imporre la scena della sua parvenza e del suo disordine in luogo della buona ripartizione delle funzioni sociali."
Ripenso a questa barricata teatrale - dice Jacques Rancière - quando sento descrivere il nostro mondo come il mondo della società dello spettacolo, o della politica spettacolo; tracciando la sua differenza rispetto all'analisi di Guy Debord. A suo dire, "noi non viviamo in una società dello spettacolo dove la realtà si perde, quanto, piuttosto, in una società del manifesto dove l'apparenza viene respinta". Il manifesto, per lui, non è lo spettacolo ma è, al contrario, ciò che lo rende inutile, quello che ne riferisce in anticipo il contenuto e ne sopprime, in un sol colpo, la singolarità; come nei manifesti dei film che ce ne anticipano l'effetto, attraverso il dosaggio specifico di stimoli appropriati sul suo target di pubblico. Lo stesso avviene con le rappresentazioni televisive, "delle anti-narrazioni che ci mostrano dei personaggi simili a noi, che si muovono in ambiti simili a quelli nei quali noi li guardiamo, e che espongono dei problemi che assomigliano ai nostri, in ciò simili ai problemi che si presentano, in un'altra parte della giornata, ai testimoni della realtà".

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E fin qui ... Peccato però che Ranciére si fermi al manifesto del 1848 e non dia seguito all'analisi, riferendosi alle rappresentazioni delle manifestazione e delle rivolte contemporanee, così come vengono presentate sui media attuali, dove attori e produttori di informazioni si confondono.
Ad esempio, cosa ci può dire un'immagine come quella sopra, dove vediamo una profusione di bandiere e palloni e palloncini che si mescolano a slogan e rivendicazioni? Cosa percepirà, il cronista? La determinazione dei manifestanti ad occupare la strada, o la determinazione ad occupare i titoli di quei giornali che cominciano i loro reportage, dando conto della differenza della cifra dei partecipanti; quella fornita dalla polizia e quella data dagli organizzatori? Le "reti" hanno apportato un cambiamento, ed avere una buona "copertura mediatica" o "essere in linea" viene considerato come un minimo indispensabile, assai più importante che scendere per strada. Come la carta riciclata o la prima serata per la tv, sembra ormai acquisito che bisogna mostrarsi, bisogna essere localizzati! Il "dove sei?" che oramai si sente per le chiamate su telefonia mobile, si accompagna al "visto in televisione e su facebook". In questo nuovo rapporto di forza, non ci si limita a "comunicare" all'opinione pubblica, ma, all'ombra dei propri avatar, si considerano i propri computer come degli spazi di manifestazione. Lasciando le strade alle sfilate di moda, dando ragione a quelli che dicono che quando c'è uno sciopero non se ne accorge nessuno, e a quelli che predicono che il prossimo sciopero avverrà su internet.
"Pane o piombo", ugualmente, ha lasciato il posto ad altri slogan che, per la più parte, hanno perso la loro potenza di sfida guerriera. Gli slogan per il lavoro, contro la disoccupazione e la precarietà, sono tutt'al più grida di risentimento. Altre grida, hanno perso la loro potenza, a forza di essere separati da qualsiasi azione concreta, che invece promettono. Come se venissero indirizzate, solamente, ai membri del propio clan, al più ai propri simpatizzanti e, se l'eco è forte a sufficienza, al nemico.
La politica, questa pratica che, secondo Rancière, è sempre stata sorella al teatro, ha cambiato la sua "messa in scena", conformandosi ai bisogni dei media e piegandosi all'ottimizzazione del riferimento al numero delle "pagine visitate", al cosiddetto "ranking" sui motori di ricerca. Incamminandosi verso l'illusione di stare insieme, perdendo il senso della realtà.

fonte: http://www.autrefutur.net

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