lunedì 9 ottobre 2017

Indagini

tipografo topografo

Due indagini misteriose
- di Jakob Busch -

Sono venuto a conoscenza di due insolite indagini - a me pervenute in maniera non sospetta - piene di elementi contraddittori che prima o poi dovranno essere rese pubbliche. Tali indagini hanno attirato fin dall'inizio la mia attenzione, soprattutto perché sono state condotte secondo metodologie poco usuali per il pubblico scientifico destinatario di queste righe cui sono rivolte e delle quali sono l'umile e fedele firmatario.
Dal momento che non intendo dilungarmi in dettagli circa il modo in cui sono entrato in contatto con queste storie, proporrò solamente i fatti essenziali di queste indagini al fine di condividere l'ammirazione che la loro lettura mi ha suscitato. Se anche il paziente lettore vorrà esercitare il suo acuto giudizio potremo valutare insieme gli effetti delle vicissitudini delle indagini scientifiche contemporanee sulle città e sul mondo urbano.

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La forma dell'acqua
La prima indagine di cui sono venuto a conoscenza aveva a che fare con l'assassinio di un'importante uomo politico in un villaggio nella parte interna della Sicilia, in Italia. La maniera in cui il rapporto è stato redatto mi ha portato a credere che sia stato illegalmente divulgato dallo stesso commissario che ha seguito il caso, riuscendo a fare del materiale poliziesco un racconto letterario, visto che il crimine avea stretti legami con la nota "Operazione Mani Pulite", svoltasi a metà del 1994. [...]
La natura del resoconto italiano, pieno di deviazioni poetiche da parte di un commissario semi-malinconico, rende assai difficile, come diceva Celso Furtado, "sbucciare la cipolla" della realtà - un riferimento, questo, inter nos, all'applicazione recidiva del metodo dell'economia politica alle sue investigazioni. Ciò nonostante, considerata attentamente e "depurata da ogni casualità" - come diceva Engels, un altro investigatore seminale -, la realtà si consegna e si impone bruciante, come la Dama dell'Apocalisse nella voce di Elis Regina.
Insomma, un lunedì mattina, due funzionari della nettezza urbana di Vigata avevano scoperto il cadavere dell'onorevole parlamentare Cusumano, una sorta di capo politico locale, nel terreno che circondava le rovibe della vecchia fabbrica chimica della città, edificata quando il vento del progresso soffiava forte sull'isola:

«poi quel venticello rapidamente si era cangiato in un filo di brezza e quindi si era abbacato del tutto: era stato capace però di fare più danno di un tornado, lasciandosi alle spalle una scia di cassintegrati e disoccupati. Per evitare che le torme vaganti in paese di nìvuri e meno nìvuri, senegalesi e algerini, tunisini e libici, in quella fabbrica facessero nido, torno torno vi era stato alzato un alto muro, al di sopra del quale le strutture corrose da malottempo, incuria e sale marino, ancora svettavano, sempre più simili all'architettura di un Gaudi in preda ad allucinogeni.» (Camilleri, 1999, p.3).

A quel tempo, l'Italia intera era scossa dal terremoto giuridico causato dai magistrati di Milano. E la morte di un'importante figura politica, avvenuta in una zona di prostituzione, portava acqua a quel mulino. Insomma, il rapporto del commissario è diventato una radiografia dell'epoca, della crisi politica innescata dall'Operazione Mani Pulite, nonché una precisa descrizione della vita quotidiana, delle relazioni di lavoro e della criminalità che riguarda quella cittadina costiera che ha vissuto giorni migliori.
Il posto in cui era avvenuto il crimine era noto come "la mannara", ed era il prodotto di una mente ingegnosa, la quale essendo venuta a sapere della decisione ministeriale secondo cui sarebbero stati portati nella cittadina, a titolo di controllo del territorio, dei distaccamenti militari, aveva installato in quel luogo un mercato di carne umana, proveniente principalmente dall'Est europeo, finalmente liberato dal giogo comunista.
Le rovine della fabbrica che circondavano la mannara, arrugginite dall'aria del mare, affascinavano il commissario. Erano un'immagine che sintetizzavano la sua terra, simboleggiavano qualcosa che neanche lui riusciva a spiegare.
Ma le oscure circostante del crimine, coinvolgendo la mannara, avevano provocato l'urgente curiosità del commissario. In vita, l'onorevole Cusumano non era mai stato colto in flagrante. Come se non bastasse, il medico legale aveva dichiarato che la morte era avvenuta per un infarto fulminante, per cause naturali. E dal momento che c'era qualcosa che gli sembrava fuori posto, il nostro commissario aveva contraddetto ogni ragionevole previsione e aveva deciso di continuare le sue indagini. Come diceva la gente del paese, questo commissario, quando decideva di capire qualcosa, la capiva.
Qui non intendo privare il lettore del piacere e dei dubbi che avvolgono chi affronta il resoconto del commissario, ma solo accennare alla possibilità che delle indagini così esotiche possono portare alla comprensione scientifica che analizza le città moderne da questo punto di vista così insolito. Alla fine, potremo confrontare le diverse conseguenze che le posizioni dei due investigatori portano al caso. Ma, per fare questo, dobbiamo prima conoscere il secondo investigatore.

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La città e la città
La seconda indagine, che mi è pervenuta in maniera altrettanto non sospetta, è stata condotta da un ispettore della polizia locale di una capitale dell'Est europeo. Questo ispettore ha indagato sull'omicidio di una giovane studentessa universitaria, commesso in circostanze che, per aver coinvolto frontiere internazionali e sistemi sociali in conflitto che hanno poi convissuto solo dopo la caduta della cortina di ferro, hanno finito per generare un procedimento giudiziario proprio contro di lui!
Si ipotizza, tuttavia, che l'accusa abbia violato la segretezza istruttoria, nella convinzione che la maniera migliore di proteggere un segreto sia quella di divulgarlo al massimo grado. Chi avrebbe mai creduto ad una storia del genere?
La relazione dell'ispettore dell'Europa dell'Est non appare meno pregiudizievole di quella dell'italiano e delle sue nostalgiche infiorettature. Questo perché le indagini avvengono in paesi che hanno lingue e alfabeti differenti, con delle sessioni in tribunali, ora nell'uno, ora nell'altro paese, che vengono trascritte ora in una lingua ora nell'altra, producendo alla fine un collage di traduzioni imprecise, di deposizioni di testimoni chiave e di relazioni dello stesso ispettore in una lingua che egli non padroneggia, di modo che alla fine otteniamo un'immagine d'insieme piuttosto nebulosa, pubblicata in inglese.
Ma questo non è un problema esclusivo del nostro ispettore. La convivenza schizofrenica di queste due città di frontiera costringe i loro abitanti ad esercitare una sorta di autocontrollo quasi assoluto sulle cose che vedono, che sentono e di cui parlano. «Una scissione mentale», scrive il nostro ispettore. Le strade che si incrociano, nelle quali non si sa con certezza in quale paese ci si trova, arrivano al limite di obbligare i passanti ad eliminare una frase pronunciata in lingua straniera pur di non confondersi inutilmente, così come è diventato sempre più comune che gli abitanti di entrambe le città ignorano le insegne e le vetrine dell'altra città, poiché la circolazione fra gli spazi comporta una serie di regolamenti burocratici - come il "visto di soggiorno temporaneo" ed il cambio di valuta - che nella realtà finiscono per incentivare la cosiddetta eliminazione. Negli ultimi decenni gli apparati di vigilanza e controllo delle due città hanno cominciato a costituire delle territorialità parallele con delle zone incrociate che disegnano sul territorio una complicata mappa:

«La maggior parte degli uomini e donne di Beszel (c'è bisogno di dirlo?) non facevano altro che camminare da un posto all'altro, dopo l'ultimo turno di lavoro, da una casa all'altra o da un negozio all'altro. Però il modo in cui guardavamo ciò che ci passava davanti li rendeva una geografia minacciosa, e c'erano abbastanza gesti furtivi da rivelarci che non si trattava di semplice paranoia. (...) Era difficile, ma era prevedibile quel giorno, osservare i confini. Vedere e disvedere solo quello che dovevo mentre me ne tornavo verso casa. Ero attorniato da persone non della mia città che camminavano lentamente attraverso aree affollate, ma non affollate in Beszel. Mi concentrai sulle pietre che erano davvero intorno a me -- cattedrali, bar, il trionfo di mattoni di quella che era stata una scuola -- e con le quali ero cresciuto. Ignorai il resto, o mi sforzai di farlo.» (Mieville, 2009, p.82).

Tanto l'omicidio della giovane universitaria quanto l'indagine nei giorni successivi al crimine hanno coinvolto apparati talmente oscuri che ritengo difficile ci possa essere qualcuno che arrivi ad avventurarsi nello sfogliare le quasi trecento pagine del processo senza ritenersi anche, in una qualche misura, un trasgressore.
Secondo l'ispettore, il crimine sarebbe avvenuto in un doppio crocevia: la morte della studentessa, in una strada ad un incrocio dei due sistemi urbani, faceva venire il sospetto che coinvolgeva anche il reato di violazione, vale a dire, attraversamento non autorizzato di frontiera. Altresì, saltava agli occhi il fatto che la ragazza era una ricercatrice di archeologia che indagava proprio sull'origine comune delle due città. Le ipotesi eretiche di Maria, nome fittizio della vittima, avevano oppositori su entrambi i lati del confine, e suscitavano l'ira delle autorità che, faticosamente, cercavano di ricucire in ciascuna città al sovranità urbana a pezzi. Le ricerche di Maria suscitavano le ire dei miliziani, i gruppi separatisti e nazionalisti di entrambi i lati. C'era una voce insistenze secondo la quale la ragazza apparteneva ad un gruppo unificazionista, che poteva contare su cellule presenti in entrambi i regimi.
Pertanto, le difficoltà che comporta un'investigazione di questa natura sono enormi, anche per l'investigatore più prudente. Nel caso del nostro ispettore, tuttavia, la circostanza oscura del crimine ha finito anche per portargli dei vantaggi. Ciò perché, nella misura in cui il caso porta alla luce la fragilità del sistema di controllo e vigilanza delle due cittá, il nostro ispettore ha cominciato a portare avanti un'operazione internazionale per risolvere il caso stesso. Ma, nonostante i progressi relativi nella conduzione del caso, non è riuscito a liberarsi della sensazione di paranoia dalla quale anche lui era affetto. Via via, le sue scoperte sono state compromesse da un sistema di vigilanza più ampio di quello che immaginava esistesse.

Lettura criminale
Le due indagini hanno dovuto misurarsi con omicidi commessi in paesaggi urbani. In entrambe, emerge "la città" al di là dell'idea del palcoscenico o dello scenario del crimine. Ci sono dei momenti in cui la città appare come il soggetto stesso; la città è un personaggio che ha svolto un ruolo decisivo nella trama. Ne può derivare che, pur non trattandosi di studi urbanistici, possono recare in sé preziose formulazioni sul posto che hanno la città e l'urbano nel mondo contemporaneo. Sono investigazioni urbane, non sull'urbano. In tal modo, queste insolite indagini pongono delle brillanti domande sui limiti della forme tradizionali di indagine e di ricerca.
Ma, per poter avere accesso a queste domande dobbiamo essere complici di fantasiose deviazioni che possono anche finire con l'essere incriminati di fronte all'importante comunità scientifica. Il rischio che proviene dal continuare questa lettura è quello della sola responsabilità dell'attuale lettore. Nonostante che, oramai, probabilmente il delitto è già stato commesso.
E il crimine è stato commesso dall'ingenuo lettore: se fin qui il nostro saggio lettore non ha compreso la natura delle due indagini, poiché non ne conosce la fonte oppure per una buona dose di ingenuità, dobbiamo confessare che le indagini in oggetto sono in realtà due romanzi. "La forma dell'acqua", dello scrittore italiano Andrea Camilleri e "La città e la città" dell'inglese China Mieville. Vigata, è una cittadina immaginaria della Sicilia e la tenebrosa città all'ombra della cortina di ferro, non è mai esistita se non sulla carta.
Abbiamo detto che il lettore che non riesce a separare la finzione dalla realtà, potrebbe compromettere la sua visione del mondo. Ma il lettore che percepisce l'aspetto fantasioso di ogni racconto sulla realtà, è pronto a rapportarsi tanto con la scienza quanto con la letteratura.
Esisterebbe, tuttavia, una maniera più valida di descrivere una città, fra i tanti possibili? Quali sono i criteri che dovrebbero guidare la forma di questa descrizione? Come interferisce la figura del narratore sulla comprensione dell'oggetto urbano? Quali sono le possibili posizioni rispetto ad un'indagine urbana? Ma soprattutto, cos'è reale e che cosa è immaginario nella storia narrata?
Probabilmente, a nessuna di questa domanda si può rispondere in maniera diretta e positiva. Si potrebbero quindi suscitare riflessioni sul processo di indagine urbana e sulla sua esposizione in forma testuale?
Walter Benjamin ha suggerito che la città è lo scenario di un crimine costante che è allo stesso tempo terribile ed invisibile. L'aforisma "Incidenti e Crimini", pubblicato sul libro "Infanzia a Berlino" ci fornisce indizi su questa città immaginata. Ma è anche nel romanzo poliziesco che la città paesaggistica diventa minacciosa e stancante, allegoria delle masse e dell'individuo, della paura e della sicurezza, della paranoia e della tecnica. Ironicamente, senza tali elementi, descritti a partire dalla freddezza dei dati, si può ottenere tutto tranne che una rappresentazione fattuale e oggettiva della realtà.
Infine, sia nei romanzi polizieschi, sia negli articoli scientifici, il colpevole può essere solo il lettore che si fida del narratore, e che garantisce uno status di oggettività a quella versione dei fatti. Il lettore informato fa domande simili sia riguardo alla finzione che riguardo alla scienza: quali sono le eruzioni vere che quelle invenzioni portano alla superficie della realtà?
Una volta sedimentato, questo strato raffreddato di fatti, immaginari o suppostamente realisti, ora chiunque può camminarci criticamente sopra. Da un altro lato, se il discorso sulla realtà fa sempre parte della realtà, la proiezione che immagina altre realtà parallele rispetto al mondo realmente esistente può anche ri-creare il mondo stesso: anche coi piedi piantati per terra, viviamo i nostri sogni migliori e i nostri incubi peggiori.

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La soluzione del crimine ed il feticcio della merce
Le differenti posizioni dei narratori di fronte alla conduzione della trama, dimostrano più che la natura dello stile. In Mieville, la fantasia è strumento di ricostruzione della realtà, sebbene negativo, volto alla distopia. Ma, le indagini orwelliane del suo collerico Ispettore portano alla soluzione del caso, rivelato e compreso razionalmente e la sua situazione finisce per essere divisa fra la distanza dal suo mondo precedente ed una promozione sul lavoro, quando passa a far parte del ristretto circolo interno dei vigilanti della Città. Questa traiettoria suona familiare ai lettori di Charles Dickens, avvezzi ai personaggi che soffrono e che alla fine vengono ricompensati dalle loro traiettorie.
In Camilleri, il malinconico detective amletico è più simile ad un dio di quinta categoria che scopre, con rabbia e fastidio, che non ha mai preso in mano il controllo del caso. Il commissario di Vigata sa di non essere un uomo onesto, ma non per il motivo che potremmo immaginare. L'indagine della quadratura del cerchio, in questo caso della forma dell'acqua, rivela che è l'investigatore stesso a finire per prendere la forma del processo al quale viene sottoposto. Tragicamente, prende coscienza delle conseguenze contraddittorie delle sue azioni solo dopo l'esito di questa vicenda. Il processo è sempre alle spalle del Commissario della verità.
La figura dell'investigatore che non controlla le conseguenze delle sue azioni ed ha coscienza di questo appare essere più appropriata per rappresentare una società reificata che non dipende solamente dalla somma degli sforzi individuali per tornare alla propria vita normale o per autogovernarsi.
Montalbano, l'impotente commissario di Vigata, ci ricorda un racconto di Kafka dal titolo "Indagini di un cane", narrato da un inquietante investigatore canino che racconta i risultati sbagliati della investigazione senza mai mostrare di essere capace di comprenderla. In questo racconto, solo il lettore può unire i fili e scoprire le risposte date dall'investigazione canina. Allo stesso modo, solo un narratore critico dell'Illuminismo può mirare alla fessura che esiste fra quella che lui pensa essere la realtà ed in il modo in cui viene rappresentata. Alla fine tocca al lettore decodificare un processo in cui la concretezza prende il posto dell'oggettività e la realtà stessa è spettrale. Cerchiamo di essere più dubbiosi!

- Jakob Busch - Pubblicato il 23/2/2017 su O Topógrafo de Kafka -

Fonte: O Topógrafo de Kafka

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