Era l'unico, o almeno uno dei pochissimi, André Malraux, fra i "mostri sacri" della letteratura francese del XX secolo, a non aver avuto pubblicato un volume di "Corrispondenza". C'è da dire che, nel caso dell'autore de "L'espoir", che lui stesso si era premurato, nel suo testamento, a stabilire che le sue lettere non venissero pubblicate, non prima di almeno 30 anni dalla sua morte.
Malraux non considerava la corrispondenza una forma di letteratura e, soprattutto, non intendeva far parlare di sé e della sua intimità; la massa trascurabile dei segreti, come la definiva. Ora, trascorso il tempo prescritto, l'editore Grasset la fa finita con quest'anomalia, e pubblica un libro (Lettres choisies, 1920-1976 (Cartas escogidas, 1920-1976)) che comprende più di 200 lettere, scelte e commentate da François de Saint-Cheron, dove si muove un Malraux come liberato, in un sol colpo, dal peso della letteratura e da quello del grande uomo di stato. Viene fuori l'amico attento, spesso simpatico e divertito, lettore compulsivo, senza far però dimenticare l'uomo dei compromessi politici. I destinatari sono il generale de Gaulle, Max Jacob, Anré Gide, José Bergamin, Marc Chagall, Pablo Picasso, Salvadot Dalì.
"Niente mi pare degno della lettera, tranne le idee, le cose di ordine pratico e gli elementi bizzarri della vita" - questa è la frase di Malraux che fa da preambolo al libro, sebbene nelle lettere pubblicate sia stato consegnato poco spazio alle "cose di ordine pratico". La fanno da padrone, le idee, che siano letterarie o politiche, e, in sottordine, lo “estrambótico”, una delle sue parole feticcio, che emerge da ogni pagina.
Pur quando è investito della funzione ministeriale (che occuperà dal 1958 fino al ritiro di de Gaulle), dimostra tutto il suo senso dell'umorismo; quello stesso che gli faceva disegnare "piccoli diavoli" sulla copertina delle sue note del Consiglio dei Ministri. Nelle lettere a de Gaulle, che definisce come "un compañero, a volte meraviglioso, e fedele, a bordo di una nave sulla quale il destino ci ha imbarcati entrambi".
Dall'inizio, fino alla fine del libro, quello che risalta su tutto è proprio il valore assegnato all'amicizia, da parte dell'autore de "La condizione umana". "In letteratura, ogni attacco personale è vano", scrive ad un certo punto. Spiega a Martin du Gard come si sia trovato a cantare per la gioia, sapendo che gli avevano assegnato il nobel per la letteratura; lo stesso nobel che Malraux non otterrà mai. In un'altra lettera, sempre a du Gard, chiede che vengano trasmesse a Camus, le sue congratulazioni per avere ottenuto il premio, e applaude alla sua "condotta esemplare". "Avrebbero dovuto darlo a Malraux" - ebbe a dichiarare Camus.
Molte delle lettere, sono una sorta di mini-critica letteraria delle opere che ha ricevuto, che ha letto, che ha analizzato. In altre occasioni, la sua attività politica gli ha impedito di mantenere con la letteratura, quel contatto che amava; e lo manifesta in una lettera a Gide, scritta alla fine del 1945, in cui si scusa per non averlo potuto ringraziare per il suo articolo su "L'espoir". "Quanto alle povere anime che pensano che 'prima lottassi' e che ora mi sarei guadagnato il riposo borghese, hanno molto da imparare ...".
A Marcel Pagnol, che gli propone di presentarlo come candidato all'Accademia Francese, nel 1954, argomenta così il suo rifiuto: "Il desiderio di portare a termine lavori interrotti per 10 anni, di cui lei sa, mi ha obbligato ad una specie di pensione. Mi separano da lei, i libri che non ho scritto".
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