giovedì 26 luglio 2007

Franco Leggio



L'ho saputo solo qualche tempo dopo, della sua morte avvenuta il 15 dicembre dello scorso anno. Spero che non sia stato troppo freddo nella sua Ragusa, quel giorno.
Strano, aveva poco meno di 86 anni, ma non mi riesce pensarlo come "vecchio". E non perché siano passati oramai diversi anni dall'ultima volta in cui l'ho visto per l'ultima volta. No, non per questo. No, per non averlo visto "invecchiare".
Già da subito, quando lo conobbi, all'inizio degli anni settanta - ed era più giovane di mio padre solo di poco più di un anno - lo percepii come un quasi-coeateno. La sensazione era destinata a rafforzarsi, nel 1974, quando passammo una buona "mesata" a Vallo della Lucania, praticamente stando insieme giorno e notte, al processo contro Giovanni Marini. O certo, ne sapeva "qualcuna" in più di me, come quando mi rimbrottò perchè stavo lasciandomi scappar detto, al commissario Juliano, che l'immobile che avevamo forzato, in piazza a Vallo della Lucania, era stato, per l'appunto, forzato. Ne aveva di esperienza di poliziotti e magistrati!
Fummo gli unici, io e lui, a "farcelo" tutto, il processo. Arrivammo qualche giorno prima che cominciasse, per preparare un po' il terreno per le decine di compagni che via via si sarebbero succeduti, in quel buco di culo del mondo. L'impatto fu dei peggiori, all'inizio. Il segretario della locale federazione comunista ci venne ad esprimere tutta la solidarietà e tutto il dispiacere, per non poterci mettere a disposizione la sede, sebbene i militanti di base del paese avessero cercato di premere in tal senso. Ordini dall'alto! E questo, nonostante Terracini fosse nel collegio di difesa. Ma già Terracini non ci stava troppo con la testa. E, ad onor del vero, anche quando ci stava aveva da tempo accettato di far da gagliardetto ad un partito comunista che aveva assai poco (sì, è un eufemismo!) a che fare con quello da lui fondato insieme a Bordiga e Gramsci. Ma tant'è, anzi tanto fu.
Ho passato fra le più belle giornate, e nottate, della mia vita, a Vallo della Lucania, nel 1974, insieme a Franco Leggio. A fare, a organizzare, a chiacchierare. Ricordo sempre il pianto del gestore della trattoria dove mangiavamo tutti i giorni, quando lo salutammo dicendogli che andavamo via, la mattina dopo la notte della sentenza. Un omone enorme che piangeva come un bambino, mentre abbracciava e baciava Franco, cercando di strappargli la promessa di un ritorno. Ne ricordo, di Franco, la modestia e le battute. Lo spirito siciliano che traboccava da quei suoi occhi dallo strano taglio quasi orientale. Ne ricordo la tranquillità, persino quella volta che, lui (che non aveva, e non avrebbe mai preso la patente) seduto dietro nella macchina dalle gomme liscie che ci aveva prestato il vecchio Fantazzini, persi il controllo e riuscii a fermarmi solo dopo un chilometro di sbandate e qualche testa-coda. Non fece una piega, la sua bocca impreziosita da quei baffi spioventi che lo avevano fatto scambiare per un fascista, alla Occhipinti, la prima volta che lo vide!
Già, Vallo della Lucania. Come ricordare tutto e tutti? I compagni che arrivavano da tutte le parti d'Italia. Quelli che andavano via poco dopo e quelli che si fermavano un po' più a lungo. Gli slogan urlati sotto il carcere, di sera, e quella volta che cominciarono a sparare e Luca Villoresi aveva una storta alla caviglia, ed era alto (lo è ancora, credo) più di un metro e novanta e si appoggiava a me e a Franco mentre si cercava di scappare stando chinati. E la gente del luogo che si ubriacava e ci raccontava la sua vita, storie di resistenza umana e politica. E Dario Fo che arriva e fa lo spettacolo in paese, e noi gli si monta e poi gli si smonta il palco. E Franco che mi guarda e sorride ammiccando, come a dire che è meglio essere fra quelli che lo montano e poi lo rismontano il palco, piuttosto che fra quelli che si limitano a salirci sopra per poi tornare in albergo senza nemmeno fermarsi a parlare, non dico a ringraziare.
Ma forse ci si nasce, come Franco Leggio. Minatore in una miniera di zolfo, probabilmente fu lì che tutto incominciò. Poi in Marina, per sfuggire alla sorveglianza che a Ragusa si faceva sempre più stretta. Nel 1944 contrae la tubercolosi e viene ricoverato in un sanatorio, a Ragusa, da cui scappa nel gennaio del 1945 per mettersi a capo della rivolta contro la coscrizione. Il movimento "Non Si Parte" si scontra, armato, con la polizia sotto il controllo degli alleati e viene represso con centinaia di arresti. Gli costa un anno e mezzo di prigione, a Franco! Torna a lavorare in miniera nel 1949 e partecipa al grande sciopero di due mesi, e all'occupazione delle miniere, durante il quale i minatori e le loro famiglie si battono contro la polizia. Come spesso avviene, la lotta è svenduta dai sindacati ed alcuni, fra cui Franco, sono costretti a lasciare Ragusa. Fra il 1949 ed il 1969 lavora a Napoli, a Bari, a Genova e a Milano, e infine in Francia. In questo periodo si lascia coinvolgere nel lavoro clandestino che gli spagnoli hanno messo in piedi contro il franchismo. E' uno degli italiani della "banda" di Jose Luis Facerias e riesce a sfuggire all'agguato della polizia spagnola in cui lo stesso Facerias perde la vita, nel 1957. Nel 1960 fonda la casa editrice"La Fiaccola" ed i costi di "produzione" sono alti e comportano perquisizioni e arresti. Continuerà a pagarli per anni, questi costi, senza mai cedere di un passo. Anche quando, nel 1986, i magistrati chiederanno una perizia psichiatrica, dichiarerà pubblicamente che, se lo vogliono, dovranno venire a prelevarlo a casa! Sarà un vasto movimento di opinione internazionale a scongiurare l'ennesima brutalità ai suoi danni.
Ora è morto, nello stesso ospedale da cui era evaso nel 1945!
Io mi tengo il suo tranquillo coraggio che non ho mai avuto e non avrò mai, insieme al ricordo dei suoi occhi brillanti e del suo sorriso. Come nella foto che sono riuscito a salvare dai "miei archivi polverosi".
Aveva un anno meno dei miei anni di oggi, allora. Sì, è sempre stato un mio coetaneo, e lo è ancora.
Lo sarà sempre!

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ed eccomi qua, vallese di nascita, troppo piccolo per ricordare le vostre lotte, ma abbastanza adulto ora da aver recepito tutto o quasi di quel processo che ebbe luogo nella piccola località cilentana. Non ti nascondo che le tue parole hanno suscitato emozione, perché si legge chiaramente quanto siano partecipate.

cordialità
Cristiano

BlackBlog francosenia ha detto...

ciao cristiano,
sono lieto di aver potuto condividere un ricordo con te. E sono lieto, in tutta sincerità, del tuo "commento". Non ci sono tornato mai più a vallo.
Magari dovrei farlo...un giorno o l'altro.

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